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Giulio Cesare Scaligero (1484 - 1556) è una particolare figura di umanista e di intellettuale della cultura rinascimentale europea.
Della vita di Giulio Cesare Scaligero (o Giulio Cesare Bordon, padovano), la parte iniziale rimane la più oscura.
Ci troviamo tuttora davanti a ciò che lo stesso Scaligero ci ha detto e che è stato più dettagliatamente ripreso da suo figlio Giuseppe Giusto Scaligero (Joseph Juste Scaliger), filologo calvinista nato ad Agen nel 1540, morto a Leida nel 1609 dopo esser stato professore a Ginevra e a Leida.
Nonostante la fama acquisita Giulio Cesare Scaligero ebbe comunque già in vita tanti detrattori che in particolare lo trascinarono in dispute sulla sua supposta genealogia, tanto da far originare una propria letteratura sulle supposte o inventate biografie.
Oggi, dopo i saggi di Bruno Nardi e di Myriam Billanovich degli anni ’60 che hanno portato alla luce legami ma anche contraddizione sulla parentela con il celebre miniaturista padovano Benedetto Bordon, tutta l’argomentazione poi sostenuta da Giuseppe Giusto Scaligero appare come un debole monumento celebrativo alla memoria paterna.
Proprio Giulio Cesare Scaligero nella biografia scritta dal figlio Giuseppe Giusto Scaligero sostiene infatti di essere nato a Riva del Garda da una famiglia ch'egli voleva far discendere dagli antichi signori di Verona, da Benedetto Bordon Scaligero (militare al servizio del Re d'Ungheria) e Berenice Lodron (come si desume dall'epigramma a lei dedicato nella raccolta Heroes), una delle più importanti famiglie nobiliari del Trentino.
Nel 1525 si trasferisce ad Agen nella Francia meridionale al seguito del cardinale Angelo Della Rovere.
Nel 1496 fu presentato all'imperatore Massimiliano d'Asburgo a Verona e viene ammesso al suo servizio.
Partecipò nel 1512 alla battaglia di Ravenna, nel 1514 si trasferì a Bologna per studiare medicina e storia naturale e approfondire una cultura letteraria cui aveva atteso con assiduità dagli anni della prima giovinezza.
Fu studioso delle opere botaniche del presunto Aristotele (In libros duos, qui inscribuntur de plantis, Aristotele autore, libri duo, Michel de Vascosan, Parigi, 1556), e di Teofrasto (Commentarii et animadversioness, in sex libros De causi plantarum Theoprasti , Jean Crespin, Ginevra, 1566).
Conseguì la laurea a Padova del 1519.
Dal 1525 ad Agen, dove si era stabilito come medico del vescovo Angelo Della Rovere e dove entra in contatto con Matteo Bandello, nel 1528 gli venne riconosciuta la cittadinanza francese.
Iniziò nel 1531 la sua carriera di scittore con una violenta satira contro il Ciceronianus di Erasmo.
Contro le teorie erasminiane che eludevano il controllo sociale, scendono in campo direttamente, o per conto della Curia, umanisti e tra questi Giulio Cesare Scaligero.
Si contrapponevano realmente due diverse concezioni del mondo e il pensiero umanistico tradizionale scendeva in campo a difesa della situazione sociale.
Fu Rabelais ad avvertire Erasmo che dietro agli attacchi si celasse Scaligero.
L'attacco dello Scaligero colpiva il tentativo di Erasmo di ancorare il cristianesimo ad una base razionale (capace cioè di riconoscere una razionalità-socialità entro il mondo pazzo): la pazzia del mondo, per Scaligero, è invece solo la ineliminabile ignoranza del volgo e approdava ad una diversa concezione filosofica e diversa collocazione sociale.
Nel 1540 appare De causis linguae latine, primo tentativo di grammatica storica che lo rese famoso in tutta Europa.
