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venerdì 28 settembre 2018

La Liguria nell'Atlante di Sanità di Matteo Vinzoni

stampa anastatica a cura di Massimo Quaini, Genova, Sagep, 1983


stampa anastatica a cura di Massimo Quaini, Genova, Sagep, 1983

stampa anastatica a cura di Massimo Quaini, Genova, Sagep, 1983


L'atlante, costituito da due volumi, l'uno relativo alla Riviera di Ponente, l'altro a quella di Levante, fu realizzato da Matteo Vinzoni con l'aiuto del figlio Panfilio e presentato al governo della Repubblica di Genova il 2 agosto 1773. Esso rappresenta la sintesi dell'opera cartografica del Vinzoni.
Nel 1720 si diffonde a Marsiglia il contagio della peste. Di fronte a questo pericolo, la Repubblica genovese incarica Matteo Vinzoni, il più celebre e versatile dei suoi cartografi, perché rilevi "le guardie di sanità", i posti di guardia a presidio di ogni approdo ligure. (da Pianta delle due Riviere della Serenissima Repubblica di Genova divise ne' Commissariati di Sanità, a cura di Massimo Quaini, Genova 1983). 
Tra il 1730 ed il 1773 Matteo Vinzoni, ingegnere-cartografo al servizio della Repubblica di Genova, passa parecchio tempo nella Riviera di Ponente, sia per effettuare i rilievi preparare le tavole per la Pianta delle due Riviere della Serenissima Repubblica di Genova divise ne' Commissariati di Sanità e per Il dominio della serenissima Repubblica di Genova in terraferma, sia per fare dettagliate piante a seguito di controversie per i confini tra i vari paesi del ponente ligure.


da Cultura-Barocca

mercoledì 26 settembre 2018

Oratio de Pulvere Sympathetico


 

Nella sua Oratio de Pulvere Sympathetico Sir Kenelm Digby (meglio noto forse con il nome latinizzato in Digbaeus, nato a Gayhurst nel Buckingamshire nel 1603 e morto a Londra nel 1665) scrisse:

