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venerdì 29 aprile 2016

L'antichissimo "Leggendario della Vita dei Santi" del Manerbio

Un  "Calendario di Festività" che "nei tempi barbari" (si fa per dire!) era detto semplicemente "Il Manerbio" da Nicolò Manerbi [1422-1481] (volgarmente  Manerbio), autore di una celebre "volgarizzazione/traduzione" a stampa, ovvero il qui intieramente digitalizzato "Leggendario delle vite de' santi. Composto dal R.P.F. Giacobo di Voragine, ... tradotto già per il R.D. Nicolo Manerbio. Nuouamente ridotto a miglior lingua, riformato, purgato da molte cose souerchie, arricchito de' sommarij, di vaghe figure ornato, e ristampato. Con l'aggiunta di calendario, lunario, & feste mobili ..." (In Venetia: appresso Alessandro Griffio, 1584).
Jacopo da Varazze (Varazze 1228 - 1298 ), chiamato anche Jacopo o Giacomo da Varagine, fu un frate domenicano scrittore in latino di leggende e cronache.
Entrò nell'ordine nel 1244 e nel 1265 diventò priore del proprio convento: due anni dopo fu nominatore provinciale per la Lombardia.
Dal 1292 fu vescovo di Genova fino al 1298 anno della sua morte. 
La sua fama si deve ad una raccolta di vite di santi, scritta tra il 1255 e il 1266 dal titolo "Legenda Aurea" ("Legenda sanctorum"). L'opera, che fu scritta in latino ma in seguito diffusa in versione volgarizzata, esercitò grande influenza sulla successiva letteratura religiosa e svolse il ruolo di basilare fonte iconografica per numerosi artisti.
Sempre in latino compilò una Cronaca genovese ("Chronicon ianuense"), che tratta della storia di Genova dalle origini al 1297 e in volgare scrisse "Sermoni moraleggianti". 

Aprosio ne ebbe una conoscenza approfondita attesa la presenza, tuttora, tra gli incunaboli della biblioteca ventimigliese di quattro opere di J. da Varagine, fra cui appunto la "Legenda Aurea".
Ma il Manerbio, intuendo che quell'opera così letta e così ricca di dettagli (indubbiamente favolosi quanto affascinanti) su Santi e Beati avrebbe meritato una ancor più vasta diffusione, ne allestì come scritto sopra la traduzione.

In genere molti stampatori nel preparare Lunari e Calendari per andare incontro al gusto dei lettori (di quelli che se ne potevano permettere l'acquisto: spesso l'opera era posseduta solo dalla Chiese parrocchiali!) vi presero ad accorpare la traduzione del "Leggendario", che si era soliti leggere in gruppo nelle veglie o dopo il desinare...

anche per rammentare tre scomparsi amici di Ventimiglia (IM), cui l'intiero lavoro qui proposto è dedicato, come vi si legge in calce: cioè Don Mario Trivini, Don Maurizio Michelotto e Don Giovanni Battista Colucci... 

 

sabato 23 aprile 2016

Triora, Loudun, Salem: presunte streghe e demonomania

 
La demonomania é delirio sulla base di sentimenti di colpa, che si traducono nel terrore per l'inferno e i demoni. Diffusa in certi mistici, ha dato in passato spazio a manifestazioni di isteria collettiva come nel caso degli ossessi di Loudun.
Un evento significativo di isteria collettiva fu il caso degli Ossessi di Loudun, legato al timore delle punizioni infernali -connesso tanto a slanci di demonologia e demonomania.
Loudun, Torre quadrata (Fonte: Wikipedia)
I fatti di Loudun hanno dei punti in comune col tragico evento di quelli delle liguri Streghe di Triora (IM).
Sempre i fatti di Loudun son collegabili con quello delle nordamericane vergini di Salem: anche se persistono delle distinzioni da non trascurare, specie per la maggiore valenza politica dell'episodio di Loudun.
Salem (Fonte: Wikipedia)
Salem è una cittadina del Massachussets sita la fondo di una piccola insenatura nella più vasta Massachussets Bay sull'Oceano Atlantico: il piccolo centro si trova a circa 23 Km. a NE di Boston e conta (cens. del 1980) 38.220 abitanti.
Salem, che fu un fiorente centro commerciale e portuale, perdendo rilievo dopo l'apertura dell'Erie Canal nel 1825: nonostante vi operino industrie meccaniche, elettriche e concerie la cittadina non ha mai perso l'aspetto antico e coloniale che l'ha proiettata nel mito dell'orrorifico. 