Il suo nome continuò ad essere al centro di polemiche prima con Etien Dolet poi con Girolamo Cardano (Exotericarum exercitationum liber quintus decimus, De subtilitate ad H.
Cardanum, Michel de Vascosan, Parigi 1557).
L'opera dello Scaligero è la più completa sistemazione delle idee sull'arte poetica ed insieme la prima trattazione organica dei generi letterari, delle figure retoriche, classificati in un rigido ordinamento gerarchico, espressa dell'opera postuma Poetices libri septem, A. Vincent, Lione 1561).
In uno dei capitoli dei Poetices libri septem, Scaligero è l'unico trattatista che si dedica alla parodia e la sua ipotesi farà testo: la parodia sarebbe nata negli intervalli delle recitazioni dei rapsodi, nella forma di un rovesciamento comico del testo appena ascoltato.
I Poetices libri septem dello Scaligero erano conosciuti dal massimo teorico della parodia Henri Estienne, autore del Parodie morales in poetarum veretrum sententias celebriores (1575).
Il canone degli autori classici è integralmente dedotto da Estienne, fonte non denunciata ma puntualmente tradotta, ripreso dallo Scaligero.
Il rigore aristotelico di Giulio Cesare Scaligero opponeva apertamente la natura all'arte considerata una come il regno del disordine, l'altra come un principio di eleganza armoniosa e di disciplina intellettuale, ponendo però limiti al criterio dell'imitazione quando prescriveva che essa non fosse una copia meccanica e pedissequa, ma l'effettiva invenzione di un nuovo mondo poetico.
La dottrina dello Scaligero classicista dell'estetica cinquecentesca era rivolta alla sostituzione del mondo dell'arte a quello della vita come oggetto di imitazione poetica.
Se studiatissima e universalmente conosciuta la sua produzione letteraria prodotta in Francia, oscuri sono i suoi esordi letterari, tali da far supporre una voluta cancellazione nella memoria delle esperienze italiane.
Il per nulla irrilevante problema della nascita (e quindi della veridicità delle sue affermazioni) di Giulio Cesare Scaligero suscitò roventi polemiche tra ambienti calvinisti e gesuiti nel’600 francese, anche perchè era collegato alla esaltazione che del padre aveva fatto il calvinista e docente di fama Giuseppe Giusto Scaligero (Joseph Juste Scaliger) è stato oggetto di verifica da parte dei ricercatori locali e non cui è stata affidata l’indagine negli archivi locali.
Una lettura dei Poemata dello stesso Scaligero ha permesso di individuare alcuni spunti che sono stati oggetto di verifica con le fonti storiche locali e con personaggi che vi troviamo citati.
Emerge la centralità del medico letterato veronese Marco Antonio Della Torre.
Personaggio chiave per i suoi legami con Nicolò d’Arco presso lo studio di Pavia e iniziatore dello studio delle discipline scientifiche in Aristotele e allievo, anche lui come Scaligero e Girolamo Fracastoro, di Pietro Pomponazzi.
Quello che è emerso dall’analisi delle produzioni poetiche incrociate su Fracastorio Nicolò d’Arco e Scaligero, è la centralità dell’ambito culturale veronese del primo decennio del ‘500 incentrato sulla figura del medico e poeta Marco Antonio della Torre, morto in tragiche circostanze a Riva del Garda nel 1511.
Il compianto per sua morte é il filo che lega tutti questi intellettuali da Paolo Giovio, Nicolò d’Arco, Scaligero, Fracastoro e Valeriano Bolzanio.
Da notare che a seguito dell’occupazione di Verona da parte dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo, venne nominato quale legato imperiale il vescovo di Trento Giorgio Neideck.
Si desume, quindi il ruolo di Riva quale ponte tra queste due aree politico-culturali, suffragato dalla documentazione conservata presso l’Archivio Storico Comunale.
Le uniche testimonianze della vita trascorsa in Italia, alla corte dei Gonzaga, le desumiamo da stralci delle opere di Mattia Bandello.
