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giovedì 29 novembre 2018

Lucca, 1847: parodia su una Costituzione mai concessa

 
 

 
 
 
 
 

 

 
 

 
 

 
 
 

IL TESTO INTEGRALMENTE SOPRA RIPORTATO DELLA COSTITUZIONE DEL DUCATO DI LUCCA RAPPRESENTA UN PIU' CHE UNICO CASO LETTERARIO DI PARODIA E SATIRA SU UNA "COSTITUZIONE MAI CONCESSA" E QUINDI SULLA CADUTA DI UNO STATERELLO ITALIANO FILOAUSTRIACANTE.
NONOSTANTE LE INDAGINI DI MARIO BATTAGLINI, CUI SI DEVE LA RISTAMPA DI QUESTO LAVORETTO (PP. 200-213 E P. 305) E LA SUA PROPOSIZIONE IN QUESTA SEDE, L'AUTORE E' RIMASTO ANONIMO E SCONOSCIUTO, ANCHE SE DELL'OPERA HANNO POI PARLATO IL MARTINI (MEMORIE INEDITE DI GIUSEPPE GIUSTI, MILANO, 1980, PAG. 273) CHE LA GIUDICO' UNA SATIRA ARGUTA E TAGLIENTE, STAMPATA ALLA MACCHIA, DI SOPPIATTO DIVULGATA. SARCINE DELLA STESSA SI TROVANO POI NELLA CRONISTORIA, VOL.II,2, CAP.38 DEL CANTU'.
IL LIBRETTO ORIGINALE RISULTA DI 24 PAGINE (CM.22 x 12). I DATI TIPOGRAFICI SONO FALSI, ATTESO CHE INVECE CHE NELLA PIAZZA DI PARIGI LA SATIRA FU EDITATA IN BASTIA, TIPOGRAFIA FABIANI (COME LEGGESI IN CALCE).
da  Cultura-Barocca

 

mercoledì 21 novembre 2018

La Chiesa e gli Ebrei nel 1700



Autore del volume - questo esemplare proviene da raccolta privata - fu il teologo francescano Lucio Ferraris (1687-1763)












venerdì 16 novembre 2018

La Forma Urbis Severiana

Frammento della Forma Urbis Severiana - Fonte: Wikipedia
"La Forma Urbis Severiana" (anche Forma Urbis Romae, "Pianta marmorea severiana", o Forma Urbis Marmorea) è una pianta della città di Roma antica incisa su lastre di marmo, risalente all'epoca di Settimio Severo. 

Realizzata tra il 203 e il 211, era collocata in una delle aule del Tempio della Pace (o "Foro della Pace") La pianta misurava in origine circa 13 m in altezza per 18 di larghezza e si componeva di circa 150 lastre rettangolari di marmo, non tutte di uguali dimensioni, disposte su undici file: nelle prime otto (dal basso) le lastre erano disposte verticalmente e orizzontalmente in alternanza, mentre nelle ultime tre erano orizzontali. Il disegno della pianta fu inciso sulle lastre dopo che queste ultime erano state fissate sul muro mediante grappe di sostegno e malta. Le lastre fungevano da rivestimento parietale di una delle sale disposte all'angolo meridionale del Tempio della Pace. 

Il fatto che l'ambiente immediatamente adiacente sia stato riutilizzato (intorno all'anno 530) per la Basilica dei Santi Cosma e Damiano ha permesso la conservazione della parete su cui erano applicate, pur con rimaneggiamenti legati alla storia edilizia della chiesa. Sulla parete della Forma sono tuttora visibili i fori utilizzati per le grappe di fissaggio della pianta.

La pianta è redatta nella scala 1:240 ossia un piede [ il piede romano era la principale unità di misura di lunghezza nel mondo romano in campo militare e civile. Deriva dal piede greco-attico. Gli studiosi non concordano sull'esatta lunghezza del piede, ma è comunemente accettata la lunghezza di 29,6 cm. Prima della sua adozione, in Italia era comunemente utilizzato il pes oscus o 'italicus' di lunghezza pari a circa cm. 27,5. 