Mappa di Salem nel 1820 (Fonte: Wikipedia)
Fondata nel 1626 da un gruppo di pionieri, capeggiato da Roger Conant, Salem a fine XVII secolo fu sede di uno degli eventi più terribili nella storia della stregheria. Intransigenza e superstizione innescarono nel 1692 un terribile procedimento di Caccia alle Streghe in cui, attraverso un intreccio di accuse e denunzie ottenute con la tortura, altresì saldamente evocate da incredibili manifestazioni di isterismo di massa, ben 19 donne furono impiccate come streghe dopo vari processi. Le manifestazioni di isteria collettiva cessarono solo nel 1693, quando il governo coloniale ordinò la scarcerazione di un ulteriore gruppo di persone accusate di identici reati ed in serio pericolo di esser condannate e condotte al supplizio estremo.
(Fonte: Wikipedia)
Il caso di Loudun, centro della Francia (dipart. di Vienne) nel Poitou, ha connotati un po' particolari: Loudun nel XVI sec. fu caposaldo dei calvinisti, finché nel 1591 venne eretto a ducato, ma non obbedendo alla cattolicissima monarchia di Francia, Loudun divenne con La Rochelle uno degli obiettivi su cui si abbatterono gli eserciti di Richelieu, inteso ad affermare l'assolutismo dinastico.
Il pretesto per l'intervento militare fu dato da una confessione della priora del locale convento delle orsoline, Giovanna degli Angeli, che nel 1633 accusò sè e le suore d'essere indemoniate, attribuendo la responsabilità del maleficio al parroco Urbain Grandier.
Nel clima di superstiziosa isteria collettiva favorito dagli esorcismi pubblici, il caso fu sfruttato in senso politico, indicando le cause dei disordini nelle tendenze "eretiche" di Grandier, condannato al rogo per intervento dello stesso Richelieu. 

(Fonte: Wikipedia)
La vicenda del parroco Urbain Grandier (1590 Bouère presso Sablé-sur-Sarthe / 1634 Loudun ) - accusato di aver provocato nelle suore casi di "invasamento demoniaco", imprigionato nel 1633, torturato senza rispetto delle norme istituzionali e pur in assenza di prove inviato al rogo - ispirò il romanzo storico "I diavoli di Loudun" di A. Huxley nel 1952 e poi il film I diavoli di K.Russel nel 1971.

Il presunto patto di Grandier con il diavolo(Asmodeus, che avrebbe anche segnato la carta) - con le firme dei demoni da cui sarebbero state possedute le suore Orsoline di Loudun - (Fonte: Wikipedia)
I fenomeni di Demonomania si possono considerare di duplice entità: quelli ascritti, come nel caso sopra illustrato, che si radicano in convinzioni personali e si manifestano in fobia dei demoni e della possibilità di cadere in loro balia, e quelli indotti.
I fenomeni di Demonomania ascritta si esprimono in una serie di comportamenti, coatti e simbolici, miranti ad allontanare il pericolo, scongiurandolo con certi rituali come preghiere ripetute ossessivamente, nel rispetto di un ordine la cui infrazione è vissuta come spiraglio, frattura attraverso cui il demone può insinuarsi; oppure, per i comportamenti sostitutivo-simbolici, le autoflagellazioni, le punizioni corporali, i digiuni e le astinenze. La Demonomania ascritta ha dunque il carattere di volontarietà.
 
Lo stesso non può dirsi per i fenomeni di Demonomania indotta di cui son esempio le confessioni sotto tortura di certe streghe (ed eretici) che, per liberarsi dei tormenti, confessavano non solo di essere state tentate dal demonio, ma di essersi macchiate del delitto di commercio sessuale col Nemico.
 