"Non sono indotto ad una facile occupazione sì da pensare che tutti voi giungerete al mio stesso convincimento e conseguirete la stessa opinione su un argomento in merito al quale è assolutamente necessario che in primo luogo si dimostri, per mia parte, se esso abbia fondamento di verità ed in che modo poi si postuli siffatta verità.
E del resto non vanificherebbe ogni suo sforzo chi perdesse il proprio tempo nell'investigare su qualche Chimera cioè su qualche argomento assolutamente sganciato da ogni plausibile verità ?
Mi rammento di aver letto in un passo di Plutarco che dallo stesso storico era stata proposta questa discussione: perché i cavalli, già ancora allo stato di puledri, una volta insidiati dai lupi si sono da sempre affidati alla corsa per salvarsi, sopravanzando così alla fine in celerità del corso tutti gli altri animali?
L'autore si formula la risposta che tutto ciò può esser motivato dal fatto che il terrore e la paura, passioni che lo spaventevole aspetto del lupo genera in ogni animale, facciano in modo che l'animale per quanto giovane attinga a tutte le sue più recondite energie onde fuggire la minaccia la quale oramai gli grava sul capo: a tal segno il timore fa scattare ai puledri le giunture degli arti, li induce a stendere i nervi ed i legamenti ed a disporre tutte le restanti parti del corpo assai disposte alla corsa, di modo che per tutto l'arco della sua esistenza il cavallo avvertirà siffatta sua potenzialità rivelandosi eccezionale appunto nella corsa.
Subito dopo lo stesso scrittore formula un'ipotesi alternativa e che cioè tutto quanto affermato in merito ai cavalli possa avvenire poiché i puledri, che naturalmente sono atti alla corsa, fuggendo quasi sempre si sottraggono alla morte, mentre altri animali che non fruiscono della pari innata velocità, vengono afferrati dai lupi e, prede designate, cadono nello insidie. E di conseguenza non sono più disposti al corso dal momento che aiutati dalla rapidità della fuga riescono ad evitare le zanne dei lupi ma piuttosto perché la naturale attitudine a correre, di cui sono forniti, li ha abituati ad eludere le insidie dei predatori ed a salvarsi dalla morte.
Oltre a queste Plutarco adduce molte altre ragioni e finalmente conclude come la ragione di ciò non sia del tutto determinabile.
Quanto a me, miei uditori, non posso prescindere da questa maniera di dissertare, a meno che la questione non venga dibattuta superficialmente nel corso di qualche banchetto, laddove ogni conversazione mira a far sì che ci si ristori con gioconde conversazioni piuttosto che col mescolare agli svaghi le acute sottigliezze proprie del severo Catone ed il vigore di quelle argomentazioni che presuppongono acutezza di giudizio e saldezza d'ingegno.
In vero in un'adunanza tanto prestigiosa, quale vedo che è questa, dove sono convenuti uomini intellettualmente sofisticati, che su tutti prevalgono per sapienza, uomini non solo imbevuti ma addirittura permeati di solidissime competenze, personaggi che, proprio per la fede che nutrono in me, davvero mi auguro di poter soddisfare con non frali ma bensì solidi e meditati argomenti.
Certo! mi addolorerei in maniera straordinaria se, dopo aver tenacemente tentato di palesare per qual ragione la Polvere, che l'opinione popolare definisce simpatetica, naturalmente e senza alcun soccorso magico possa sanare le ferite, pur senza toccarle neppure con un dito e senza manco guardarle, nientemeno si trovasse qualcuno che si vergognasse di accettare perlomeno l'ipotesi che siffatta nazione riseda nella natura stessa delle cose.
Ogni volta che si elabora un ragionamento su qualsiasi fatto da dimostrare, la determinazione della verità dipende dal fatto che i nostri sensi possano verificare l'attendibilità dell'esperienza.
La questione che mi accingo a sviscerare non può prescindere da questo postulato.
Infatti quanti furono condotti a constatare l'efficacia dei fatti sperimentati, acquisendo consapevolezza critica della realtà effettiva, si concentrarono sulla questione al segno di constatare come questo esperimento sia confortato da tutte le prove rischieste dalla ragione. Una volta che chiaramente si riconobbero come vere le cose viste, raggiunsero la consapevolezza che non vi rientrava alcuna frode e che anzi in tutto ciò rientrassero congruenze giustificate dalla logica.
All'opposto coloro che non visualizzarono personalmente simili effetti, bisogna che prestino fede all'autorità di quanti sostengono d'aver direttamente esperito gli eventi.
Comunque sono in grado di addurre molte testimonianze, di cui fui anche partecipe e nelle quali ricoprii un ruolo significativo.
Siccome in verità un certo peculiare esempio, peraltro avvalorato dall'universale comprovazione, può bastare, dissipandone i superstiti dubbi, a determinare la veridicità di un fenomeno e tanto la sua pertinenza quanto ancora la di lui possanza, onde non tediarvi reputo bastante proporne uno che reputo del tutto sufficiente per suffragare qualsiasi convincimento.
Ma, accidenti, non sarà documento di poco peso bensì tratto dai più celebri e comprovati che mai siano stati esperiti o che addirittura in futuro, penso, potranno trovare utile riscontro.
Ed affermo ciò non solo in rapporto alle contingenze, peraltro d'altissima rilevanza probatoria, ma in effetti pure in correlazione agli strenui interventi, per il resto di insigne rilevanza, in mutua cooperazione dei quali potè essere felicemente conchiusa siffatta impresa.
Infatti una ferita praticamente letale fu del tutto guarita da questa polvere simpatetica nel caso di un uomo che la più sofisticata competenza letteraria ed alcune azioni mirabilmente compiute avevano sollevato ai vertici dell'onore mondano: e in merito tutte le circostanze accessorie furono altresì soppesate acutamente, valendosi quasi della pietra lidia, da Giacomo re d'Inghilterra, grandissimo e sapientissimo nell'età sua che oltre ad essere stato fornito dalla natura di doti preclare di sottilissimo ingegno, aveva sviluppato perizia davvero mirabile nell'investigazione dei fenomeni naturali.
Dopo la morte del sovrano il fenomeno venne altresì studiato dal di lui figlio come pure da Duca di Bouquaingania, ora tra i Santi, primo ministro dell'un e l'altro stato e, finalmente, tutta questa documentazione fu raccolta in scritti memorabili da quel famoso Cancelliere Bacone affinché costituisse una sorta d'appendice della sua Storia Naturale.
Sono assolutamente certo, uditori miei, che se tutte queste cose soppeserete con giudiziosa riflessione, in alcun modo potrete accusarmi d'ambiziosa temerarietà allorquando ardisco attribuirmi la gloria d'aver per primo introdotto nelle nostre contrade siffatte tipo di cura.
Ma orsù! Ecco dunque in poche parole la narrazione di tutta questa vicenda.
Il celebre Giacomo Howell, segretario del Duca di Bouquaingania (peraltro abbastanza noto in Francia per quegli accurati suoi studi che editò, tra cui in primo luogo la famosa Dendrologia tradotta in gallico idioma dal Signor Baudovino, se non vado errando) alquanto opportunamente un certo giorno intervenne mentre due intimi amici vennero alle mani e, trascendendo, giunsero altresì a singolar tenzone.
Costui, in qualità d'amico devoto, offrì senza tema i suoi servigi al fine di separarli sì che per tal ragione finì col trovarsi in mezzo a loro: pertanto mentre con una mano afferrò l'impugnatura della spada d'uno dei contendenti, purtroppo con la destra, in alcun modo protetta, arrestò un fendente portato dall'altro dei duellanti, che parimenti aveva sguainata la sua arma.
Quei due, rapiti da un furore così selvaggio che li induceva ad usare forsennatamente le armi l'uno contro l'altro, erano talmente presi da follia omicida che miravano, senza d'altro preoccuparsi, a liberarsi con ogni mezzo delle trattenute dell'amico comune, che disperatamente tentava invece di impedire che qualcuno di loro precipitasse in imminente pericolo di perdere la vita.
Nel proseguio della tenzone uno di quelli, con estrema rabbia, strappò via quella spada che Howell, avendo preso con la mano nuda, malamente poteva governare: e cosìfacendo finì per frantumare i nervi, i muscoli ed i tendini stessi dell'arto del Signor Howell. Per sventurata circostanza nello stesso momento il suo accanito rivale piegò l'impugnatura della propria arma e ne vibrò la punta avverso la testa dell'avversario che però, con un piegamento del corpo, sfuggì a quel micidiale assalto, facendo però sì che il colpo finisse per essere indirizzato contro la testa di quel comune amico che, quasi a loro avvinghiato, s'affannava nell'improbo tentativo di separarli. Il Signor Horwell a tal punto null'altro potè fare che ripararsi con la mano già ferita, in modo tale che questa venne piagata da un'ulteriore gravissima lesione.
Sembra, per Polluce, che in cielo si fossa andata a costituire una peculiare positura del tempo astrologico e degli astri decisamente avversa, la quale aveva fatto sì che Howell versasse il proprio sangue per opera di due suoi carissimi amici...ho detto amici perché, ritornati in se stessi, senza alcun dubbio per la salvezza del comune amico non avrebbero esitato adesso a dare il loro di sangue.
E così la fortuita emorragia del sangue di Howell fu in un certo senso il duro prezzo pagato perché quei due combattenti abbandonassero subito la tenzone e si voltassero verso quella ferita, inferta parimenti al comune amico, che poco prima ferocemente ambivano l'uno di procurare all'altro.
Infatti essi, vedendo il volto del Signor Howell quasi completamente coperto dal sangue che copiosamente stillava dalla mano ferita e tenuta in alto, entrambi accorsero in aiuto dell'amico e, esaminate le sue lesioni, le serrarono vigorosamente con un laccio di maniera che le vene fossero tenute ben chiuse, visto che dal punto in cui erano state troncate fuoriusciva sempre maggior quantità di sangue.
Lo portarono poi nella sua dimora e trovarono al più presto possibile un chirurgo asffinché quanto prima si procedesse ad un intervento terapeutico riparatore.
Poi il giorno successivo, quando era necessario procedere alla medicazione della ferita, giunse pure un chirurgo regio, espressamente spedito dal re che aveva in grande stima il summenzionato Signor Howell.
All'epoca io risiedevo presso l'abitazione di tale signore ed una mattina (erano oramai passati quattro o cinque giorni da quello dell'incidente) mentre stavo vestendomi costui entrò nella mia camera pregandomi, con tutte le sue forze, che gli prescrivessi un qualche rimedio per sanare la ferita, in particolare perché era venuto a sapere (così diceva) che io ero in possesso di nrimedi eccezionali in merito a casi clinici come il suo e perché quella sua dolorosissima ferita era giunta al punto che i Chirurghi temevano, quasi con certezza di non venir smentiti, che ne derivasse cancrena sìche per evitare tale infezione gravissima avevano già presa in considerazione l'ipotesi di amputare la mano ferita.