Nel Tempio di Giunone Moneta era conservato l'esemplare a cui si ricorreva per avere una misura autentica e autorizzata della principale unità di misura romana. Per questo motivo il piede romano era noto anche con il nome di pes monetalis. Sono note due distinte suddivisioni: la suddivisione di origine greca era in digitus, palmus, semipes e palmus maior; la suddivisione di origine italica era in silicus (1/48), semuncia (1/24), uncia (1/12), sescuncia (1/8), sextans (1/6), triens (1/3), quincunx (5/12), semipes (1/2), septunx (7/12), bes (2/3), dodrans (3/4), dextans (10/12), deunx (11/12). - i multipli sono: palmipes (5/4), cubitus o ulna (3/2), dupondius (2), pes sexterius o i>gradus (5/2), passus (5), pertica o decempeda (10), actus (120), stadium (625), miliarum (5000) = cento piedi erano spesso usati come modulo nell'architettura: misuravano cento piedi la colonna Traiana e quella Aureliana, oppure l'aula della basilica Palatina di Costantino a Treviri] sulla Forma corrisponde a 2 actus nella realtà [ l'actus minimus: 120×4 piedi (35,5×1,2 metri); l'actus quadratus o acnua, agnua: 120×120 piedi (35,5×35,5 metri); l'actus duplicatus: 240×120 piedi (71×35,5 metri). 

Queste misure erano utilizzate soprattutto nell'ambito delle centuriazioni. 

Un esempio è il tessuto urbanistico del centro storico di Corigliano d'Otranto in provincia di Lecce nel quale, fra via Capiterra e via Cavour, è individuabile un rettangolo abitativo strutturato su lotti corrispondenti a multipli o sottomultipli dell'actus romano] ed è orientata, diversamente dagli usi moderni, con il sud-est in alto. È rappresentato in dettaglio il piano terra di tutti gli edifici, compresi colonnati e scale interne. Le dimensioni di alcuni monumenti erano però redatti in scala maggiore; questi dovevano avere prevalentemente funzione orientativa. 

Il tracciato del Septizodium alla base del Palatino - Fonte: Wikipedia
La datazione della pianta è posteriore al 203, data della costruzione del Septizodium (Settizonio), rappresentato su uno dei frammenti, e anteriore al 211, anno della morte di Settimio Severo: questi viene infatti citato come regnante, insieme al figlio maggiore Caracalla nell'iscrizione incisa su un gruppo di frammenti (SEVERI ET [AN]TONINI AV[GG] NN [...], ossia "di Severo e Antonino, nostri augusti" (l'iscrizione, come di consueto sulla pianta marmorea, è al genitivo: non si tratta, come erroneamente riportato, di una dedica). La mancanza dell'altro figlio di Settimio Severo, Geta, associato al trono nel 209, fa propendere per una datazione anteriore a tale data. 

La pianta fu probabilmente eseguita in occasione della ricostruzione di alcuni settori del Tempio della Pace danneggiati da un incendio nel 192. 

È possibile che la pianta severiana sostituisca una pianta più antica, dell'epoca di Vespasiano, il costruttore del complesso monumentale. 

La forma era probabilmente connessa con la pianta catastale ufficiale di Roma redatta su papiro, forse conservata nella medesima sala. Quest'ultima pianta, più facilmente aggiornabile, doveva riportare anche i dati riguardanti la proprietà degli edifici, oltre che le loro misure. Attualmente si conservano 1.186 frammenti delle lastre, che coprono circa il 10-15% del totale della superficie. Furono rinvenuti a più riprese, a partire dal primo ritrovamento del 1562, talvolta anche in luoghi non corrispondenti all'originaria collocazione. 

Alcuni dei frammenti ritrovati nel XVI secolo andarono perduti prima del loro trasferimento ai Musei Capitolini, tuttavia di alcuni di essi possediamo vari disegni rinascimentali. Nel 2002 la Stanford University (San Francisco, California) ha curato un progetto basato sulla creazione di un data-base on-line dei frammenti esistenti per la ricostruzione della pianta con l'ausilio di tecnologie informatiche, il cui risultato è stato il posizionamento di quattro ulteriori frammenti. 

