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domenica 25 giugno 2017

Ipnotismo, sonnambulismo, fascinazione, sibille

Il presunto Antro dell'Averno
La tecnica dell'IPNOSI e dell'IPNOTISMO (nell'età intermedia sempre in bilico tra le ACCUSE DI PRATICA STREGONESCA e di ESERCIZIO CIRCENSE) prima di essere faticosamente riscatta dalla SCIENZA MODERNA) risale a tempi assai remoti: scomodando il complesso, e non sempre decifrato, patrimonio sacerdotale egizio o caldeo, si può per esempio affermare, senza tema di smentimenti, che per molti versi il sonnambulismo, una fra le principali conseguenze dell'ipnosi, era già stato intimamente connesso a pratiche rituali pagane, perseguite dal Cristianesimo primigenio, come le "arti proibite" della Profezia e/o Divinazione [storicamente proprie della cultura oracolare e della tradizione profetica delle SIBILLE (PROFETESSE - PITONESSE -PIZIE) antiche [celeberrimo in particolare l'ANTRO DELLA SIBILLA CUMANA] ormai equiparate dalla pubblicistica ecclesiastica ma anche da interessati medici al rango di a STREGHE]: un rarissimo esempio della sopravvivenza della cultura oracolare delle Sibille (sconosciuto alla cultura inerente ed alle bibliografie ufficiali e comunque ascritto al settore dei "libri eretici" e quindi dei "libri proibiti") è il VOLUME (edito nel 1775 a Viterbo, per lo stampatore Domenico Antonio Zenti, formato in 8°, di pp.6-20-166 con il frontespizio interamente inciso) di Vincenzo Azzolini dal titolo Oracoli Sibillini, libri sei, Tradotti dal Greco in Versi Sciolti Toscani.
Sulle radici di una gloriosa tradizione letteraria il mito della SIBILLA CUMANA peraltro valicò la scomparsa del mondo antico e nel Medioevo si cercò di individuare, secondo la tradizione della poesia virgiliana letta attraverso il commento di Servio, la sede dell'oracolo sibillino: esercitò poi sempre un particolare fascino tra i dotti la leggenda virgiliana della discesa agli inferi di Enea, cioè della sua "missione" all'AVERNO destinata a forgiare e giustificare i destini di ROMA, sotto la guida della profetessa. Su tale direttrice culturale si cercò quindi di individuare l'antro della mitica discesa sulla sponda del LAGO D'AVERNO, localizzandolo presto negli ambienti tuttora caratterizzati dal toponimo GROTTA DELLA SIBILLA.
Per l'intiero Rinascimento non si discusse mai tale identificazione atteso che era stata sostenuta anche dal Petrarca e dal Boccaccio oltre che dagli antiquari locali e dai viaggiatori stranieri.
Scetticismo mostrarono ben pochi studiosi tra cui l'Alberti ed il Capaccio, che rigettarono siffatta localizzazione, in forza d'una analisi critica, esente da qualsiasi principio d'autorità, del testo virgiliano, che li portò ad individuare con giustezza nella GROTTA DELLA SIBILLA un arcaico camminamento tra il Lucrino e l'Averno: eppure nonostante la loro autorità da cui si evolsero i sempre maggiori dubbi degli eruditi, la visita all'ANTRO DELL'AVERNO costituì per molto tempo ancora una delle mete predilette del Grand Tour proprio mentre le rovine dell'Acropoli di Cuma erano degradate nell'indifferenza generale sino ad un secolare abbandono.
Si tratta probabilmente di leggende, connesse alla letteratura -in gran parte oracolare- fiorita intorno alle figure delle Sibille ma nello smisurato campo degli studi sull'aretalogia pagana si individuano vaghissime tracce su una casta sacerdotale femminile, per breve periodo di un certo peso culturale e sociale tra area Mesopotamica ed Oasi di Tineh in Egitto, la cui Sacerdotessa madre avrebbe detenuto il potere dell'Ingadurn, nome che è giunto solo oralmente e in vari esiti, tutti inspiegabili, che per quei pochi dati che è stato possibile mettere insieme parrebbe essere uno fra i tanti nomi dell'arte ipnotica, ma senza uso di filtri e specchi: sarebbe stato un modo d'entrare nelle menti dei più semplici e ricettivi sì da suggestionarli, creando immagini di varia natura, spesso terrificanti o consolatorie. Non si sa di più sulla tecnica dell'Ingadurn per alcuni si tratta solo d'una leggenda alimentata per rendere più temuta la figura della Sacerdotessa madre: per vie insondabili ed inspiegabili, già in epoca romana, alcune maghe di tradizione orientale avrebbero condotto nella capitale, più come un gioco da illusionisti, i rudimenti di tale "pseudoscienza" per far soldi alle fiere ed ai mercati.