La letteratura giuridica, laica ed ecclesiastica, è ricca di questi casi di confessioni, come nel caso del processo di Triora (1587-90) durante il quale, fra i tormenti, si strapparono ad alcune "streghe supposte" autoaccuse fuor di logica (come il volo notturno al sabba in presenza del Maligno), che contraddicevano quanto testimoniato da persone incaricate della loro vigilanza.

lunedì 18 aprile 2016

Nicholas Flamel, notaio, alchimista, filantropo

Fonte: Wikipedia
Nicholas Flamel è reputato il più grande alchimista di Parigi. 

Egli vide la luce a Pontoise nel 1330 da una famiglia di modeste condizioni; tuttavia fu in grado di portare a termine studi piuttosto approfonditi, riuscendo ad abilitarsi alla professione di notaio e pubblico scrivano.
Si trasferì da giovane a Parigi, dove potè fruire di una clientela costituita da nobili e ricchi commercianti attratti dal fascino della sua intelligenza: contestualmente si affermò pure come libraio e disegnatore, prendendo a commerciare in libri e manoscritti, anche di notevole rarità.
Finalmente conobbe l'agiata dama Perrenelle Lethas, che nutriva specifici interessi per l'alchimia, una scienza alla quale, specialmente dopo il matrimonio con lei, Flamel si convertì assolutamente.

Leggenda e aneddoti si intersecano nella vita di Flamel.

Nicolas Flamel nel 1357 acquistò da un anziano rabbino di nome Nazard uno strano manoscritto, caratterizzato da figure emblematiche, la cui stesura era attribuita a Abraham l'ebreo, principe, sacerdote, levita, astronomo e filosofo della nazione israelita dispersa in Gallia dall'ira di Dio.
Il breve manoscritto, composto di 21 pagine, si rivelò indecifrabile quasi a convalidare i contenuti di un sogno profetico avuto da Flamel prima dell'acquisto: un angelo fiammeggiante gli avrebbe preannunziato in una visione onirica tale acquisto ed un lunghissimo lavoro prima di riuscire a decifrare il contenuto del volume.
Ogni notte, alla poca luce di una candela, Flamel si sforzò di apprendere la chiave di interpretazione di quella scrittura che gli avrebbe dovuto rivelare i segreti dell'alchimia e della PIETRA FILOSOFALE.
Non riuscendo a trovare alcuna soluzione, Flamel scelse di recarsi in Galizia al Santuario di S. Giacomo di Compostela: ufficialmente egli giustificò tale viaggio con l'auspicio di ricevere un'illuminazione da Dio, ma, più nascostamente, coltivando la speranza di incontrare in area iberica qualche erudito ebreo capace di soccorrerlo nella decrittazione di quella strana opera.
I voti di Flamel vennero esauditi in quanto nel contesto di quella spedizione egli incontrò il maestro Chances, cabalista convertito alla religione cristiana il quale, poco prima di morire, secondo la tradizione avrebbe rivelato al suo interlocutore una parte dell'opportuna chiave di interpretazione.
Stando alle cronache, tornato a Parigi, Flammel avrebbe impiegato però ancora tre anni prima di giungere ad un'effettiva comprensione del TESTO e delle sue FIGURAZIONI: questa sarebbe avvenuta nel 1382.
Per accettare siffatte postulazioni è necessario dare credito ai resoconti lasciati dallo stesso Flamel.
Stando al resoconto all'affresco che egli fece eseguire entro una cappella del cimitero degli Innocenti di Parigi (presso le cui mura egli aveva lavorato agli inizi della sua carriera), all'EPIGRAFE ed alle FIGURAZIONI della PIETRA TOMBALE, che fece preparare per sè e per la moglie nella Chiesa di St-Jacques-La-Boucherie (la lapide si trova attualmente al museo di Cluny), si ricava il giudizio che a partire del 1382 Flamel e sua moglie fossero riusciti a decifrare il manoscritto, riuscendo a convertire il mercurio in argento ed in oro.
Di tale straordinaria capacità, stando sempre alle menzionate fonti, i due coniugi si sarebbero serviti non tanto per arricchirsi (cosa che comunque di fatto avvenne), ma soprattutto allo scopo di elargire grosse sovvenzioni a chiese, ospedali, istituzioni benefiche e religiose, direttamente a centinaia di senzatetto ospitati e sfamati nelle oltre 70 case acquistate dai due coniugi in Parigi e nei dintorni della capitale francese.
Fonte: Wikipedia
L'11 settembre 1397 Parnelle si spense e nel 1407 Nicolas fece erigere un'ABITAZIONE DALL'ALTO FASTIGIO in rue de Montmorency a Parigi, dove tuttora sorge tra moderni palazzi: qui l'alchimista continuò a rendersi distributore di benefici per i poveri.
Nel 1417 egli sarebbe poi riuscito a completare la sua GRANDE OPERA, cioè ad avere tra le mani la PIETRA FILOSOFALE.