Uno dei contributi più recenti allo studio della Forma Urbis permette di stimare il contenuto metrico della pianta marmorea tramite l'analisi del rapporto tra le strutture riprodotte sulla Forma e la topografia reale, utilizzando tecniche geomatiche per verificare la posizione relativa dei frammenti. 

Dallo studio si confermano le ipotesi di una scala globale unica in tutte le direzioni ma di una diversa dimensione di rappresentazione degli edifici maggiori; nel caso del Teatro di Marcello, l'applicazione del metodo proposto ha portato alla formulazione di una ipotesi di ricollocazione di alcuni frammenti al fine di ricostruire una scala uniforme sulla relativa lastra. 

Nel corso del tempo, molti studiosi si sono occupati dell'identificazione degli edifici raffigurati sui frammenti ed hanno proposto nuove localizzazioni e interpretazioni: Lucos Cozza, Emilio Rodríguez Almeida, Claudia Cecamore, Filippo Coarelli, Daniele Manacorda, Domenico Palombi, Luigi Pedroni, David West Reynolds e Pier Luigi Tucci.

da Cultura-Barocca

domenica 11 novembre 2018

Il Piccolissimo, uno dei tanti periodici propagandistici della Grande guerra

   
Mentre con la conclusione della PRIMA GUERRA MONDIALE venivano poste le basi per il nuovo assetto d'Europa, in Italia, seppur lentamente, sfumavano le enfatizzazioni della retorica di guerra,  semmai si cercava internamente la soluzione di PROBLEMI ANNOSI e spesso dolorosi ch'avevano contrapposto le genti come quello della QUESTIONE ROMANA, CIOE' DEI RAPPORTI TRA LO STATO ITALIANO E LA CHIESA, e si andava creando un clima di attese anche preoccupate onde vedere realizzate tutte le aspettative sancite dal patto di Londra.

Ed è interessante seguire la portata di siffatti eventi scorrendoli sulle pagine dei numeri del 1919 del il PICCOLISSIMO, uno dei tanti "periodici propagandistici di guerra", la cui peculiarità consiste però nel parlare ad un pubblico minimo, di scolari e giovanissimi studenti (era infatti edito dal Comitato laziale dell'Unione Insegnanti).
 

Dopo i clamorosi accenti patriottici dei NUMERI DEL 1918 culminati nell'anche giusta e giustificata retorica d'amor patrio del NUMERO DELLA VITTORIA (Anno II, n.23, del 15 novembre 1918) dal 1919, 


nell'ansiosa aspettativa della Conferenza di pace e di fronte a voci più o meno attendibili di qualche penalizzazione italiana, i nuovi NUMERI (Anno III, 1 , 2, 3, 4) 

 
andarono a soffermarsi piuttosto sulle grandi calamità della guerra, sull'Europa e sull'Italia prostrate, sul ritorno dei reduci, per lo più agricoltori, e la loro vitale esigenza non solo di esser compensati in linea con le promesse a monte dell'intervento bellico ma quantomeno sulla loro possibilità di un costruttivo reinserimento nel mondo del lavoro.



da Cultura-Barocca

mercoledì 7 novembre 2018

Il Teatro alla Moda

 Occorre sottolineare che nel Seicento, nonostante i successi e la frequentazione di un pubblico sempre più vasto, il Teatro fosse spesso visto con sospetto dai conservatori, ecclesiastici e non, e che non pochi ne caldeggiassero una moralizzazione anche in merito al comportamento, in scena, ma soprattutto nella vita privata, degli artisti e delle artiste in particolare. 

In effetti non mancavano e ancor più con lo scorrere del tempo non sarebbero mancate attrici spregiudicate e primedonne capricciose come si evince da un letterato, Benedetto Giacomo Marcello (Venezia, 24 luglio 1686 - Brescia, 24 luglio 1739, che è stato un compositore, poeta, scrittore, avvocato, magistrato e insegnante italiano, cui è stato dedicato il Conservatorio di Venezia.
Ai tempi dell'Autore il Teatro stava subendo un'involuzione che sarebbe diventata un fatto così eclatante nel '700 proprio per i capricci di tanti suoi protagonisti, da avere poi diversi autori satirici che misero in evidenza siffatta situazione, tra cui indubbiamente spicca Benedetto Marcello con il suo Teatro alla Moda.