Anche nella Grecia classica la condizione pseudonirica dell'estasi poi confusa facilmente con il discusso tema dell'ipnosi [cui peraltro non era estranea l'assunsione di sostanze allucinogene] era peraltro considerata - da una postazione sempre maschilista - più consona alla fragilità emotivo-costituzionale femminile (che si esaltava nel ruolo sacrale della PIZIA (PITONESSA), equivalente della "SIBILLA" O MEGLIO DELLE "SIBILLE") e poco in sintonia con l'aristocratico decoro dei maschi egemoni) o come il "Sonno rituale" o "terapeutico" presso gli antichi templi, contro cui (come avverso il rituale delle "abluzioni curative" nelle Fonti sacre dei Luci o "Boschi sacri", spesso votati alla religione celto-romana delle Matres ed ancor più contro il tema di ascendenza ellenistica ma non ignaro in contesto romano dell'Aretalogia o Miracolistica Pagana nel Sonno Sacro presso i Santuari della Guarigione e comunque connesso alla potenza guaritrice di Apollo e del di lui figlio Esculapio di cui restano importanti attestati archeologici e documentari), in varie fasi dell'evoluzione del cristianesimo, si dovette intervenire, dall'autorità episcopale, per dissuadere fedeli, in cui sopravvivevano, in sinergia e sincretismo cogli elementi base del Cristianesimo, radicate convinzioni idolatriche.
Naturalmente - pur non potendo ignorare questi presupposti cultuali e la storica, soprannaturale fobia per Demoni Incubi e Succubi (in qualche maniera, nell'età intermedia, fobia od ossessione esorcizzata dal Sonno profondo sotto forme di parossistico terrore e spesso posta alla radice probatoria -come Maleficio- di procedimenti per Stregheria) - la storia recente dell'IPNOSI si rifà alle osservazioni parascientifiche di Mesmer da cui poi derivarono distinte interpretazioni, sino alla storica dicotomia tardo ottocentesca tra il pensiero di Charcot (spiegazione neurofisiologica dell'ipnosi) e di Bernheim (interpretazione psicologica), dicotomia alla fine superata da FREUD che rivalutò l'impegno diretto del paziente messo in grado di raggiungere da solo le conoscenze liberatorie.
In termini estesi si può definire l'ipnosi alla stregua di uno stato psicofisico di destabilizzazione della coscienza che viene evocato dall'ipnotizzatore e che decorre durante il rapporto con lo stesso.
In base alla tecnica seguita dall'ipnotizzatore ed in relazione alla particolare condizione emotiva dell'ipnotizzato, il processo di ipnosi è in grado di svilupparsi secondo distinti livelli (dalla vigilanza al sonnambulismo) e quindi assumere caratteristiche anche molto diverse.
Sulla linea delle considerazioni terapeutiche che le si attribuiscono l'ipnosi ha la proprietà di agire per linea diretta sulla persona psicofisica profonda del paziente. Lo stato ipnotico si reputa oggi principalmente quale condizione prevalentemente dinamica e risulta distinto dal predominio di funzioni rappresentativo-emotive in luogo di quelle critico-intellettive e da fenomeni di ideoplastia (cioè di uno stato ipnotico passivo per cui il paziente od il soggetto su cui vien fatto un particolare esperimento ipnotico può ricevere idee e suggestioni dell'ipnotizzatore) e condizioni di relativa dissociazione psichica.
Queste, come detto, sono le osservazioni sulla moderna scienza a riguardo dell'ipnosi, ma si è anche fatto riferimento alla vicenda antichissima di questa "tecnica", in forma elementare utilizzata a livello di alcune antichissime religioni pagane: proprio la capacità di "suggestionare una persona particolarmente predisposta e di inculcarle delle idee contrarie alla sua indole" ha finito per costituire nel passato uno dei pilastri ideologici della Fascinazione, matrice elementare quanto temuta dell'ipnosi vera e propria.
La FASCINAZIONE che si riteneva poter avvenire non solo attraverso la SEDUZIONE DEGLI OCCHI ma pure col concorso di particolari bevande e pozioni o sostanze capaci di modificare la psicologia di un individuo piegandola alla volontà, generalmente malefica, dell'eventuale operatore: anche per questa ragione M. DELRIO potè definire la Fascinazione come un Maleficio d'asservimento, ritenendo che per mezzo di forze distinte, principalmente col potere magnetico degli occhi ma pure servendosi di formule magiche e/o filtri vari, Streghe, Maghi e Vampiri potessero impadronirsi delle coscienze altrui e quindi delle loro stesse anime, inducendone peraltro i corpi, in forma di sonnambulismo (e quindi tramite la riproposizione di condannate esperienze idolatriche e pagane), ad operare in modi contrastanti alla loro stessa consuetudine esistenziale.
Sulla sottilissima linea che per secoli separò la giustezza dell'empirismo da vaghe esternazioni parapsicologiche, FRANZ ANTON MESMER, medico e filosofo tedesco (Iznang, lago di Costanza, 1734-Meersburg 1815) laureatosi in filosofia e in medicina a Vienna con la tesi Dissertatio physicomedica de planetarum influxum (1776), provò dapprima quali effetti potesse avere sull'organismo l'applicazione del ferro calamitato [su un piano diverso di ricerche ma comunque parimenti legato al tema antichissimo (altresì legato al teorema alchemico della FONTE DELL'ETERNA GIOVINEZZA di RINGIOVANIMENTO - IMMORTALITA' E/O ETERNA GIOVINEZZA) si può mettere SERGE VORONOFF, scienziato che ebbe contatti non indifferenti col PONENTE LIGURE e con VENTIMIGLIA in particolare].


