Powered By Blogger

domenica 24 luglio 2016

Su Montezuma e gli Aztechi

"Moctezuma Xocoyotzin (Sciocoyotzin ) osserva il passaggio di una cometa" (capítulo LXIII) dell Códice Durán o "Historia de las Indias de Nueva España e Islas de Tierra Firme": quando il dotto re di Texcoco, Nezahualpilli (termine nahuatl per "principe digiuno"), consultato, disse a Montezuma II che i segnali sulla rovina di Tenochtitlan gli parevano concreti e che i saggi di Texcoco avevano verosimimente predetto un dominio straniero sulla valle del Messico, l'imperatore lo sfidò ad una partita di TLACHTLI, evoluzione azteca del più antico gioco della palla entro gli sferisteri del "POK-A-TOK". 
 
Nemmeno la guerra dei fiori o guerra floreale - che (come del resto era quasi scontato) fu incompresa dagli Spagnoli per la sua specificità - potè salvare l'Impero degli Aztechi dal suo collasso = del resto pur in un'Europa cristiana le comete si giudicavan spesso segno di sciagure e/o di millenaristiche trasformazioni anche in nome della volontà divina per l'unità dell'Europa Cristiana .


(Digitalizzate = Lettere di F. Cortés al S.mo ed Inv.mo Imp. Carlo V intorno ai fatti della Nuova Spagna o Messico = vedasi anche Pianta di Temistan o Tenochtitlan utile a Cortés per orientarsi nella metropoli dell'Impero azteco - uno straordinario palazzo di Montezuma e i recessi ove "ogni notte pregava il suo demone" come scrive il Bustamante...  importante sul tema l'opera geografico-erudita di T. Porcacchi per la scoperta, ricerca, stampa di materiale - a lungo tenuto segreto dagli Spagnoli - si veda l'opera tormentata del dimenticato erudito italiano Lorenzo Boturini = la Profezia sulla fine dell'Impero dalla Storia del Messico di A. Torozomoc = "...La principessa [sorella, non amata, di Montezuma II, in fama di religiosissima se non addirittura di sibilla e, cosa da lui oltremodo destastata, concorde coi Sacerdoti del culto tradizionale ] pregollo [l'uomo che, invocato dalla consorte, l'aveva trovata viva e sana dopo che la morte l'aveva poco prima sottratta] di far sapere a Montezuma [i nomi risentono dei fenomeni di spagnolizzazione e variano nella grafia: propriamente dovrebbe dirsi Moctezùma Sciocoyotzin, vale a dire Moctezùma il Minore per distinguerlo da Moctezùma il Grande, vale a dire Moctezùma I ] suo fratello ch'ella avea un affare dell'altro mondo da partecipargli. Montezuma, accompagnato dal re di Tescùco e da alcuni grandi della sua corte andò a vedere la pretesa resuscitata [oltre la "favola" di cui qui si parla, non si può escludere un qualche fatto reale e che, con il supporto dei sacerdoti avversi alla riforma teocratica dell'Imperatore, la donna avesse fatto ricorso per una sorte di catalessi alle svariate proprietà della medicina sciamanica] : trovolla in mezzo ad una folla di preti, mentre assicurava a tutta questa assemblea colla massima franchezza, ch'era veramente morta, ma che nel momento che passava il fiume dell'oblivione, un giovane l'arrestò, la prese per mano, e le fece comprendere che il regno dei cattivi era finito, che Topilcin era in via per tornare nel Messico e spandere una nuova luce sull'Anahuac; e che la consigliò a riedere nuovamente alla vita, per annunziare l'ultima risoluzione di Dio, e predicare che tutti si preparassero a ricever Topilcin rispettosamente e con gratitudine, siccome una celeste redenzione, e per ricevere ella la prima, devotamente, il divino liberatore [e il tutto innegabilmente risuonava come una condanna della riforma teocratica realizzata da Montezuma oltre che una formidabili riproposizione delle vicende degli antichi Aztechi, da secoli scesi nell'ombra, che, dopo tante vicissitudini e peregrinazioni, come imposto da un oracolo, più antico d'ogni cosa, si fermarono innanzi ad "un'Aquila assisa sur un Nopalo che venisse fuori dalle crepacciature di uno scoglio" = nel luogo donde che avrebbe segnato ed esteso i grandi destini dell'immenso Impero che da loro sarebbe derivato ]... ")