Flamel morì poco dopo, il 22 marzo 1418: ai suoi funerali il corteo fu caratterizzato da un seguito di miserabili e diseredati.

Dopo la scomparsa dell'alchimista presero a fiorire le leggende su di lui come sulla moglie.
Ad esempio ancora in pieno XVII secolo tra i dotti europei correva la voce che i due coniugi vivessero, immortali in Medio Oriente e che di conseguenza fossero stati apparenti tanto il decesso della donna quanto la morte di Flamel: al riguardo si è soliti identificare, nel volume seicentesco Mutus Liber trattante le fasi essenziali della "ricerca dell'oro filosofale", con Flamel e la di lui moglie i due alchimisti, uomo e donna, in esso raffigurati.
Logicamente in una storia tanto strana, e tanto recuperata dalla narrativa, vero e falso finiscono per intrecciarsi in maniera inesplicabile: ad esempio della presenza dei due coniugi si fece cenno ancora nel 1761 - in merito ad una loro apparizione all'Opéra di Parigi - per aggiungere subito che contro di essi si sarebbero portati i Rosacroce, tormentati dall'invidia e resisi colpevoli della morte definitiva della moglie di Flamel. In merito al misterioso libro le versioni sono altrettanto complicate: fra queste una narra che il testo si sia salvato in forza del testamento di Flamel, per cui sarebbe pervenuto quindi ad un nipote dello stesso... 

è comunque certo che dello strano manoscritto null'altro più si è saputo...


martedì 12 aprile 2016

"La femmina cruda che sugge il sangue": all'origine della stregoneria e della demonologia ma anche dell'antifemminismo

 LILIT (detta anche LILITH e LILITEA) è un demone di sesso femminile, generalmente notturno, che ha avuto un grande sviluppo nel giudaismo talmudico e medievale e che molto tempo dopo nel contesto di SUPERSTIZIOSE CREDENZE strutturate sul piano di un crescente ANTIFEMMINISMO appunto come DEMONE FEMMINILE andò ad accostare i DEMONI con cui avrebbero interagito le STREGHE nel corso dei loro rituali.
L'origine del demone può essere riportata alla Babilonia e a Sumer.
In accadico esiste un demone femminile detto Lilitu: in ebraico il nome è stato certamente sentito connesso con laylah cioè "notten". Nell'Antico Testamento la figura di Lilit è documentata con sicurezza in Isaia (34, 14).
Lilit appare anche in uno scongiuro trovato ad Arslan Tash (l'antica Hadattu) su una tavoletta del sec. VII. a. C. Qui il nome del demone, certamente femminile, appare nella forma Lili, ma l'identificazione è certa anche se non si ammette la caduta di una t finale.
In questo testo essa riceve gli attributi di predatrice e distruttrice.
Nella letteratura midrashica si trova una leggenda secondo cui Adamo, una volta saputo che sarebbe dovuto morire, non volle più accostarsi ad Eva; allora Lilit, presa dalla sua bellezza, si accostò ad Adamo e generò da lui molti demoni, maschi e femmine, che invasero tutta la terra. Nella credenza popolare "Lilit" assale gli uomini che dormono soli, acquisendo connotati vampireschi che la innestano sul vasto tema del culto del sangue sia malefico che benefico. 
La LAMIA, con cui si imparenta il VAMPIRO per così dire occidentale, è invece un antico termine della favolistica greca (antic. làmmia) che stava ad indicare un Mostro mitologico, immaginato per lo piú con corpo di serpente e testa di donna che, secondo antiche credenze popolari, elleniche e non, riprese in età romana e quindi rinvigorite con nuova linfa favolosa in epoca medievale, usciva di notte dai boschi e dai crepacci per divorare i bambini e suggerne il sangue.