sabato 17 giugno 2017

I Carolingi

Louis-Félix Amiel, Pipino il Breve (1837) - Fonte: Wikipedia
Con l'avvento dei CAROLINGI, i territori che oggi costituiscono la Francia entrano a far parte di un organismo politico che si estendeva molto oltre quelli che oggi sono i confini naturali francesi. L'origine stessa della CASATA CAROLINGIA (i suoi possedimenti si trovavano nella regione mosellana) la portava a gravitare al di là dei confini del regno, verso l'attuale Germania. Fu infatti in questa direzione che sotto PIPINO IL BREVE e poi sotto CARLO MAGNO (768-814) si spinsero i Carolingi nelle loro guerre contro Sassoni, Baiuvari ed Avari. 

Nel contempo i rapporti con il Papato, sanzionati dall' incoronazione di Pipino e la figura di protettori della Chiesa che sempre più i re franchi venivano assumendo, condussero Pipino e Carlo ad intervenire più volte in Italia contro i Longobardi, sino a controllare quasi tutta la parte settentrionale e centrale della penisola. Da queste conquiste e dall'alleanza col Papato derivò quel mosaico politico che fu il SACRO ROMANO IMPERO.
 
CARLO MAGNO, incoronato imperatore a Roma nella notte di Natale dell'800, riunirà nella sua persona la dignità imperiale romana ed aggiungerà ad essa la sanzione sacra del Papato. Gli ideali di restaurazione imperiale e religiosa che si manifestarono nella creazione del SACRO ROMANO IMPERO ispirarono l'opera del successore di Carlo, LUDOVICO IL PIO, e dei suoi consiglieri, tra i quali figuravano i maggiori di quei sapienti cui spetta il merito della ripresa di studi classici nota come "Rinascenza carolingia". L'Impero non tardò tuttavia a rivelarsi una creazione artificiale e provvisoria; anzi al suo interno esso venivano affermandosi formazioni etniche e territoriali ben distinte e caratterizzate. 