L'Impero Azteco non fu molto dissimile rispetto agli imperi della storia europea.
Come molti imperi europei, infatti, era composto da molte etnie: era un sistema di tribù più che un vero e proprio sistema di amministrazione.
Arnold Toynbee, nell'opera Guerra e Civilizzazione, lo paragona all'impero assiro anche per la violenza di alcune pratiche, in particolare religiose durante le quali si praticavano i Sacrifici umani.
Il membro più importante del governo azteco è l'Imperatore.
Il titolo Nahuatl per una posizione del genere, huey tlatoque, si traduce con "Grande Comandante"; i Tlatoque erano una classe superiore.
L'huey tlatoque degli Aztechi era altrimenti conosciuto come il tlatoani ("Oratore") o huey tlatoani ("Grande Oratore").
Questo ufficio prese gradualmente più potere con la crescita di Tenochtitlán, e col tempo "Imperatore" divenne un'analogia giusta; come spesso nell'Impero Romano, il titolo non era ereditario.
L'huey tlatoani di frequente sceglieva il successore insieme ai propri consiglieri.
La maggior parte dell'impero azteco fu formata da un uomo, Tlacaelel (in Nahuatl "cuore virile").
Anche se gli fu offerta l'opportunità di essere un tlatoani, preferì stare dietro il trono.
Tlacaelel era nipote del tlatoani Itzcóatl, e fratello di Chimalpopoca e Motecuhzoma I, il suo titolo era Cihuacoatl (in onore della dea, traducibile con "consigliere"), ma come riportato nel Codice Ramírez, "quello che ordinava Tlacaelel, veniva fatto al più presto".
Diede al governo azteco una nuova struttura, ordinò la distruzione della maggior parte dei libri Aztechi (la sua spiegazione fu che erano pieni di inesattezze) così poté riscrivere la loro storia.
Inoltre Tlacaelel riformò la religione Azteca, ponendo il dio tribale Huitzilopochtli sullo stesso piano degli antichi dei nahuas, Tlaloc, Tezcatlipoca, e Quetzalcoatl.
In questo modo Tlacalel creò una coscienza storica per gli Aztechi.
Creò anche l'istituzione della guerra rituale (le guerre dei fiori) come un modo per avere combattenti addestrati, e la necessità di sacrifici umani costanti "per tenere il Sole in movimento".
Alcuni scrittori credono che le classi più alte erano consapevoli di questa falsificazione, il che può spiegare le azioni che fece Montezuma quando incontrò Hernán Cortés.
Ma, infine, le istituzioni contribuirono alla caduta dell'impero Azteco.
Il popolo di Tlaxcala fu conquistato risparmiando delle vittime, a costo di partecipare alla guerra dei fiori.
 
Hernàn Cortés - Fonte: Wikipedia
Quando Cortés venne a sapere ciò, li avvicinò ed essi diventarono suoi alleati.
I Tlaxcaltechi fornirono migliaia di uomini a supportare le poche centinaia di spagnoli.
La strategia di guerra Azteca era basata sulla cattura di prigionieri che poi venivano sacrificati.
Politicamente l'impero, costituito da una confederazione di città-stato, principati e regni tributari, si fondava sulla confederazione delle tre città-stato che lo avevano fondato: Tenochtitlán, Texcoco e Tlacopan.
Le tre città componevano la confederazione del "Cem Anahuàc" (l'Unico Mondo) e ognuna era governata da propri re ed istituzioni. La predominanza di Tenochtitlán, capitale degli Aztechi Tenocha, si accentuò rispetto alle altre due città-stato solo nell'ultimo secolo della civiltà azteca. Il resto dell'impero confederato era formato da varie province che raggruppavano più città-stato e principati e distinte anche per gruppi etnici.

 
 

mercoledì 13 luglio 2016

La Fonte dell'Immortalità tra leggenda, storia e letteratura

Mappa del 1625 che indicherebbe la presunta posizione di El Dorado e del leggendario lago Panama - Fonte: Wikipedia
Alla radice della ricerca della Fonte dell'Eterna Giovinezza si può sostenere risieda il Romanzo di Alessandro, molto diffuso dall'età classica al Medioevo ed oltre. Fantasticamente e variamente elaborato sulla base delle tante narrazioni a proposito della grande spedizione in Asia di Alessandro il Grande sin ai tempi della grande battaglia vittoriosa contro il re Poro o Poros, ancora oggetto di studi nel XIX secolo.