Dalla semplice osservazione dei suoi lineamenti potevo intanto constatare che il Signor Howell stava visibilmente soffrendo e che davvero si poteva prevedere la necessità di rescindere prontamente l'arto nell'alta probabilità che si evolvesse una qualche acuta infiammazione.
Prestamente gli rispondevo che con tutto il cuore avrei cercato di soddisfare la sua disperata richiesta ma aggiunsi che mi ritenevo in dovere d'avvertirlo che se avesse avuto occasione di esaminare il mio metodo terapeutico, portato avanti senza toccare e senza talora neanche visionare la lesione da curare, si sarebbe anche potuto impressionare al punto di credere che tale tecnica fosse inefficace o, cosa ancor più grave, potesse comportare qualche diabolica cooperazione. Ma quello senza esitazione replicò che, per quanto concerneva siffatta mia attività di guaritore, i reiterati ammirabili successi, descritti da molti testimoni degli di fede assoluta, non permettevano, al punto in cui si trovava, di alimentare qualsiasi dubbio e dilazionare ulteriormente un intervento clinico di fatto improrogabile. Ed espressamente aggiunse: 'Ed oltre a tutto questo nulla di più voglio aggiungere a proposito di quel proverbio usuale fra gli Spagnoli e che dice Haga se el milagro, y hagalo Mahoma'. Addivenuti dunque a siffatti accordi io gli chiesi di farmi avere una pezza di lino macchiata del suo sangue ed egli mi fece avere direttamente quella fascia della quale era solito servirsi. Quindi ordinai che mentre si procede a ciò mi si facesse avere un recipiente pieno d'acqua come s'usa fare quando un ospite deve lavarsi le mani. Appena avutolo mi affrettai a sciogliervi un pugno di polvere di Vetriolo, sostanza che io da sempre tengo pronta e a disposizione nella mia raccolta di medicamenti. Una volta che finalmente potei avere la fascia sporca del sangue della ferita la immersi nel recipiente, non esimendomi però dall'osservare con estrema cura quali via via fossero le reazioni del Signor Howell. In effetti lui andava tranquillamente chiacchierando in un angolo della sua stanza con un Nobiluomo che lo assisteva: sembrava poco o nulla accorgersi di quanto io facessi e del motivo per cui io operassi in quella determinata maniera. Ed ecco finalmente il prodigio avverarsi! Il paziente gradualmente ma in modo spedito migliorava il suo umore, diventava quasi lieto, prendeva ad agire senza alcuna preoccupazione del male quasi che presagisse una grande trasmutazione in atto. Gli chiesi dunque il motivo di quel suo mutato comportamento ed egli subito mi rispose che non sentiva più alcun tormento e che per nulla era ancora afflitto dal terribile dolore di poco prima. Per spiegare il succedersi rapido di quelle sensazioni disse: 'Ho l'impressione che dell'aria fresca e rigenerante stia passando dalla fascia sopra questa mia mano piagata e che nel far ciò vada estirpando completamente quella spaventosa infiammazione che poco fa mi stava torturando'. Ed io gli replicai: 'Già ora stai provando i benefici e fortunati risultati della mia terapia e proprio perché io stesso ne sono autore ti impongo di togliere da quella piaga tutti gli altri unguenti od impiastri vanamente applicati per farla rimarginare: ho tuttavia la primaria esigenza che tu collabori con estrema diligenza per far sì che la piaga rimanga sempre ben pulita e disinfettata, sì da presentarsi nel più genuino stato naturale e mantenere sempre l'opportuna temperatura'. Queste novità impiegarono ben poco tempo per raggiungere il Signor Boquainganiae e tramite lui presto furono deferite allo stesso Sovrano: entrambi presero ad ardere dal desiderio di conoscere l'esito di quel mio intervento, che continuò con la mia decisione di prendere dal recipiente in cui era immersa la fascia per metterla ad essiccare vicino al fuoco del camino. Non molto dopo che questa fu del tutto essiccata (e per ottenere ciò bisognava che venisse scaldata diligentemente ed a fondo) ecco però che di corsa mi raggiunse un domestico del Signor Howell (nel frattempo tornato nella sua magione) onde avvisarmi che in breve tempo il suo Padrone era stato nuovamente sopraffatto da un dolore spaventoso, quasi che un calore, generato da fiamma viva, gli si estendesse per la mano solo da poco guarita Io però ritenni d'assicurarlo che in breve tempo tutto ciò sarebbe nuovamente svanito e che di nuovo e per sempre il Signor Howell avrebbe goduto di ottima salute. Aggiunsi che non mi era sconosciuta la causa di questo imprevisto aggravamento e che lui avrebbe potuto tornare dal suo padrone per rassicurarlo. Ed il servo, preso atto di ciò, tornò prestamente alla casa magnatizia: io allora mi diedi da fare e contemporaneamente immersi di nuovo la fascia nella soluzione acquosa: dopo che ebbi fatto ciò, e per quanto le nostre due cosa distassero fra loro seppur non molto, il servitore non ebbe tempo di ritrovare ancora sofferente il suo signore: così in brevissimo tempo egli aveva riacquistata la sua perduta sanità. Per non dilungarmi preciso qui, in poche parole, che il dolore sparì repentinamente e che la stessa lesione nel giro di cinque o sei giorni si cicatrizzò fin che ogni sua traccia venne a scomparire. Re Giacomo d'Inghilterra edotto di questi fatti volle comunque esserne ragguagliato meglio e direttamente: intese apprendere tutti gli eventi sin nei minimi dettagli da me stesso (dapprima giocosamente chiamandomi mago esperto di venefici e balsami, come peraltro era solito fare negli amichevoli e festosi rapporti che intratteneva nei miei riguardi): al di là di queste celie rientrava nei suoi desideri apprendere in particolare la ragione profonda per cui si potesse esser compiuto tale prodigio.
E certo non mi astenni dal rispondergli
[a re Giacomo I d'Inghilterra] che ero assolutamente pronto a soddisfare tutte le sue richieste ma, prima di approfondire la questione, tenni a precisargli che non avevo inventato alcunché ma che semmai avevo appreso tale segreto da altro ideatore ed autore che ne aveva a sua volta ragguagliato il gran Signore di Firenze. Si trattava infatti di un monaco italiano dell'ordine dei Carmelitani che non molto tempo prima aveva fatto ritorno in Firenze da una missione in India ed in Persia. In effetti, per quanto avevo potuto sapere, egli aveva a lungo viaggiato per il gran impero cinese e dal suo ritorno in Toscana, non senza suscitare straordinario stupore, aveva intrapreso a guarire tantissime persone.Ben presto il Duca di Firenze fu preso dal vivissimo desiderio d'apprendere i segreti di quell'arcana terapia: si trattava del padre del signore che al giorno d'oggi detiene il potere su quella regione italiana. Il monaco non tergiversò ma sveltamente gli rispose che aveva imparato tutto ciò nell'Oriente e che era assolutamente sicuro che proprio nessuno nel continente europeo ne fosse ancora a conoscenza. Si trattava del resto d'un segreto degno di assoluta riservatezza, da non svelare scelleratamente a chiunque perché non se ne abusasse: ma tale cautela non avrebbe potuto sussistere se il Duca avesse assolutamente voluto impadronirsi del segreto e in particolare se gli avesse mandato un suo medico od il chirurgo cesareo od ancora un qualche suo servo in breve tempo moltissimi individui, e non sempre onesti, sarebbero divenuti consapevoli di quella misteriosa cura. Il Duca di Firenze era però un uomo assai prudente: prestò ascolto alle parole del monaco e non fece più alcuna pressione su di lui. Però, dopo un certo lasso di tempo, mi si diede l'occasione di favorire in modo straordinario ed in momento eccezionale questo buon religioso sì che a titolo di riconoscenza non si rifiutò di negarmi le sue misteriose conoscenze sulla polvere simpatetica: quel monaco, spinto quindi dai suoi doveri, dovette presto ritornare in Persia e così io rimasi l'unico conoscitore di tali segreti in tutta Europa. Re Giacomo sentito ciò volle rassicurarmi, mi disse che giammai avrei dovuto temere che lui divulgasse dissennatamente tutto quanto gli avessi detto in merito ed aggiunse pure che, nelle eventuali cure da farsi, avrebbe operato sempre da solo: per tutte queste motivazioni non avrei dovuto temere in alcuna maniera svelandogli siffatti arcani. Non potevo certo dissentire e non fidarmi di quel buon sovrano così che tutto gli svelai, gli narrai ogni circostanza: il re esperimentò le conoscenze da me apprese e sempre si mantenne fedele con le promesse fattemi. Intanto nello stesso periodo il Signor De Majerne archiatra regio andava vociferando che in siffatta terapia esistesse qualche cosa di inspiegabile e mostruoso: finalmente chiese di essere informato dei contenuti della cura perpetrata dal Re stesso utilizzando appuntto la polvere cioè il Vetriolo. Il Sovrano mi convocò allora di nuovo e mi confessò che era arrossito di rabbia e vergogna per l'audacia di tale individuo che aspirava a conoscere apertamente tali segreti: il re ben sapeva infatti che davanti ad un suo espresso ordine in alcun modo, da suddito leale, avrei potuto esimermi dallo spiegare. Dopo che aveva appreso di quale materiale ci dovevamo valere in queste cure, apertamente gli dissi che non doveva alcunché angustiarsi. Gli risposi che ormai ero preparato alla sua richiesta e che anche senza timore alcuno si sarebbe potuta far menzione di ogni segreta cosa: la terapia non comportava peraltro alcunché di pericoloso e gli arcani avrebbero potuto anche pubblicamente svelarsi atteso che sarebbero sempre stati salvaguardati dalla sua regale persona. Quali timori dunque? E così nuovamente svelai le cose nella loro compiutezza. Dopo non molti giorni si recò in Gallia a visionare dei possedimenti che aveva non lungi da Ginevra e precisamente il Baronata d'Albonia.
Mentre era in viaggio ebbe la fortuita occasione di incontrare il duca di Mayenna, suo intimo amico, ed a questi svelò la misteriosa cura che gli avevo svelato. Quel Duca condusse poi molti esperimenti che, in vero, se non gli fossero stati suggeriti da un sovrano tanto buono e pio, gli avrebbero suscitato, dati gli incredibili risultati, l'idea d'un qualche incantamento.
Dopo che il Principe cadde morto nell'assedio della città di Montalbano il suo chirurgo, colui che nell'esperimentazione delle cure aveva assistititi e svolto la parte meccanica delle cure stesse, vendette il segreto della polvere simpatetica a molti potenti e a tanti nobili che in breve spazio di tempo poté accatastare un vero e proprio tesoro.
Nessun cancello intellettuale oramai era in grado di proteggere i contenuti di quella straordinaria forma di sanzione che prese presto a diventare di pubblico dominio di maniera che anche l'ultimo dei barbieri poté finalmente esserne informato:
Nulla quies intus, nullaque silentia parte,
Cresciti: atque auditis aliquid novus adjicit autor.
Miei uditori, avete qui potuto seguire la diffusione della cura con la Polvere simpatetica in queste nostre regioni e davvero è singolare, oltre alle sua portentosa qualità, l'insieme della sua storia.
Ma è ora necessario che si addivenga alla discussione vera e propria: vale a dire in cosa consiste la Polvere simpatetica ed in che modo espliciti la sua funzione
".