Per quanto concerne la Francia si tende a rilevare l'importanza dei GIURAMENTI DI STRASBURGO come prima testimonianza dell'esistenza di una comunità etnica francese distinta da quella germanica. Il fatto che a Strasburgo LUDOVICO DI BAVIERA e CARLO DI AQUITANIA giurassero rispettivamente davanti alle loro truppe in lingua romanica ed in lingua germanica di non concludere una pace separata con il fratello LOTARIO (che di Ludovico il Pio era il primogenito), il quale pretendeva la totalità del potere, ha fatto arguire che nell'ambito dell'IMPERO CAROLINGIO i popoli abitanti la Francia fossero considerati come un complesso etnico distinto da quelli abitanti la Germania. Il trattato di Verdun (843), che pose fine alle contese fra gli eredi di Ludovico il Pio citati sopra, conferma questa postulazione.
A CARLO infatti vennero assegnati i territori dell'Aquitania, della Neustria e della Borgogna corrispondenti a gran parte della FRANCIA moderna.
A LUDOVICO invece toccarono i territori al di là del Reno corrispondenti alla futura GERMANIA.
LOTARIO, oltre il titolo imperiale, ottenne i territori fra il Reno e la Saone, che presero il nome di LOTARINGIA (donde il moderno toponimo di LORENA) e che costituiranno per secoli area contesa tra Francia e Germania.
 
Non si deve credere che alla data del trattato di Verdun la Francia e la Germania fossero delle individualità nazionali ben definite. Sta di fatto tuttavia che la partizione dell'843 si mantenne, sia pure con tante modificazioni, nel corso dei secoli e che d'ora in poi la storia di Francia e Germania procederà per cammini distinti.
I primi tempi del REGNO FRANCO, dopo il trattato di Verdun, non furono facili. CARLO IL CALVO (840-877) ed i suoi successori dovettero continuamente districarsi dalle difficoltà loro create dalla insubordinazione dell'aristocrazia feudale e dalla pressione di invasori esterni.
A meridione sulle coste di Linguadoca e Provenza dovettero affrontare le incursioni dei Saraceni e a nord quelle dei Normanni, che nell'IX secolo devastarono spesso le campagne francesi, assediando la stessa Parigi. Furono respinti dopo aspre lotte, ma riuscirono a stanziarsi stabilmente nella Francia nord-occidentale che da essi prese nome di NORMANDIA, dove istituirono un potente ducato venendo poi assimilati progressivamente alla popolazione indigena.
In questo caotico periodo della storia francese (tra fine del IX e conclusione del X secolo) solo CARLO IL CALVO diede prova di spiccate qualità. I suoi successori non riuscirono che per periodi limitati ad imporre la loro autorità sui vassalli ed ebbero regni brevi e contrastati. Si ripeteva quindi con gli ULTIMI CAROLINGI quel periodo di anarchia e di intrighi che aveva contraddistinto il tramonto dei Merovingi.
Dopo una serie di vicende dinastiche e guerresche la corona pervenne nel 987 ad UGO CAPETO, DUCA DI FRANCIA. Da lui avrebbe preso inizio una dinastia destinata a sostenere una vicenda basilare nella storia della Francia medievale.
Dal punto di vista interno il periodo carolingio fu contrassegnato da uno sviluppo delle tendenze destabilizzanti manifestatesi sotto i Merovingi. L'autorità del re sui suoi vassalli e sui suoi stessi funzionari era limitata. Questi ultimi anzi da servitori del sovrano tendevano a trasformarsi in suoi "fedeli", con un tipo di "fedeltà" che il sovrano doveva comprarsi a prezzo di gravosi "benefici" che ad assottigliarono le risorse di fisco e demanio. Vano fu il tentativo attuato sotto CARLO MARTELLO di compensare queste alienazioni con il sequestro dei beni della Chiesa.
La posizione particolare della CHIESA nel SACRO ROMANO IMPERO e la sua autorità spirituale e temporale non permisero che questo tentativo producesse frutti positivi.
La vita sociale ed economica risultava quindi ancora frantumata nelle villae, divise in una réserve coltivata direttamente dal proprietario con l'aiuto dei suoi servi o la collaborazione "fiscale" dei suoi "uomini" e nelle tenures che questi ultimi coltivavano in proprio pagando un canone (quasi sempre in natura) al proprietario. Tra gli "uomini" ed il signore si istituiva di conseguenza un rapporto contrattuale: gli uni assicuravano la loro prestazione lavorativa sulle terre della réserve mentre il Dominus si incaricava della loro protezione nei confronti di pericoli esterni. Tale tipo di rapporto consensuale si estese dal basso all'alto della scala sociale, sì che i1 proprietario minore finì per cercare la protezione del maggiore, divenendone vassallo, mentre questo per sua parte si raccomandava ad altri più potenti di lui, a un vescovo, a un conte. Al sommo di questa struttura piramidale di relazioni sociali e contrattuali stava quindi il re, considerato supremo souverain fieffé.
Questo nuovo tipo di gerarchia sociale, se ha le caratteristiche di impersonalità e di universalità dello Stato romano, presenta tuttavia in lenta germinazione alcuni aspetti essenziali degli Stati moderni: soprattutto, i principi di contrattualità e consensualità, nelle relazioni tra inferiore e superiore, stavano infatti generalizzandosi ed evolvendosi verso quello della rappresentanza. 