Non si possono escludere altre interferenze narrative, scritte ed orali, tra cui il fatto che queste ricerche siano state influenzate anche dalle letture su "Giovanni di Mandavilla" e la "Fonte dei Giovani" che da questi sarebbe stata individuata (il viaggiatore inglese del XIV sec. Johan de Mandeville era autore citato anche da Angelico Aprosio come "Gio: Mandavilla Cavaliere Inglese"). 

In merito alla Fonte dell'Eterna Giovinezza, cercata in Florida dal "Conquistador" Juan Ponçe de Leon, la ricerca della stessa è degna veramente di considerazioni sospese tra storia e leggenda.

Juan Ponçe de Leon, secondo una fra le tante interpretazioni anche prosaiche seppur logiche avanzate - pur se giammai è da dimenticare che l'esistenza della magica sorgente, oltre che da dicerie di avventurieri e fantasiosi narratori, fu anche testimoniata da una seria lettera documentaria a Papa Leone X - si sarebbe messo alla ricerca della Fonte della Giovinezza sulla scia di un sogno alchimista.

L'impresa ebbe inizio nel 1512 e si concentrò sulla ricerca dell' isola di "Bimini", unanimente ritenuta sede della fonte. Ma quest'isola gli risultava introvabile e, per quante anche altre isole e relative sorgenti egli esplorasse ed esperimentasse, nessun risultato si ottenne, fino al punto che il conquistatore spagnolo deluso, stanco e malato abbandonò l'impresa, lasciando il compito di continuare le esplorazioni ad un suo fido capitano.

Costui si chiamava Juan Perez de Ortubia e nel corso di infinite investigazioni - guidato da una vecchia "sibilla o maga", conosciuta e assoldata dal Leon - scoprì la mitica "Bimini", isola splendida vero e ricca di fonti ma, con generale delusione, non di quella che avrebbe ridonato la gioventù ai vecchi. 

Non si può far a meno altresì di tenere conto sul tema delle preoccupate osservazioni del prestigioso teologo e demonologo Martin Del Rio, spargendosi facilmente notizie non solo di tal sorgente ma altresì di indiani in forza di quella giunti ad incredibili età avanzate, in cui lui riconosceva contestualmente accordi e collusioni con potenze demoniache, laddove il Diavolo si celava sotto altre forme e sotto nuovi nomi. 

Come per esempio nel caso del vasto Pantheon dei tanti dei dai molteplici nomi: che qui si propongono facendo precedere il tutto dalla stampa antiquaria dell'"Ingresso di un Tempio Messicano con Altare", proprio del colossale Impero degli Aztechi. 

Si trattava, comunque, in merito all'esistenza di qualsiasi sorgente o sostanza liquida - in qualsivoglia luogo fosse - di una favola, che spesso divenne follia terrorifica, come quella che governò la mente ormai insana, proprio nel XVII secolo, della tragica e transilvanica contessa Erzbeth Bathory.  Per non parlare dell'ex Regina di Svezia, Maria Cristina, interessata nella sua frenesia, oltre che all'Alkaest ed altri prodotti, anche al tema della "Fonte della Giovinezza"

Senza dimenticare l'influsso del tema sulla LETTERATURA FANTASTICA ED ORRORIFICA. Citando, infine, per chiosare questa lunga disquisizione, dai Racconti narrati due volte di Nathaniel Hatworne il tema argutamente elaborato della fonte della giovinezza qui digitalizzato sotto il titolo de L'esperimento del dottor Heidegger.