da Cultura-Barocca

sabato 22 settembre 2018

Sulla Repubblica Ligure sorta sulla scia della Rivoluzione Francese

 
Le guerre su scala locale, specie con il Piemonte Sabaudo, e poi i grandi conflitti internazionali contribuirono alla caduta della Serenissima Repubblica di Genova e quindi sulla scorta della Rivoluzione Francese e poi delle gesta di Bapoleone Bonaparte e dell'Armata d'Italia, come altri Stati italiani, la vecchia Repubblica fu organizzata nella REPUBBLICA LIGURE O REPUBBLICA DEMOCRATICA LIGURE, la cui effimera esistenza passò attraverso fasi drammatiche qui riassunte cui neppure restò estraneo il poeta Ugo Foscolo. 

Il tutto fino a quando il Bonaparte fattosi IMPERATORE ASSIMILO' LA LIGURIA NEL SUO DOMINIO, sopprimendo pure altre REPUBBLICHE SORTE SULLA LINEA DEL GIACOBINISMO, IN ITALIA E NON, ED AFFIDANDOLE AI CONGIUNTI COME DOMINI FILOFRANCESI.

La scelta napoleonica comportò luci ed ombre ed accanto a provvedimenti di decisa modernizzazione (si ricordi il Codice Napoleonico ma non solo) comportò opzioni decisamente ben poco accettate specie per la centralizzazione del potere (anche sotto forma di una centralizzazione culturale, nel caso ligure a vantaggio di Genova, con l'impoverimento di antiche, gloriose strutture culturali in particolare ecclesiastiche) e per le opzioni oggettivamente innovative in alcuni settori della Chiesa ma sostanzialmente spesso anticlericali e, nel contesto epocale, mediamente antipopolari, soprattutto in Italia. 

E' da dire che Napoleone non fu edotto da quanto aveva dovuto affrontare con pericoli per la sua stessa sopravvivenza la REPUBBLICA LIGURE - come qui si può leggere ai tempi della pur domata CONTRORIVOLUZIONE DEL 1797 = nel contesto dei proclami e dei resoconti d'archivio qui riportati è emblematico quanto dal Governo rivoluzionario scritto il 22 ottobre 1797 a difesa della Rivoluzione (con una notazione da non sottovalutare per i Parroci) sì da farsi basilari divulgatori tra il popolo delle idee nuove di Democrazia ed ancora più cio' che venne espressamente chiesto anzi "invocato" il 19 novembre 1797 ai Parroci [entro il monumentale apparato della Chiesa proprio i Parroci, anche perché stabilmente a contatto con la popolazione -oltre che per la scolarizzazione e vari compiti burocratici svolti in surroga degli Stati- erano molto importanti per l'informazione anche su tematiche non religiose: come nel caso settecentesco delle istruzioni agronomiche e la dispersione di superstizione come la non commestibilità del "pomo di terra" o patata, arma epocale contro le carestie generate anche da tante guerre con relativi saccheggi]. Attesi i noti contrasti in Francia in merito alla "Costituzione Civile del Clero" e quindi il contrasto tra "preti costituzionali" e "preti refrattari" anche in Liguria, pur se entro una diversa prospettiva, si temeva l'influsso del clero sul popolo e della sua possibile invocazione contro il nuovo regime ligure data anche l'enorme struttura clericale che da secoli assisteva lo Stato anche in campo sociale e amministrativo. 