Tra gli autori che presero in satira i difetti del teatro moderno i nomi risultano numerosi e importanti (compare anche il giovane Goldoni) e specie in merito al predominio in esso dei "Capricci di Compositori di Musica, di Virtuose e Virtuosi" (cioè Attori e Attrici) si possono rammentare letterati di grido quali l'Algarotti, il Pianelli e l'Artenga, il Gravina, il Muratori, il Crescimbeni, il Maffei, il Baretti, il Gozzi, l'Albergati ed il Parini, Jacopo Martello, Simeon Sogràfi, Filippo Pananti: molto spesso comunque debitori del Marcello.

Anche se non si possono non menzionare, specie a scapito delle donne operanti sulle scene, già dal tardo '600 casi limite opposti, rappresentati, per esempio, da Lodovico Adimari e dalla "Basilissa" o ex Regina di Svezia Maria Cristina.



In particolare la condanna morale delle donne del mondo dello spettacolo, estremizzazione antifemminista contro le donne teatranti = ....Pudica esser non può Donna vagante,/ La cantatrice è tal, dunque è puttana.... , ovvero il caso del settecentesco nobile e letterato Lodovico Adimari...


da Cultura-Barocca

giovedì 1 novembre 2018

Plinio il Vecchio e la Via dell'Ambra

   Plinio il Vecchio nella sua Storia Naturale ci ha lasciato la più interessante descrizione dell'AMBRA e dei grandi commerci che si intrattenevano ai suoi tempi attraverso la storica VIA DELL'AMBRA anche se del prodotto non aveva grande considerazione ritenendolo solo un'ostentazione vana di lusso e scriveva (libro XXXVII, 11): "Il posto immediatamente seguente tra gli oggetti di lusso, anche se finora solo per le donne, è occupato dall'ambra. Tutti questi materiali godono dello stesso prestigio delle gemme: i primi due, sicuramente, per qualche ragione: i vasi di cristallo si usano per le bevande fredde, quelli di murra per le bevande sia fredde che calde, ma quanto all'ambra, nemmeno il lusso è ancora riuscito a escogitare una ragione per il suo uso".