sabato 10 giugno 2017

Serenissima Repubblica di Genova

Genova - Palazzo Ducale
Nel 1536 Carlo V concedeva a Genova un amplissimo privilegio, che equiparava il Doge nel grado e nelle insegne a tutti i duchi d'Italia e del Romano Impero.
In conseguenza, la Signoria stabiliva, il 27 dicembre 1538, che il berretto del Doge venisse ornato di cerchio d'oro, e che questo e la spada non mancassero nelle cerimonie ufficiali.
Come le insegne del potere, così anche i titoli, il cerimoniale e il punto d'onore assumevano una funzione sostanziale come elemento di valutazione per gli individui e per gli Stati, perché ogni deroga poteva significare proposito di recare offesa o di dimostrare minore considerazione; perciò premessa di ogni azione diplomatica era di ottenere tutti i titoli e i segni di rispetto che si ritenevano dovuti all'ambasciatore e allo Stato rappresentato.
Nel 1580 l'ambasciatore Giorgio Doria aveva ottenuto dall'Imperatore, Rodolfo II, (e nella richiesta era il riconoscimento del principio medievale che poneva nell'Impero la suprema fonte del diritto) la concessione del titolo di Serenissimo per il Doge, per il Senato e per tutta la Repubblica; e nel 1587 fu confermato, contro il parere di Gian Andrea Doria, che fosse attribuito al Doge (era allora Ambrogio Negrone) e ai Supremi Collegi il titolo già assunto da altri capi di Stato, ma con l'aggiunta che a questi non fosse dato se essi non lo attribuivano al Doge e alla Repubblica.
Gli ambasciatori ebbero allora l'ordine di essere inflessibili nel pretendere l'uso di quella denominazione.
Fiere le opposizioni, specialmente del Duca di Savoia, che alla fine fu costretto ad arrendersi: su ben altro terreno doveva portarsi tra non molto il conflitto.
Anche più ostinato il Duca di Toscana.
Interminabili vertenze in materia anche con l'Impero, che negava la reciprocità soltanto per mercanteggiarla con compensi in denaro, e con la Spagna per caparbia ostentazione di superiorità.
Anche se per consuetudine si parla spessosolo di Dominio per Genova ed erroneamente si pensi da molti, anche e colpevolmente da eruditi ed intellettuali, che l'appellativo di Serenissima Repubblica sia stato vanto esclusivo della nemica storica di Genova cioè Venezia, le cose non stanno in questi termini: una vasta cartografia è peraltro a disposizione su questo sito per studiare la SERENISSIMA REPUBBLICA DI GENOVA.
Così per quanto La Serenissima per antonomasia e per abitudine culturale sia stato appellativo di Venezia ed a Genova parimenti per antonomasia ed abitudine culturale sia stato conferito anche più spesso l'appellativo di Superba e/o Dominante a tutti gli effetti giurisdizionali e polici, pariteticamente è corretto parlare di una Serenissima Repubblica di Genova.