Dalla sopra proposta Legge della Repubblica Ligure del 8 marzo 1799 e del 4 aprile 1799 (che potremmo definire di semplificazione in campo amministrativo ligure), promulgata a Genova nel Palazzo Nazionale su sanzioni del Consiglio dei Sessanta, del Consiglio dei Seniori e del Direttorio Esecutivo, editata dalla Stamperia della Gazzetta Nazionale, si evincono molti dati non escluse le considerazioni su istruzione pubblica e stabilimenti religiosi basilari ai fini dell'informazione e della persuasione = data l'importanza della LEGGE DEL 1799 qui di seguito se ne propone una ben leggibile digitalizzazione per Titoli, Parti, Articoli ai fini di una migliore comprensione di questo processo di ammodernameno amministrativo repubblicano:

- 1 - PREMESSA DEL CONSIGLIO DEI SESSANTA - 2 - TITOLO PRIMO . DELLE AMMINISTRAZIONI GIURISDIZIONALI - PARTE PRIMA DELLA LORO ORGANIZZAZIONE = CAPI 1 - 9 - 3 - TITOLO PRIMO . DELLE AMMINISTRAZIONI GIURISDIZIONALI - PARTE PRIMA DELLA LORO ORGANIZZAZIONE = CAPI 10 - 17 - 4 - PARTE SECONDA - FUNZIONE DELL'AMMINISTRAZIONE GIURISDIZIONALE = CAPO 18 DISTINTO IN VARI COMMI - 5 - CONTRIBUZIONI = CAPI 19 - 24 - 6 - CONTRIBUZIONI = CAPO 25 - 7 - BENI NAZIONALI = CAPI 26 - 29 - 8 - INSTRUZIONE PUBBLICA, STABILIMENTI RELIGIOSI, E SOCCORSO PUBBLICI = CAPI 30 - 33- 9 - LAVORI PUBBLICI = CAPI 34 - 35 - 10 - POLIZIA GENERALE (NEL SENSO ESTESO DI GUARDIA NAZIONALE, ESERCITO, GENDARMERIA, CARCERI, CONTROLLO VIARIO ECC.) = CAPI 36 - 44 - 11 - SORVEGLIANZA SULLE AMMINISTRAZIONI MUNICIPALI = CAPI 45 - 50 - 12 - " ESTREMI DEL CONSIGLIO DEI SENIORI E ORDINI DEL DIRETTORIO ESECUTIVO SU PUBBLICAZIONE, ESECUZIONE, APPLICAZIONE DEI SIGILLI DI NORMA IN MERITO ALLA LEGGE " - 13 - " COORDINATE DI STAMPA " - 14 - " SUL RETRO = NOTAZIONE MANOSCRITTA DELLA CANCELLERIA IN MERITO ALLE FINALITA' DI QUESTA LEGGE DI SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA "

 da Cultura-Barocca

lunedì 10 settembre 2018

Cenni sugli inizi della pubblicità in epoca moderna

 
In Francia, sulla Gazette di Theophraste Renaudot, uscita nel 1631, apparve, nel sesto numero, l'annuncio a pagamento di un medico: contestualmente pure in Italia comparvero i primi fogli volanti destinati a pubblicizzare alcuni PRODOTTI, specie di ambito medico e farmaceutico.
Anche in Gran Bretagna, alla metà del secolo, uscirono in gran numero gazzette e fogli di avvisi recanti notizie di interesse commerciale: in breve tempo le inserzioni divennero un fatto abituale, soprattutto per gli importatori di nuovi prodotti dalle colonie.
Nel 1652 comparve su una gazzetta il primo annuncio che pubblicizzava un'offerta di caffè; nel 1657 era la volta del cioccolato e nel 1658 del tè.
Per tutto il '600 gli annunci presentano per lo più servizi tradizionali (spettacoli teatrali, medici) o nuovi prodotti d'importazione. Una svolta si ha invece nel primo decennio del '700.
Compaiono all'epoca i primi annunci comparativi: barbieri e medici cercano di convincere i lettori della propria superiorità sui concorrenti con iperbolici confronti.
Sempre in quegli anni, nel 1704, esce anche il primo quotidiano americano, Boston News-Letter, fin dagli esordi ricco di annunci pubblicitari.
Nel 1735 nasce il primo periodico interamente dedicato alla piccola PUBBLICITA': e Les Petites Annonces, fondato in Francia dall'abate Jean-Louis Aubert.
Dieci anni dopo, nel 1745, ne segue le orme a Londra The General Advertiser.
Nel 1751 l'abate Aubert sviluppò ulteriormente la sua idea originaria e fece uscire a Parigi La Petite Affiche, un giornale, che divenne presto famoso, tutto di PUBBLICITA' COMMERCIALE.
Con la rivoluzione industriale venne moltiplicandosi sia il numero dei giornali sia la quantità degli annunci ospitati.
Anche l'Italia seguiva il crescente orientamento commerciale della stampa. Nel 1760 Gasparo Gozzi fondava la Gazzetta veneta, nel cui sottotitolo si leggeva fra l'altro: contiene tutto quello che e da vendere e comperare... il prezzo delle merci, il valore dei cambi.
Nel primo numero (5-I-1760) del Giornale di Torino e delle sue province un prospetto segnalava che le notizie e i cartelli distribuiti in vari articoli indicanti ciascuno un particolare utile, annunziano specialmente i beni, i censi, le case... aziende da vendere o da cedere... appartamenti, case mobigliate o no.
Il sec. XIX vede la grande esplosione dei quotidiani e dei settimanali: aumenta il loro numero, si espande il pubblico dei lettori, cambia il prezzo e con esso il profilo del prodotto. In questa evoluzione la PUBBLICITA'gioca un ruolo essenziale.
Nel 1830 ci sono negli Stati Uniti 1200 quotidiani: nel 1860 sono diventati 3000.
Nel 1741 ci sono solo due periodici, pubblicati a Filadelfia: nel 1850 sono circa 700 e diventano 1200 nel 1870.
In Francia nel 1836 i lettori di quotidiani non erano più di 70.000; nel 1846, dieci anni dopo, c'erano 200.000 lettori solo a Parigi.
La PUBBLICITA' era intervenuta massicciamente consentendo di abbassare drasticamente il prezzo e di trasformare il quotidiano da prodotto di elite in prodotto popolare.
La concorrenza feroce che si ebbe alla fine degli anni '30 sul mercato francese ne è un esempio molto chiaro.
Nel 1836 Emile de Girardin, che diventerà famoso per essere stato il primo a concepire l'idea di pubblicare romanzi a puntate nei giornali, lanciò un nuovo quotidiano, La Presse (uscì il 1° luglio) che si distingueva dagli altri per due particolari importanti: costava in abbonamento 40 franchi (invece che 80) e dedicava la quarta pagina per intero agli annunci pubblicitari (come già faceva il Times), con il dichiarato proposito di colmare cosi i minori introiti di vendita.
L'abbonato del giornale - scriveva Girardin - deve pagare solo lo stretto costo della carta, della stampa e della spedizione postale. Sta alla PUBBLICITA'coprire le spese di redazione, composizione e amministrazione.
La formula di Girardin ebbe enorme fortuna, anche perché ai suoi due collaudati strumenti di successo: il buon mercato e l'annuncio, Girardin ne unì - come scrisse un critico dell'epoca - un altro, potentissimo: il feuilleton, che sostituiva vantaggiosamente le ricette per la marmellata (il riferimento e al Journal des Connaissances Utiles, che Girardin editava prima della Presse, riuscendo, all'apice del successo, a toccare il milione di abbonati).
L'invenzione editoriale di Girardin assegna alla PUBBLICITA' la posizione di preminenza che detiene tuttora all'interno del sistema dei media: quella di finanziatore delle testate in cambio di una quota dell'attenzione che esse riescono a catturare presso il pubblico. Gli editori cominciano a comprendere che il nucleo della loro attività non è vendere notizie ai lettori, bensì lettori alle aziende.
I quotidiani cominciano ad uscire sotto il prezzo di costo, nasce la penny press negli Stati Uniti e il giornale da due soldi in Francia, compaiono gli intermediari della PUBBLICITA' che acquistano all'ingrosso spazi dagli editori e li rivendono al dettaglio, a prezzi più alti, agli inserzionisti.
Volney Palmer, il primo agente pubblicitario degli Stati Uniti, apre la sua agenzia nel 1840. Per circa 20 anni gli agenti furono dei semplici concessionari di spazi (l'attività resiste ancor oggi in alcuni paesi, tra cui l' Italia: le agenzie concessionarie vendono gli spazi di quotidiani e periodici su mandato dell'editore che in tal modo evitano di sobbarcarsi un'attività capillare e complessa e inoltre riceve nella gran parte dei casi, congrui anticipi).
Dopo il 1860, però, le agenzie cominciano ad evolvere. Non vendono più soltanto gli spazi pubblicitari, ma - per agevolarne l'acquisto da parte degli inserzionisti - scrivono il testo degli annunci, scelgono i caratteri tipografici, realizzano le prime illustrazioni. In sintesi, gli agenti pubblicitari hanno ormai tutti costituito le proprie agenzie e stanno passando sull'altro lato della barricata: non vendono più spazi per conto degli editori, ma lo acquistano e lo riempiono per conto delle aziende.
Nel 1864 aprì Carkon & Smith che nel 1878 venne inglobata nella J. Walter Thompson, per molti anni la prima azienda di PUBBLICITA' americana e tuttora ai primissimi posti delle classifiche mondiali. Nel 1869 aprì N. W. Ayer & Son, tuttora attiva, che ben presto assorbì un'agenzia più vecchia - ancora di tipo concessionario -, la Jay Coe & Co. che a propria volta aveva incorporato l'agenzia di Volney Palmer.
Negli stessi anni in Europa comincia a diffondersi, grande successo, il manifesto pubblicitario. Nel 1866 compaiono le eleganti affiches a due colori del profumiere Rimmel disegnate da Jules Cheret. In Francia si dedicano a realizzarli nomi famosi, da Honoré Daumier a Edouard Manet, da Privat-Livemont a Toulouse-Lautrec (che nell'ultimo decennio del secolo ne disegna ben 31 per libri, cosmetici, spettacoli).
PAGINA DEI PICCOLI ANNUNCI DE L'ILLUSTRATION DEL LUGLIO 1872
All'inizio del '900 la PUBBLICITA' è ormai un settore d'attività strutturato, con dimensioni non marginali e precise regole operative. 
Nascono riviste specializzate di settore (la più famosa é l'americana Printers' Ink), compaiono manuali pubblicitari; nel 1903 esce The Theory of Advertising di W. D. Scott che propugna la necessità di modellare le campagne secondo le scoperte della psicologia; nel 1905 appare Modern Advertising di Calkins e Holden, che qualifica la PUBBLICITA' come una potente forza commerciale). 
Poi, vengono messe in cantiere le prime ricerche di mercato che ben presto con i loro dati orientano creazione degli annunci (Charles Coolidge Parlin costituì nel 1910 il primo ufficio di Commercial Research presso Curtis Publishing Company di Boston). 
In questa fase le agenzie di PUBBLICITA' hanno raggiunto ormai configurazione operativa ben definita, non troppo diversa da quella attuale: pianificano strategie, spesso sulla base di ricerche empiriche ad hoc (la tecnica del questionario, messa a punto durante il primo conflitto mondiale per migliorare locazione delle reclute, conosce ben presto vasta diffusione) creano ed eseguono campagne pubblicitarie e le distribuiscono attraverso spazi comperati sui principali mezzi di comunicazione. 
Nel 1922 negli Stati Uniti cominciano a trasmettere stabilmente le prime stazioni radio (ve ne sono ben 576 autorizzate il 1°-I-1923) e subito la PUBBLICITA' appare come la fonte di finanziamento più efficace per rendere vitale il nuovo mezzo mediante programmi di largo interesse (la scrittura di orchestre e a famosi era naturalmente molto costosa).
Il 28-VIII-1922 una stazione della AT&T mandò in onda il primo annuncio commerciale della storia radiofonica, quasi 10 minuti di trasmissione pagati dalla Queensboro Co. per lanciare una campagna di vendita degli appartamenti di un condominio alla periferia di New York.
L'esempio della Queensboro fu imitato da molte altre aziende, sia pure con formule diverse (alcuni inserzionisti producevano da sé i programmi firmandoli con il proprio marchio e li offrivano poi gratis alle stazioni: forma di sponsorizzazione in anticipo sui tempi): alla metà gli anni '20 la PUBBLICITA' poteva svincolarsi dalla parola scritta e raggiungere anche il pubblico che non aveva familiarità con la lettura.
La sua gamma di canali per la comunicazione poteva dirsi completa già agli albori del più formidabile mezzo di pubblicizzazione finora elaborato, cioè la televisione, che negli Stati Uniti cominciò a diffondersi tra il 1948 e il 1952 (l'anno in cui compaiono le prime reti nazionali).




venerdì 7 settembre 2018

Proceno (VT)

Fonte: Wikipedia
Proceno in provincia di Viterbo è un comune con 632 abitanti, che dista dal Capoluogo circa 60 km.
Centro agricolo dei Monti Volsini, alle falde nord-occidentali del rilievo vulcanico. Sorge su un poggio digradante verso la confluenza del torrente Stridone con il fiume Paglia.
Il borgo medievale di Proceno si trova in una zona ricca di reperti etruschi e di monumenti romani, medievali e rinascimentali, a testimonianza delle presenze di antiche civiltà.  

Di origine etrusca, come testimoniano i sepolcreti scoperti nelle vicinanze dell'abitato, vuole la tradizione che sia stato fondato da Porsenna nel secolo VI a.C. 