Tuttavia lo scienziato romano, nonostante il suo moralismo permeato di antifemminismo, non potè far a meno di dedicare un'ampia trattazione ad una sostanza che godeva di un grande commercio e, dopo aver disperso come sciocchezze le leggende mitologiche elaborate soprattutto dai Greci sulla genesi dell'ambra, così scrisse nello stesso libro di seguito dal par. 42:
"E' certo che l'AMBRA si genera nelle isole dell' Oceano settentrionale e che dai Germani è chiamata gleso " [Come anche in un passo della Germania, 45, 4 di Tacito] ", ed è perciò che anche i nostri compatrioti hanno chiamato Glesaria una di queste isole " [Menzionata già da Plinio per identificare una delle isole Frisone, forse Borkum] ", quando Germanico Cesare conduceva colà operazioni con la flotta " [Forse la missione contro la Germania dal Mare del Nord, nel 16 d. C.] "; i barbari la chiamano Austeravia. Si forma, l'ambra, dal midollo che stilla da un tipo di pino, come la gomma nei ciliegi o la resina nei pini fuoriesce per eccesso di liquido " [L'ambra è una resina fossile essudata da un tipo di pino ormai estinto detto Pinus succinifera, nelle foreste del Terziario]. " Si solidifica per il gelo o per le condizioni atmosferiche o per effetto del mare, quando le onde agitandosi la strappano dalle isole. Allora, come che sia, è rigettata sulle rive, ed è trasportata così facilmente che sembra restar sospesa e non calare a fondo. Che si trattasse del succo di un albero lo credettero anche i nostri antenati, che perciò la chiamarono succino " [L'etimologia proposta da Plinio (sucinum da sucus) è inesatta; l'origine della parola è oscura (le sta vicino il lituano sakas = resina). Il termine ambra è di origine araba, da ambar] ". Che poi l'albero sia un tipo di pino lo indica l'odore di pino che l'ambra produce se la si strofina e il fatto che, ad accenderla, brucia allo stesso modo e con le esalazioni di una torcia resinosa " [Vedi pure Tacito, Germania, 45. 6] ". I Germani la portano soprattutto dalla provincia di Pannonia e di là per primi i Veneti, che i Greci hanno chiamato Eneti, ne diffusero la fama, vicini com'erano alla Pannonia e vivendo attorno al mare Adriatico. La storia è certo associata al Po per una ragione evidente: ancora oggi le contadine transpadane portano oggetti d'ambra a mo' di monili, soprattutto per ornamento, ma anche per le sue proprietà medicinali; si crede infatti che l'ambra sia efficace contro le tonsilliti e le malattie della gola, perché la natura delle acque in prossimità delle Alpi provoca infezioni di vario tipo alla gola degli uomini" [Probabile riferimento al fenomeno patologico del gozzo diffuso, comune appunto in determinate regioni montagnose, tra cui le vallate alpine, e anche oggi da molti ricondotto alla presenza particolari sostanze nelle acque potabili].
"La distanza da Carnunto" [scrive ancora Plinio] ", in Pannonia, " [Carnuntum era un'importante roccaforte militare al confine fra Norico e Pannonia (a circa 40 km a sud-est da Vienna sul Danubio, vicino all'odierna cittadina di Petronell). La VIA DELL'AMBRA ( nel fiorire dell'IMPERO DI ROMA e nel contesto del MERCATO IMPERIALE ROMANO ) correva, attraverso Carnuntum, dal Baltico all'Adriatico (Aquileia): la distanza indicata da Plinio (circa 888 km) sembra in effetti corrispondere a questo percorso] " alle coste della Germania, da dove si importa l'ambra, è di circa 600 miglia: il fatto è stato accertato da poco, ed è ancora vivo il cavaliere romano inviato a procurarsela da Giuliano, quando questi fu incaricato di curare lo spettacolo di gladiatori dato dall'imperatore Nerone. Egli attraversò i mercati e le coste e ne riportò una quantità cosi grande che le reti protettive che tenevano lontane le fiere dal podio erano annodate con pezzi d'ambra, e inoltre le armi e le barelle e tutto l'apparato di ciascun giorno (dal momento che lo sfarzoso allestimento ogni giorno cambiava) erano ornati d'ambra. Il blocco maggiore che egli riportò era del peso di 13 libbre " [quindi oltre 4 Kg.] ". E' certo che se ne forma anche in India " [ma secondo alcuni si tratterebbe di una lacca] ". Archelao, che fu re di Cappadocia, racconta che si importa di là allo stato grezzo, con la corteccia di pino ancora aderente, e che si leviga bollendola nel grasso di maiale da latte " [Dal 36 a. C. rimase sotto protezione di Antonio sino al 17 d. C. quando fu annessa da Roma. Archelao fu noto come "il geografo" e risulta citato da Plinio anche ai parr. 95, 104 e 107 di questo libro, fu probabilmente autore anche di scritti sui fiumi].
DETTAGLIO DI UNA COLLANA IN GOCCE D'AMBRA PROVENIENTE DA UNA TOMBA D'EPOCA ROMANO IMPERIALE
 
Nell'immagine di F. M. Carpenter si vede un blocco di AMBRA che contiene una MOSCA FOSSILE: la resina ha conservato perfettamente l'insetto (Pseudosphegina carpenteri): siffatti ritrovamenti, rari nel mondo, sono invece piuttosto frequenti nelle AMBRE dei terreni sedimentari dell'Oligocene del Mar Baltico.
"Che l'ambra stilli in origine come liquido " [continua nella sua dissertazione Plinio il Vecchio] " lo provano alcuni corpi che si vedono all'interno in trasparenza, come formiche zanzare e lucertole, che evidentemente si sono attaccati alla sostanza fresca e poi ne sono rimasti prigionieri quando si è solidificata " [Medesima considerazione si trova in Tacito, Germania , 45.6: GIOIELLI e nei casi più sofisticati o raffinati anche MONILI CONFEZIONATI CON PEZZI D'AMBRA CHE INCLUDEVANO ANIMALETTI erano frequenti...