da Cultura-Barocca



domenica 3 luglio 2016

Sulla lunga storia dello specchio

Specchio etrusco che raffigura l'aruspice Calcante mentre esamina i visceri di un animale sacrificato - Fonte: culturamugellana.com
Nell'antichità l'uso dello SPECCHIO pare fosse generalmente limitato a strumenti portatili, per la toeletta delle donne. Presso gli egizi della IV-V dinastia erano comuni piccoli SPECCHI di metallo, sia prezioso, oro e argento, che ordinario, quale bronzo fuso e lavorato. Levigati da un verso, in modo da costituire la superficie riflettente, in quello opposto essi erano decorati in vario modo. La tipologia era frequentemente a disco solare, ma talvolta pure di forma ovale o a cuore. Venivano sostenuti per mezzo di un manico fatto dell'identico metallo oppure di materiali diversi come legno od avorio, cui gli artigiani conferivano forme ispirate a figure mitologiche o umane.
Pure in ambito miceneo si sono recuperati SPECCHI d'oro, d'argento e di bronzo: gli SPECCHI ebbero quindi crescente diffusione e notevole nel mondo greco ed ellenistico in cui si intensificò la cura sia del rovescio del disco riflettente (in metallo come presso gli egizi), sia nel sostegno, cui di frequente si diedero tipologie umane o animali, affermandosi pure la decorazione sbalzata e incisa ed ispirata alla mitologia.
Tale tipologia, con frequenti riferimenti al mondo dionisiaco ed erotico, si ritrova negli SPECCHI prodotti a Corinto (secc. IV-III a. C.) e con struttura a scatoletta dotata di coperchio chiudiblle su cerniera.
Nell'antichità l'arte dello SPECCHIO conobbe quindi artigiani molto abili fra gli etruschi che tra metà del sec. VI e primi del II a. C., crearono eccellenti prodotti, specie del genere a manico fuso o riportato, impreziositi da incisioni di scene mitologiche: l'archeologia ha provato che erano molto diffusi gli SPECCHI prodotti a Preneste (oggi Palestrina) fusi in bronzo (sec. IV) con decorazioni e scritte. Come presso i greci si conoscono i tipi a scatola però dalla forma quadrangolare piuttosto che rotonda.
A Roma, non meno che nei centri etruschi, gli specchietti da toeletta risultarono ricercati e diffusi un poco in tutte le tipologie: in particolare risultavano comuni gli SPECCHI d'argento, ben levigati nel dirittoe e abilmente decorati nel retro (se me possono ammirare reperti soprattutto nel museo di villa Giulia a Roma, nel Museo etrusco vaticano, nel Museo civico di Bologna).
Per quanto rari non erano però ignoti in Roma antica, al contrario di quanto si crede, gli SPECCHI di VETRO incolore, a piombo o stagno: questi datano però all'eta imperiale (secc. II-III d. C.) e, dai rinvenimenti, si deduce che erano più frequenti nei territori provinciali di produzione, come l' Egitto, le Gallie e l'Asia Minore, dove i bizantini intensificarono la realizzazione di SPECCHI di questo tipo.
In epoca medievale riprese però vigore la tradizione dello SPECCHIO metallico, in forza anche del propagarsi dell'arte musulmana (secc. XII-XIII) che si affermò con importanti esemplari in Persia, Mesopotamia e territori viciniori. In Europa l'uso del metallo levigato secondo la tecnica tradizionale dell'antichità sopravvisse a lungo: mutarono quasi soltanto le forme del montaggio, che in Francia presero ad utilizzare una custodia eburnea. La finezza di tali oggetti, che per il loro tipo rientrano in una branca delle arti minori (quella dell'avorio), fanno sì che talora si incontrino nei musei esemplari di straordinaria bellezza. Gli artigiani che lavoravano i piccoli SPECCHI portatili con montatura d'avorio erano alquanto esperti nell'intagliare le tavolette di forma circolare con bordure traforate, ispirandosi a vicende della letteratura cortese (Tristano e Isotta, scene di caccia, cortei di cavalieri), o a figurazioni allegoriche (quali la rappresentazione della fontana di giovinezza), o , dovendo lavorare per un contesto monacale, a temi religiosi (secc. XIV e il XV).
Un altro mezzo di decorazione, lo smalto per lo più policromo, arricchisce gli oggetti realizzati in Francia nel primo Rinascimento: sono da citare quelli montati con i caratteristici prodotti di Limoges. Non mancano comunque in Francia ed in altri paesi SPECCHI da toeletta in metallo prezioso, oro, argento, arricchiti da filigrane, castoni di pietre preziose, sì da coinvolgere tutte le tecniche proprie dell'oreficeria. Lo SPECCHIO portatile da toeletta risulta visibile nelle sue caratteristiche strutture anche attraverso documentazioni pittoriche o grafiche, come in miniature od dell'arazzo: ad esempio quelli del Museo di Cluny del 1375 o quelli della cattedrale di Angers.