Nell'alto Medioevo fece parte del Marchesato di Toscana (secolo X) e fu ereditato dalla Chiesa dopo la morte di Matilde di Canossa nel 1115. Assoggettato al Comune di Siena alla fine del secolo XIV, appartenne poi agli Sforza .
Il nucleo più antico ha numerosi edifici medievali, in gran parte diroccati o rimaneggiati, tra i quali emerge la rocca, con torrioni e torri. 
Di fondazione medievale sono pure la parrocchiale, la Chiesa di Sant'Agnese e quella di Santa Maria del Giglio, largamente riprese in diversi periodi, con resti di strutture originarie e interessanti altari e decorazioni dal secolo XVI in poi (particolarmente notevoli sono gli affreschi cinquecenteschi di Santa Maria del Giglio). 
Meno alterata nella sua semplice struttura ogivale, ma in stato di abbandono, è la Chiesa di San Martino, con deperiti resti di una larga decorazione ad affresco coeva. Numerosi sono anche gli edifici con caratteri rinascimentali, tra cui il palazzo Sforza, eretto nella prima metà del secolo XVI e decorato verso la fine dello stesso, anch'esso in condizioni di deperimento. Infine, del periodo barocco resta una caratteristica chiesetta. 
Il Castello di Proceno (VT) è una fortezza medievale del XII sec. sorta su una collina a guardia e protezione dell'antico borgo e delle vallate sottostanti, luoghi di confine e quindi di cruente battaglie. 
Un raro esempio di fortificazione medievale; le sue strutture si presentano ai nostri occhi nella forma originale. La pianta, di forma pentagonale, include una torre maggiore e due torrette secondarie collegate tra loro da cammini di ronda e da un ponte levatoio.

da Cultura-Barocca
 

sabato 1 settembre 2018

Su Saorge

Saorge (Saorgio) - Fonte: Wikipedia
Sospel (Sospello) da Theatrum Statuum Sabaudiae, Amsterdam, 1682, in B. Durante-R. Capaccio "Marciando per le Alpi..." , Cavallermaggiore [Gribaudo-Paravia], 1993
Nella relazione è scritto:"da Breglio poi andando continuamente per detta strada del sale (da Mentone a Sospello a Breglio) si va a Saorgio, Briga e Tenda ed altri luoghi di detto dominio di Savoia, e da Saorgio si può passare a Pigna, pure Dominio di Savoia per le montagne et boschi chiamati il Leone, Pascale et altri, boschi con strade non molto buone e difficilissime per l'ordinanza, ma facili alla sfilata e gionti a Pigna si può venire verso l' Isola [Isolabona (IM) sulle cui alture correva la strada romana per il tratto di Veonegi] e Dolc'acqua dei sudditi del Signore di Dol'acqua, ma facile a mio parere a guardarsi, passando per strada buona, che fa riva altissima e precipitosissima nella Fiumara di Nervia, nella qual strada vi sono molti passi da potersi trinchierare e particolarmente dove si dice il ponte di Bonda, dove finisce li Confini di Savoia e cominciano quelli di Dolc'acqua, facile a guardarsi ed impedire il passar avanti [qui viene descritta la strada di valle vera e propria che nei secoli rimase sempre una direttrice strategica]. Giunti all'Isola, dominio di Dolc'acqua vi sono anche doe strade, una alla volta d'Apricale e Perinaldo pure Dominio di Dolc'acqua, di dove si può calare ed andare al Soldano e poi a Valle Crosa Dominio della Serenissima (Genova) per un vallone ma facilissimo e facile col consenso del Signore di Dolc'acqua a ripararsi, per esservi cattive strade. E poi gionti a Valle Crosia si andarà a Ventimiglia, non essendovi riparo di natura alcuno. E l'altro (tragitto da Isolabona) dall'isola in Dolc'acqua facile e per buona strada, senza impedimenti o almeno senza impedimento tale di potere trattenere il passo, giuntivi Dolc'acqua, che non piacerà a Dio, Dominio di suddetto Signore, non possono da altri essere impediti se non per detto luogo di Dolc'acqua e facile a trattenere ogniuno..."(mentre ribadiva il ruolo viario della media valle e di Dolceacqua, il magistrato esprimeva il timore genovese che i nobili locali cedessero alle pressioni per un'alleanza con i Savoia).
A questo documento (in Arch. di Stato di Genova-Sala Foglietta, Militarium, n. 1140 ) seguì una relazione del 1631-2 dell'Ispettore Giovanni Vincenzo Imperiale che, mentre qualificava pessima la strada costiera che portava da Sanremo a Bordighera, definiva da carrozza cioé praticabile con cavalli e carri la buona strada che da Pigna portava a Dolceacqua e poi a Camporosso: il tragitto era giudicato importante e ben custodito dalle Amministrazioni per le potenzialità commerciali e militari (A.G.BARRILI, Viaggi di Gian Vincenzo Imperiale in "Atti Soc. Lig. Storia Patria", XXIX, Genova, 1898, p. 243 e 713).

 

Il nome di Saorge non è chiarissimo.
Potrebbe rimandare a forme latineggianti Saurgium, Saurcium, Savorge, Saurcio, Saourg, Saorgio, Saorge: sono le tante forme sotto cui compare nei secoli il nome della località.

 

Nel '600 il notaio ligure Castaldi nella sua "Descritione della Liguria", laddove, citando il colle di Tenda (detto però Colle de Cornia) notò che per tale luogo da tempo "si passa il sale per il Piemonte et si tiene sempre aperto il passo in tempo di neve per la condotta".
Tenendo conto che punti viari importanti erano Cuneo (scritto Cuni), Briga (Bria), Saorge, (Savorgio) e anche Breil (scritto Bleil).
Da Theatrum Statuum Sabaudiae, Amsterdam, 1682, in B. Durante-R. Capaccio "Marciando per le Alpi..." , Cavallermaggiore [Gribaudo-Paravia], 1993
Mille anni prima dei Romani, le valli alpestri francesi erano occupate da tribù liguri di origine alpina che vivevano secondo i principi della civiltà pagense.
Nei secoli sfileranno i diversi vincitori delle guerre combattute in questi siti.
Le conquiste, da quelle dei romani e dei barbari fino ai saraceni e ancora di altri conquistatori più moderni, hanno accreditato nel corso dei tempi la reputazione strategica e di imprendibilità del luogo.
Saorge ai tempi della romanità faceva parte dell'amministrazione del municipio romano di Albintimilium.
Nel XIX sec. a Saorgio sul monte Malamorte, presso la parrocchiale, si scoprì l'iscrizione funebre di un Marcus Atilius Alpinus: era una stele funeraria di estensione di famiglia (una gens Atilia), forse dedicata al personaggio per qualche obbligo testamentario connesso al lascito di un'eredità se non di un fondo sito presso Saorgio.

Marcus Atilius Alpinus era stato nel municipio imperiale di Albintimilium magistrato edile.
II ritrovamento di questa lapide del primo abitante noto di Saorge ha alimentato varie ipotesi, non escluse quelle di un insediamento o di una villa di sua proprietà in questo luogo dell' entroterra di Ventimiglia romana: si è anche sostenuto, non senza qualche ragioni, che la deposizione della lapide in Saorge non sia stata casuale né dovuta a qualche obbligo testamentario.

Si è ritenuto in base al ritrovamento di cui sopra e tenendo conto delle ramificazioni viarie che un' attivita amministrativa romana esistesse nel territorio di SAORGE e che esso fosse un' ulteriore area di transizione tra Italia e le Gallie, dove non è improbabile che, sul percorso che collegava le due zone geografiche, fosse stata istituita una stazione stradale per il pagamento della Quadragesima Galliarum cioè della tassa sulle merci di transito, stazione che poteva ben operare, a controllo del territorio interno di confine del municipio intemelio, ad integrazione della stazione di costa presso Cap Martin.
La considerazione che Saorgio fosse una base doganale romana può non esser priva di valore tenendo conto che (come pure suggeriscono atti del XIII sec. del notaio di Genova de Amandolesio attestanti tragitti di pastori e commercianti di Saorge, come di Briga e Breil, verso la costa ligure allo scopo di commerciarvi il loro bestiame o d'impiantarvi aziende rurali o mercantili) per lungo tempo continuo a funzionare un antico tragitto romano che, per la val Nervia, metteva in comunicazione la capitale di costa col retroterra di Albintimilium e quindi risalire in Piemonte per l'Oltregiogo.
Chiostro del Convento Francescano - Fonte: Wikipedia
A tale proposito é sempre utile consultare la cartografia militare sabauda redatta a meta del '700 ai tempi della guerra di Successione Austriaca.