"Le varietà di ambra sono numerose". "Di esse la bianca ha l'odore migliore, ma né essa né quella color cera ha pregio; la rossiccia è più pregiata, e piu ancora se è trasparente, purché la luminosità non sia eccessiva: ciò che in essa piace è un'immagine del fuoco, non il fuoco vero e proprio profumo e generazione di calore erano caratteristica dell'ambra molto apprezzate come si deduce dall'uso delle donne di tenere oggetti di questo materiale fra le mani per scaldarle e sentirne il profumo (cfr. ad esempio Giovenale 6, 573; Marziale III 65, 5)] ".
La varietà più stimata è il Falerno, detta così dal colore del vino " [Vino campano, molto robusto che spesso si beveva sciogliendovi dentro miele (la bevanda ottenuta era detta mulsum)] " : e trasparente nella sua dolce luminosità, e in essa si apprezza anche la morbida tinta del miele cotto. Ma anche questo bisogna che si sappia, che l'ambra si tinge in qualunque colore si voglia, col sego dei capretti e la radice della borragine; ora anzi si tinge anche con la porpora. D'altra parte, quando lo sfregamento delle dita introduce in essa un soffio di calore, l'ambra attrae a sè paglie, foglie secche e fili di tiglio, come la pietra magnetica il ferro " [Plinio segue qui da vicino un passo del trattato teofrasteo De lapidibus 28. Sul magnetismo cfr. Plinio, XXXVI, 12 7 ].
"Inoltre i trucioli d'ambra bagnati nell'olio bruciano più luminosi e più a lungo che il midollo del lino."
La sua valutazione tra gli oggetti di lusso è così alta che una statuetta d'uomo in ambra, per quanto piccola, supera il costo di uomini viventi e in forze; sicché non basta certo un solo biasimo: nei vasi di Corinto si ammira il bronzo mescolato all'argento e all'oro; nei vasi cesellati, l'arte e l'ingegno; dei vasi di mirra " [La myrrha, murrha o murra è forse da identificare con la fluorite, un minerale incolore e di lucentezza vitrea] " e di cristallo abbiamo già detto la bellezza; le perle si portano attorno alla testa, le gemme al dito; insomma, in tutti gli altri oggetti preziosi per i quali abbiamo un debole ci piace o il metterli in mostra o l' uso pratico, negli oggetti d' ambra solo la consapevolezza del lusso. Tra le altre bizzarrie della sua vita, Domizio Nerone aveva adottato questo nome perfino per i capelli di sua moglie Poppea, chiamandoli anche in un suo poema ambrati, giacché non mancano mai nomi ricercati per designare i difetti; da allora, le signore hanno cominciato a volere questa specie di terzo colore per i loro capelli. Un qualche uso dell' ambra si trova tuttavia in medicina, ma non è per questo che essa piace alle donne; è di giovamento ai bambini che la portano a mo' di amuleto. Callistratoto dice che, ingerita liquida o portata come amuleto, è utile, a ogni età, anche contro gli attacchi di delirio e la stranguria. Egli ha anche introdotto una nuova varietà definendo criselettro un tipo di ambra che è del colore dell'oro e la mattina ha un aspetto delizioso, ma che, se c'è fuoco vicino, vi si attacca immediatamente e brucia in un attimo. Portata al collo come amuleto quest'ambra curerebbe le febbri e le malattie; tritata invece e mescolata a miele e olio di rose sarebbe un rimedio contro le malattie delle orecchie e, se tritata con miele dell' Attica , anche contro l'oscuramento della vista, e ancora contro le malattie dello stomaco, sia presa da sola in polvere sia bevuta in acqua con mastice. L'ambra ha un ruolo importante anche nella creazione delle false gemme trasparenti, in particolare delle ametiste, anche se, come abbiamo detto, la si tinge in tutti i colori ".

da Cultura-Barocca