In epoca rinascimentale, assieme al noto e piccolo modello portatile, prese a diffondersi anche il grande SPECCHIO da parete. Nell'arte fiamminga questo tipo di SPECCHI dalla struttura convessa era conosciuto dal '400, come si vede anche nei dipinti di J. van Eyck. Nei modelli italiani lo SPECCHIO vero e proprio appeso al muro risultava protetto da una custodia lignea, di tipo scorrevole oppure a portelle apribili, oppure veniva incorniciato con eleganza come si usava per i dipinti. Firenze fu uno dei centri di questo artigianato tra XV e il XVI secc.: in particolare lo SPECCHIO da parete divenne sempre più parte irrinunciabile dell'arredamento della casa.
A Venezia si affermò quindi un tipo particolare di mobile da toeletta detto restello, dove in elegante combinazione lo SPECCHIO si accompagnava a decorazioni dipinte, intagliate o scolpite.
Nel sec. XVI si affermò la produzione di SPECCHI in vetro con la novità per il rovescio della tecnica dell'AMALGAMA (mercurio e stagno).
Siffatta produzione risulta documentata in Inghilterra e in Germania già dal sec. XIV ma la veneta Murano asssunse rapidamente il diritto di primeggiare nella realizzazione di questi SPECCHI tutti in vetro detti SPECCHI CRISTALLINI, che risultavano montati anche in piccole custodie tascabili (o LIBRETTI) CHE Venezia prese ad esportare commercialmente con significativi benefici per la sua economia.
Dal 1569 data, nell'isola di Murano, la corporazione degli Specchieri.
In epoca barocca lo SPECCHIO si va ingrandendo di dimensione e caricando nell'uso delle decorazioni. In Francia si realizzaronol astre con nuove tecniche su misure sempre maggiori. Si confezionarono quindi le SPECCHIERE che divvennero presto dominanti nell'arredamento dei palazzi signorili di XVII e XVIII secc. Appese a parete esse venivano incorniciate da sofisticate bordure o cornici in legno intagliato dipinto o laccato, o anche di metallo, o infine, sull'esempio veneziano, di vetro a piccoli elementi di SPECCHI, uniti con montature metalliche. Venivano utilizzate le superfici riflettenti delle specchiere anche per aumentare l'effetto di luce negli ambienti, specie nelle cosiddette LUMIERE (piccoli SPECCHI da parete con bracci reggi-candele), in uso a Venezia. L'arte francese incentivò la moda della specchiera di grandi proporzioni quale rivestimento di intere pareti che risultò assai utilizzata nei saloni eleganti: si vedano i cai straordinari delle regge di Versailles e Fontainebleau. Sempre in Francia prese ad affermarsi lo SPECCHIO da camino che sostituì i dipinti o altri tipi di decorazione al di sopra della cappa. Infine vanno ricordati gli SPECCHI inseriti nei mobili: dalla toeletta agli armadi, al monumentali bureaux-trumeaux sino ai grandi SPECCHI a supporto isolati che risulteranno in voga con l'affermazione del gusto neoclassico nel primo '800 in Europa .
Anche presso le altre regioni europee l'arte dello SPECCHIO trova grande fortuna nel periodo barocco. Sull'esempio francese, in Germania (dove si impiegano pure cornici di porcellana o di cristallo intagliato), in Spagna, nelle Fiandre, in Inghilterra. L'arredamento inglese utilizzò anche per lo SPECCHIO delle decorazioni di gusto Chippendale o a cineserie, nei mobili laccati: e lo stesso avvenne in Olanda e in alcuni centri italiani (Venezia, Mllano, Firenze, Genova).
A Venezia si realizzarono nel '700 anche SPECCHI di minori dimensioni, incorniciati in legno laccato, spesso forniti di un cas settino porta-oggetti , e idonei per venire appoggiati su tavoli o mobili da toeletta.
Nell'Ottocento decadde la tecnica dell'AMALGAMA e si presero a confezionare lastre da SPECCHI notevolmente perfezionate.
Meno ricca divenne invece la decorazione specie con l'avvento del neoclassicismo e delle mode successive.
In Francia all'epoca di Luigi Filippo si diffuse quindi l'uso dell'ARMADIO A SPECCHIO mentre sotto il II Impero di Napoleone III parve riaffermarsi l'uso dello SPECCHIO da toeletta a mano, montato su argento od altri metalli preziosi.

da Cultura-Barocca