Gli ingegneri piemontesi di guerra ci hanno lasciato la descrizione precisa di una serie di tragitti (da utilizzare per ragioni strategiche contro le truppe spagnole e francesi) che, provenendo dall'area di Saorgio portava sin "dietro a certe rocche chiamate LE CABANE" (come francesi e piemontesi chiamavano l'area fortificata del convento di Sant'Agostino nella piana di Ventimiglia).
I cartografi, peraltro, annotavano che "... v'era poi la grande strada che da Breglio [porta] a Dolce aqua... [mentre] la strada Reale, che conduce al detto forte di Savorgio dal canto di Tenda trovasi molto stretta, rapida e disastrosa, tuttavia sita nella roccia, facile a rompersi, et a difendersi ed appena vi può passare una bestia carica". (B. Durante - Mario De Apollonia, Albintimilium, antico municipio romano, Gribaudo [Paravia], Cavallermaggiore, 1988, pp. 190, 200, 241, 250, 265 e note).
Di fatto, nel succedersi della generale volontà a politica di controllare la piazzaforte di Saorge, la popolazione sarà, di conseguenza, ligure, genovese, provenzale, savoiarda e quindi francese.
Saorge è borgo cresciuto col proprio sviluppo economico legato al commercio di sale.
Non vi son mancati monumenti pubblici, militari e religiosi di rilievo.

Tra le chiese antiche di Saorgio è il SANTUARIO DELLA MADONNA DEL POGGIO del 1092 dentro cui i saorgiani fecero dono della cappella di Sancta Maria ai monaci delle Isole di Lerins.
Nell'edificio si svolsero per 4 secoli le funzioni mortuarie: questo compito verrà poi diviso con la parrocchia.
Secondo la tradizione il coro è volto ad est, la facciata è composta da 3 absidi circolari.
La navata principale è separata nella parte bassa da archi a tutto sesto su massicce colonne in pietra nera.
Sopra l'altare uno stemma araldico con le armi dei Savoia e circondato da 2 sculture policrome in legno, probabilmente molto antiche.
Esternamente un rivestimento in ardesia rispetta gli antichi ornamenti comunali.
II battistero, sormontato da un campanile quadrato che s'innalza per 6 piani culminando in una struttura piramidale ottagonale, appartiene alla famiglia Daveo dal XVII sec. e lo si visita sotto il controllo dei proprietari.

Nel 1638 il consiglio comunale di SAORGIO offrì a una comunità di francescani di Sospeil di fondare una comunità a Saorge e mise loro a disposizione una cappella di Saint Bernard con terre, giornate di lavoro e aiuti finanziari.
Inaugurato nel 1660 il CONVENTO FRANCESCANO, i frati furono scacciati dalle autorità militari sarde nel 1662.
Questi locali riavranno la destinazione originale nel 1808, quindi la legge del 1905 cacciò i religiosi e si attese al 1970 per vedere il monastero rioccupato da una comunità francescana.

All'esterno dell'edificio è possibile l'accesso alla cappella di NOTRE DAME DES MIRACLES, circondata da cipressi, ha una facciata barocca con portico a 3 arcate, sormontato da un terrazzo con balconi a pilastro. La pianta della chiesa risulta piuttosto semplice, ad unica navata a campate con cappelle e tribune alternate mentre il campanile risulta sormontato da un bulbo a tegole multicolori
Un frontone triangolare è attraversato d'un'apertura lobata ornata d'affreschi: la cappella, barocca del XVII sec., ha 2 volte a crociera.
Dietro l'altare sta un tabernacolo in legno scolpito fiancheggiato da 2 colonne ritorte in noce massiccio.
All'interno si trova un chiostro ad arcate regolari e volte con affreschi narranti la vita e l'opera di san Francesco d'Assisi.
II centro del cortile del chiostro è ocupato da una grande cisterna con il pozzo ricoperto da una cupola orientaleggiante memoria d'un pellegrinaggio in Terra Santa.
Saorge, Cappella dei Penitenti Bianchi - Fonte: Wikipedia
La CHIESA PARROCCHIALE DI SAINT SAVEUR fu costruita nel 1465 dopo l'incendio che distrusse parte del villaggio. La nuova fabbrica venne quindi rivisitata nel 1718 con una sostanziale ispirazione al dominante gusto barocco che non rinnega però vari aspetti degli stili precedenti come il gotico od il romanico. Tutto ciò non avvenne per una voluta scelta estetica verso l'eclettismo ma per semplici esigenze economiche, visto che la comunità non possedeva nel XVIII secolo i mezzi necessari per una completa rivisitazione dell'edificio secondo il canone barocco sì che si ritenne necessario utilizzare dove possibili il materiale superstite del precedente edificio (fatto peraltro che si riscontra nella procedura seguita per il restauro o il riadattamento di altre chiese di questo entroterra non ricco). Nella chiesa l'elemento barocco lo si scopre soprattutto al suo interno, specie negli altari laterali: inoltre le pale d'altare presentano motivi intagliati in stucchi policromi di indubbia ascendenza barocca così come accade per i frontoni ornati di un considerevole numero di puttini in guisa di angioletti, disposti secondo una varietà di posizioni che esorcizza l'impressione della dinamica e del movimento di tradizione tipicamente barocca
Nel suo impianto la chiesa è di struttura basilicale a 3 navate, con arcate separate da linee di colonne e pilastri a capitelli corinzi di stucco dorato.
Nel coro le panche in legno e gli stalli sono del XVIII sec.: l'altare maggiore è di fattura ligure in marmo policromo e fu consacrato nel 1732; ospita il reliquiario di San Claudio.
E' sormontato da un Cristo in croce circondato da una Vergine Addolorata e san Giovanni Evangelista.
La balaustra in colonne di marmo ritorte è del 1842. A destra dell'altare, su un baldacchino sostenuto da 4 colonne ritorte ornate di foglie d'edera, poggia una statua della Vergine Maria con Gesù bambino tra le braccia, opera di Carlo Bonfante.

A Saorge furono consacrate altre chiese appartenenti a confraternite religiose: all'entrata del villaggio sta la cappella di Saint Antonin, della Confraternita dei Penitenti rossi, e, al centro del paese, quella di Saint Claude, della Confraternita dei Penitenti neri e quindi la CAPPELLA SAINT-JACQUES, della "Confraternita dei Penitenti bianchi"...

Fonte: Wikipedia

"La strada sotto Saorgio" in B. Durante-R. Capaccio "Marciando per le Alpi..." , Cavallermaggiore [Gribaudo-Paravia], 1993


da Cultura-Barocca