Secondo ISIDORO di Siviglia (Etym., VIII, XI, 102) le LAMIE sarebbero stati mostri così definiti dalla tradizione per la loro abitudine di dilaniare i fanciulli, mentre la Bibbia nelle Lamentazioni 4, 3 registra la profezia per cui anche le Lamiae nudaverunt mammam, lactaverunt catulos suos cioè le Lamie si scoprirono le mammelle ed allattarono i loro piccoli anche se in verità all’interpretazione mitica della femmina mostruosa o LAMIA parecchi interpreti preferiscono l’identificazione naturalisticamente plausibile di LAMIA = Sciacallo] .
Sull'evoluzione iconografica e mitologica della LAMIA in ambiente cristiano concorrono comunque le forti interferenze culturali con l'immagine della più "letteraria" e assolutamente pagana ARPIA la cui proprietà di accedere al dono malefico del VOLO MAGICO finisce, nella letteratura quanto nella trasposizione figurativa, per essere attribuito anche all'immagine della LAMIA.

giovedì 7 aprile 2016

Da Podium Pini a Mentone

Per la conoscenza della storia di Mentone non mancano opere di pregio, in particolare è ancora utile il lavoro di Honoré Ardoino (Petites Annales de Monaco, Roquebrune, Menton, Lyon, 1926): tuttavia è assai utile valersi, per l'inquadramento del periodo medievale, degli antichi atti del notaio genovese (XIII sec.) G. de Amandolesio (conservati presso l'"Archivio di Stato di Genova"), che operò in queste zone fornendo tante notizie utili. 

Da un atto di questo notaio del 13 maggio 1260 è possibile studiare la divisione della "Diocesi" di Ventimiglia (che grossomodo ricalcava il territorio municipale romano) in 8 "prebende" o proprietà ecclesiastiche, i cui proventi o redditi spettavano ai "Canonici" della Cattedrale di Ventimiglia.
A tal Stefano de Vultabio toccò la proprietà o "prebenda" "dal fossato di Latte verso Monaco con tutte le altre terre colte e incolte che non sono nominate per la precedente prebenda, con le decime e le quarte parti tanto di tutto il territorio di Ventimiglia quanto di PODIUM PINI sino al fossato di Gorbio. A giudizio dell'Ardoino PUYPIN (Poipino, Podium Pini) sarebbe stato il villaggio poi abbandonato da cui, nel XIII sec., la popolazione sarebbe migrata in Mentone.
 
Appunto un tal Guglielmo Poipini (citato dal de Amandolesio in un documento del 15 gennaio 1260) possedeva una casa a Ventimiglia (in Oliveto).

Per quanto lo storico Gioffredo ricavò dall'"Archivio del Monastero di S. Onorato di Lerino", nel 1061 il conte di Ventimiglia Rainaldo avrebbe donato al Monastero di Lerino "un fondo situato nel Carnolèse [oggi Mentone]".
Gli stessi Conti donarono poi (15 marzo 1082) al Monastero "la chiesa di S. Martino nella contea di Ventimiglia, in valle Carnolense" e quindi il 24 febbraio 1177 il conte Ottone cedette all'abate di Lerino Laugerio molte proprietà agricole nell'area che andava dalla località de Clusa sino al "Garavano" con i diritti pertinenti (il tutto in cambio di beni monastici siti in territorio ingauno).
 