Della vita di Giulio Cesare Scaligero (o Giulio Cesare Bordon, padovano), la parte iniziale rimane la più oscura.
Ci troviamo tuttora davanti a ciò che lo stesso Scaligero ci ha detto e che è stato più dettagliatamente ripreso da suo figlio Giuseppe Giusto Scaligero (Joseph Juste Scaliger), filologo calvinista nato ad Agen nel 1540, morto a Leida nel 1609 dopo esser stato professore a Ginevra e a Leida.
Nonostante la fama acquisita Giulio Cesare Scaligero ebbe comunque già in vita tanti detrattori che in particolare lo trascinarono in dispute sulla sua supposta genealogia, tanto da far originare una propria letteratura sulle supposte o inventate biografie.
Oggi, dopo i saggi di Bruno Nardi e di Myriam Billanovich degli anni ’60 che hanno portato alla luce legami ma anche contraddizione sulla parentela con il celebre miniaturista padovano Benedetto Bordon, tutta l’argomentazione poi sostenuta da Giuseppe Giusto Scaligero appare come un debole monumento celebrativo alla memoria paterna.
Proprio Giulio Cesare Scaligero nella biografia scritta dal figlio Giuseppe Giusto Scaligero sostiene infatti di essere nato a Riva del Garda da una famiglia ch'egli voleva far discendere dagli antichi signori di Verona, da Benedetto Bordon Scaligero (militare al servizio del Re d'Ungheria) e Berenice Lodron (come si desume dall'epigramma a lei dedicato nella raccolta Heroes), una delle più importanti famiglie nobiliari del Trentino.
Nel 1525 si trasferisce ad Agen nella Francia meridionale al seguito del cardinale Angelo Della Rovere.
Nel 1496 fu presentato all'imperatore Massimiliano d'Asburgo a Verona e viene ammesso al suo servizio.
Partecipò nel 1512 alla battaglia di Ravenna, nel 1514 si trasferì a Bologna per studiare medicina e storia naturale e approfondire una cultura letteraria cui aveva atteso con assiduità dagli anni della prima giovinezza.
Fu studioso delle opere botaniche del presunto Aristotele (In libros duos, qui inscribuntur de plantis, Aristotele autore, libri duo, Michel de Vascosan, Parigi, 1556), e di Teofrasto (Commentarii et animadversioness, in sex libros De causi plantarum Theoprasti , Jean Crespin, Ginevra, 1566).
Conseguì la laurea a Padova del 1519.
Dal 1525 ad Agen, dove si era stabilito come medico del vescovo Angelo Della Rovere e dove entra in contatto con Matteo Bandello, nel 1528 gli venne riconosciuta la cittadinanza francese.
Iniziò nel 1531 la sua carriera di scittore con una violenta satira contro il Ciceronianus di Erasmo.
Contro le teorie erasminiane che eludevano il controllo sociale, scendono in campo direttamente, o per conto della Curia, umanisti e tra questi Giulio Cesare Scaligero.
Si contrapponevano realmente due diverse concezioni del mondo e il pensiero umanistico tradizionale scendeva in campo a difesa della situazione sociale.
Fu Rabelais ad avvertire Erasmo che dietro agli attacchi si celasse Scaligero.
L'attacco dello Scaligero colpiva il tentativo di Erasmo di ancorare il cristianesimo ad una base razionale (capace cioè di riconoscere una razionalità-socialità entro il mondo pazzo): la pazzia del mondo, per Scaligero, è invece solo la ineliminabile ignoranza del volgo e approdava ad una diversa concezione filosofica e diversa collocazione sociale.
Nel 1540 appare De causis linguae latine, primo tentativo di grammatica storica che lo rese famoso in tutta Europa.
Il suo nome continuò ad essere al centro di polemiche prima con Etien Dolet poi con Girolamo Cardano (Exotericarum exercitationum liber quintus decimus, De subtilitate ad H.