da Cultura-Barocca 

venerdì 2 giugno 2017

Il II Concilio di Nicea

Moneta di Costantino V e di suo padre Leone III - Fonte: Wikipedia
Il VII CONCILIO ECUMENICO (II CONCILIO DI NICEA) si tenne dal 28 settembre al 23 ottobre 787 avendo quale tema di base la legittimità del culto delle immagini.
La lunga lotta contro le immagini, manifestatasi nel 726 ed esplosa nel 730, dilaniava l'impero bizantino.
Il partito degli ICONOCLASTI, appoggiato dagli imperatori Leone III (711 - 741) e Costantino V (741-775), era riuscito momentaneamente a trionfare.
Solo i MONACI non si erano piegati, e per questo motivo erano caduti sotto i provvedimenti di Costantino V.
Il favore popolare si era progressivamente volto verso i MONACI ICONOFILI, autoproclamatisi la coscienza della Chiesa di fronte al letargo dell'episcopato.
Le ragioni teologiche si fondevano con scelte sociali, e si trasformavano in orientamenti di politica ecclesiastica.
La Chiesa di Roma e l'Occidente erano contrari all'iconoclasmo ma Costantino V aveva reso possibile un grosso successo del partito iconoclasta quando nel 754 aveva convocato a Iereia in un palazzo imperiale sulla sponda asiatica di Costantinopoli un concilio di 338 vescovi bizantini, autoproclamatosi ecumenico, che aveva condannato il culto delle immagini.
L'assenza dei patriarchi orientali ed il contrario orientamento della Sede romana annullavano tale pretesa qualsiasi decisione presa sul piano della Chiesa universale.
Però nel vasto contesto dell'IMPERO ORIENTALE l'iconoclastia, sino a quel momento sorretta dai soli editti imperiali, poteva ora sentarsi quale dogma della Chiesa e del patriarcato di Costantinopoli.
Allorché, dopo il 780, l'imperatrice Irene volle restaurare il culto delle immagini, accanto alle scelte di ordine politico, fu obbligata ad affrontare lo pseudo concilio ecumenico del 754.
Irene pensò quindi alla possibilità di convocare un concilio ecumenico in grado di abbattere legalmente i contenuti della riunione di Iereia.
Per questo fu indirizzata la scelta del nuovo patriarca di Costantinopoli verso la figura di Tarasio, un laico, abile funzionario imperiale.
Costui, elevato all'episcopato, sarà il prudente orchestratore del concilio.
Irene e Tarasio ebbero per ciò il consenso di papa Adriano, che ratificò la proposta bizantina di un concilio ecumenico sul culto delle immagini, a condizione che venisse riconosciuto il diritto primaziale petrino della chiesa di Roma di confermare o meno le deliberazioni conciliari.
I patriarchi orientali, dal canto loro, diedero il proprio assenso alla celebrazione del concilio.
I lavori iniziarono a Costantinopoli nella chiesa dei SS. Apostoli (agosto 787).
Una parte delle guardia imperiale, ispirata da ufficiali iconoclasti, fece però irruzione in chiesa disperdendo i vescovi.
Irene riuscì a far reprimere la rivolta ma decise di trasferire il concilio in una sede più sicura e optando scelse NICEA anche per il ricordo e il prestigio legato alla sede per NICEA celebre sede del primo concilio ecumenico.
La presidenza legale fu nelle mani dei rappresentanti papali ma in effetti venne esercitata dal patriarca Tarasio.

Vi presero parte all'inizio 238 vescovi che divennero 335 alla conclusione del Concilio.

Le deliberazioni vennero lette alla presenza dell'imperatrice e di suo figlio il 23 ottobre.
Esse constano di ventidue canoni disciplinari e di una definizione di fede: il Verbo di Dio si è fatto uomo, e pertanto può essere rappresentato, così pure i Santi. Le immagini non possono essere oggetto di adorazione (latreìa) in se stesse, poiché essa é dovuta solo a Dio, ma di devota venerazione (timetiché proskunesis).
La venerazione risulta quindi giustificata per l'intima correlazione tra l'immagine eil prototipo (vale a dire la persona o il mistero rappresentato nell'immagine).