Podium Pini viene citato il 30 luglio 1157 per una donazione di 4 castelli fatta al Comune di Genova dal Conte di Ventimiglia, Guido Guerra.
Si sarebbe trattato dei forti di Roccabruna, Gorbio, Castiglion ed appunto Podium Pini.
 
Papa Lucio III l'8 giugno 1182 con una sua Bolla pontificia concesse poi ai Canonici della Cattedrale di Ventimiglia la totalità delle decime e dei diritti delle chiese di "Santa Maria di Carnolese, di Latte e di Agerbol (Agel), ma solo la metà di quelle di Podium Pini, fatto che secondo l'Ardoino proverebbe che in tale luogo, in quel tempo almeno, si trovava un religioso preposto a specifiche funzioni ecclesiastiche in una sua chiesa.
 
In definitiva si può concordare con l'Ardoino che il toponimo MENTONE derivi da Montone, evolutosi da un Mons Othonis a memoria dei doni territoriali fatti dal conte di Ventimiglia Ottone al monastero di Lerino nel XII secolo.
 
Ancora il de Amandolesio, in un atto dell'8 dicembre 1263 informa su un certo Leonus de Mentono, che si impegnò a rendere a Raimondo Lupo e Costanzo Galafio de Sancto Romulo la somma di 6 lire di genovini (moneta genovese) sulla piazza commerciale di Ventimiglia.
 
Comparando questi dati,  si arriva alla conclusione che tra il 1260 ed il 1263 in queste contrade andava verificandosi un fenomeno particolare. Mentre infatti si affermava il nuovo toponimo DE MENTONO (ma il luogo esisteva da tempo, visto che a quell'epoca si usava questa forma per indicare la provenienza di una determinata persona da un certo luogo ufficialmente ben conosciuto e documentato, anche in atti pubblici), il nome di località PODIUM PINI stava disperdendosi e il suo territorio finiva con lo spettare per intero, sotto il profilo delle decime e dei diritti, alla chiesa cattedrale di Ventimiglia.

Comunque la storia certa di Mentone si può datare con certezza solo dai tempi delle contese tra Provenzali e Repubblica di Genova.
La forte località, dopo essere stata un feudo della casata dei Vento, finì per essere acquistata nel 1346 dai Grimaldi, Signori di Monaco, che la tennero sino al XVIII sec.; anche se i duchi della Savoia, con atti del 1448 e del 1477, ne ottennero l'alta signoria feudale.



sabato 2 aprile 2016

Marcello Palingenio Stellato e lo Zodiacus vitae

 
Di umili origini, Marcello Palingenio Stellato svolse professione di medico a Rimini nel 1530 e pare fosse stato in precedenza a Roma, durante il pontificato di Leone X (1513 - 21). Oltre la medicina, lo attrassero le scienze occulte, l'astronomia, l'astrologia, nonché l'etica e la metafisica, come risulta dall'opera da lui pubblicata sotto lo pseudonimo di Marcello Palingenio Stellato dal titolo di Zodiacus vitae; de hominibus vita studio ac moribus aptime instituendis (B. Vitale, Venezia, s. d. [ma 1535/36]) e dedicata a Ercole II d'Este".

Si tratta di un poema didascalico, scritto - in latino - tra 1520 e 1534, in cui s'avvertono echi lucreziani e suggestioni panteistiche mutuate dal naturalismo filosofico del sec. XVI. Comunque mosso da uno straordinario anelito di conoscenza, che si riscontra continuamente esplicitato sotto la simbologia dei dodici segni zodiacali che nominano i diversi canti.

Pur ricco di richiami medievali, il poema è tutto permeato da una fervida fede per la sapienza, da un appassionato desiderio di conoscere l'ordine dell'universo. Le stelle secondo la sua concezione, scandiscono il ritmo della vita, governano la Terra, mutano il volto della natura. L'insieme dei cieli è il volto della natura, e questa non è altro che l'imperitura legge imposta da Dio all'Universo. Nel cielo è collocata la sorgente archetipa di tutto. La vita beata è perfetta nelle città divine collocate negli spazi infiniti dell'etere: invece sulla Terra albergano solo le ombre delle cose, l'errore la guerra, la morte, il peccato. Per questo la fede nella pura razionalità di Palingenio prende un drammatico accento pessimistico. In non pochi punti poi la sua concezione, che mostra evidenti legami con il naturalismo e le correnti platoniche e neoplatoniche, si allontana dalla stretta ortodossia cattolica e talora sfocia nell'eresia, come nell'affermazione che Dio non si cura delle sue creature e quindi non è offeso dai loro peccati. Aspre sono le censure contro il clero, che sembrano connesse con un generale proposito di riforma dei costumi.