Cardanum, Michel de Vascosan, Parigi 1557).
L'opera dello Scaligero è la più completa sistemazione delle idee sull'arte poetica ed insieme la prima trattazione organica dei generi letterari, delle figure retoriche, classificati in un rigido ordinamento gerarchico, espressa dell'opera postuma Poetices libri septem, A. Vincent, Lione 1561).
In uno dei capitoli dei Poetices libri septem, Scaligero è l'unico trattatista che si dedica alla parodia e la sua ipotesi farà testo: la parodia sarebbe nata negli intervalli delle recitazioni dei rapsodi, nella forma di un rovesciamento comico del testo appena ascoltato.
I Poetices libri septem dello Scaligero erano conosciuti dal massimo teorico della parodia Henri Estienne, autore del Parodie morales in poetarum veretrum sententias celebriores (1575).
Il canone degli autori classici è integralmente dedotto da Estienne, fonte non denunciata ma puntualmente tradotta, ripreso dallo Scaligero.
Il rigore aristotelico di Giulio Cesare Scaligero opponeva apertamente la natura all'arte considerata una come il regno del disordine, l'altra come un principio di eleganza armoniosa e di disciplina intellettuale, ponendo però limiti al criterio dell'imitazione quando prescriveva che essa non fosse una copia meccanica e pedissequa, ma l'effettiva invenzione di un nuovo mondo poetico.
La dottrina dello Scaligero classicista dell'estetica cinquecentesca era rivolta alla sostituzione del mondo dell'arte a quello della vita come oggetto di imitazione poetica.
Se studiatissima e universalmente conosciuta la sua produzione letteraria prodotta in Francia, oscuri sono i suoi esordi letterari, tali da far supporre una voluta cancellazione nella memoria delle esperienze italiane.
Il per nulla irrilevante problema della nascita (e quindi della veridicità delle sue affermazioni) di Giulio Cesare Scaligero suscitò roventi polemiche tra ambienti calvinisti e gesuiti nel’600 francese, anche perchè era collegato alla esaltazione che del padre aveva fatto il calvinista e docente di fama Giuseppe Giusto Scaligero (Joseph Juste Scaliger) è stato oggetto di verifica da parte dei ricercatori locali e non cui è stata affidata l’indagine negli archivi locali.
Una lettura dei Poemata dello stesso Scaligero ha permesso di individuare alcuni spunti che sono stati oggetto di verifica con le fonti storiche locali e con personaggi che vi troviamo citati.
Emerge la centralità del medico letterato veronese Marco Antonio Della Torre.
Personaggio chiave per i suoi legami con Nicolò d’Arco presso lo studio di Pavia e iniziatore dello studio delle discipline scientifiche in Aristotele e allievo, anche lui come Scaligero e Girolamo Fracastoro, di Pietro Pomponazzi.
Quello che è emerso dall’analisi delle produzioni poetiche incrociate su Fracastorio Nicolò d’Arco e Scaligero, è la centralità dell’ambito culturale veronese del primo decennio del ‘500 incentrato sulla figura del medico e poeta Marco Antonio della Torre, morto in tragiche circostanze a Riva del Garda nel 1511.
Il compianto per sua morte é il filo che lega tutti questi intellettuali da Paolo Giovio, Nicolò d’Arco, Scaligero, Fracastoro e Valeriano Bolzanio.
Da notare che a seguito dell’occupazione di Verona da parte dell’imperatore Massimiliano d’Asburgo, venne nominato quale legato imperiale il vescovo di Trento Giorgio Neideck.
Si desume, quindi il ruolo di Riva quale ponte tra queste due aree politico-culturali, suffragato dalla documentazione conservata presso l’Archivio Storico Comunale.
Le uniche testimonianze della vita trascorsa in Italia, alla corte dei Gonzaga, le desumiamo da stralci delle opere di Mattia Bandello.