Per il teologo calvinista Abraham Scultetus (1566–1625), Marcello Stellato sarebbe stato un cortigiano di Ercole II d'Este, che avrebbe assunto lo pseudonimo di "Palingenius" in omaggio alla duchessa filocalvinista Renata di Francia.

Il primo ad aver attribuito all'autore dello Zodiacus il nome di Pier Angelo Manzoli fu il latinista Jacopo Facciolati il quale, in alcune lettere indirizzate a Johann Albert Fabricius, scrisse che "Marcello Palingenio" era l'anagramma di "Pier Angelo Manzolli", nativo di Stellata, una località del ducato estense (donde il nome "Stellato").

E' da dire che Franco Bacchelli, in base alla licenza di stampa dello Zodiacus vitae, concessa dal Consiglio dei dieci di Venezia l'8 febbraio 1535 a "Marcellus Stellato Neapolitanus", ha concluso che l'autore dello Zodiacus si chiamasse effettivamente Marcello Stellato (o Stellati) e che fosse nato in Campania, mentre Pier Angelo Manzoli non sarebbe mai esistito: "Stellato" è peraltro un cognome ancora molto diffuso a Napoli e in Campania (Franco Bacchelli, Palingenio e la crisi dell'aristotelismo. In: "Sciences et religions. De Copernic à Galilée (1540-1610), Actes du colloque de Rome (déc. 1996), Collection de l'École française de Rome 260", pp. 357-374, ISBN 2-7283-0545-5)]

Lo Zodiacus Vitae incorse nella censura ecclesiastica nel 1558 per la presenza in esso delle tematiche dell'occultismo e delle teorie epicuree e pitagoriche, connesse ad eresia stregonesca e quindi, NULLA potè evitare che fosse alla fine processato e quindi condannato qual colpevole di Eresia
Anche se lo Stellato nel suo libro si era premunito di una sorta di captatio benevolentiae sottomettendosi con aperta dichiarazione ai dettati tutti della Santa Chiesa.  

Quindi nonostante fosse già morto, il cadavere di Stellato fu dissepolto e poi come segno estremo di pubblica sanzione e catarsi, oltre che di dispersione dalle memorie, i suoi resti furono bruciati sul rogo, assieme ad esemplari dei suoi scritti (che continuarono ad esere pubblicati in diverse parti d'Europa, specie protestanti).

Un grande canonista, Padre Martin Antonio del Rio, scrisse della condanna "postuma" dello Stellato, motivandola con l'empietà dell'autore, non tanto per le accuse al clero, quanto per avere aderito - contro la cosmogonia riconosciuta e contro il creazionismo dei Sacri Testi - ad una visione panteistica dell'universo sull'asse Plotino - Porfirio - Giamblico - Lucrezio, che procedeva sino a panteistiche sanzioni di una forza o magnetismo universale - fatto di "simpatie e antipatie cosmiche" - capace di animare e vivificare sia il microcosmo che il macrocosmo. Ma il PANTEISMO  PARIMENTI POTEVA DEFINIRSI QUALE ESPRESSIONE DI BLASFEMO ATEISMO. Quindi lo Stellato era da considerarsi CRIMINALE SUPREMO SIA AVVERSO la CHIESA CHE lo STATO, un "BESTEMMIATORE ERETICALE": "DESTABILIZZATORE DI OGNI SISTEMA RICONOSCIUTO". DA PUNIRSI CON LA PIU' GRAVE FORMA DI ESTREMO SUPPLIZIO. 

da Cultura-Barocca