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lunedì 21 novembre 2016

Mantegazza, igienista ante-litteram

Fonte: Wikipedia
Paolo Mantegazza (Monza, 1831 - San Terenzo di Lerici [La Spezia], 1910) si laureò in Medicina e fu patologo, antropologo, igienista, enciclopedista e politico. Straordinariamente avido di conoscenza e assolutamente ispirato ai dettami del positivismo, maturò la convinzione che il popolo dovesse usufruire delle recenti scoperte scientifiche.

Ciò lo rese attivo per quasi tutta la vita come autore di numerosi volumi a carattere divulgativo e letterario, oltreché di libri di viaggi.
Fonte: Wikipedia
Dopo la laurea intraprese un lungo viaggio in Europa e nel Sudamerica. Nel 1858 rientrò con la famiglia in patria e nel 1860 fu nominato Professore di Patologia all’Università di Pavia, dove si era laureato e dove fondò, primo in Europa, un laboratorio di patologia sperimentale.

Nel contesto della divulgazione fu un antesignano di temi abbastanza nuovi connessi alla Fisiologia ed alla riscoperta dell’essenzialità dell’Igiene. In particolare redasse e editò opere innovative collegate alla proposizione di salutari NORME IGIENICHE. Che dimensionò praticamente nell’organizzato sistema delle STRUTTURE POLIVALENTI PER I BAGNI MARINI, organizzate secondo il recupero dell’ancestrale idea nordica del KURSAAL (o SALA DELLE CURE), finalizzate al basilare assioma del vivere sano in tutti gli aspetti della vita domestica e lavorativa. 
Anche per il fatto che, pionieristicamente, affrontò il tema dell’educazione sessuale e del controllo delle nascite, vide condannare dalla Chiesa romana molte delle sue pubblicazioni, che vennero ascritte al pur sempre meno ascoltato Index Librorum prohibitorum.

Dal 1870 occupò la prima cattedra italiana di Antropologia a Firenze: qui creò la Società Italiana di Antropologia e un Museo antropologico-etnografico.

Nel 1865 venne eletto Deputato al novello Parlamento e nel 1876 Senatore. Anche come politico si impegnò in campo igienico-sanitario e oltre a far parte del Consiglio Superiore di Sanità collaborò a varie Accademie e Istituti Scientifici in Italia e all’Estero.

da Cultura-Barocca


sabato 12 novembre 2016

Ignazio di Loyola

Peter Paul Rubens (1577-1640), St. Ignatius of Loyola - Fonte: Wikipedia
Alla fine della sua vita, Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore dell'ordine dei GESUITI, dettò il Racconto del Pellegrino, ovvero la sua autobiografia, nella quale così si esprime a proposito della sua giovinezza: "Fino a ventisei anni, fu un uomo dedito alle vanità del mondo, con grande e vano desiderio di conquistarvisi onore".
Il distacco di questo passo non deve trarci in inganno: quella giovinezza di dissipazione fu per Ignazio motivo di profonde crisi di coscienza ed anche lui, come già Lutero, giunse a disperare del perdono divino.

Ignazio di Loyola era nato nei Paesi Baschi, da una famiglia di nobili proprietari terrieri.
Nel 1517, intraprese la carriera delle armi, entrando nella compagnia militare del vicerè di Navarra; nel 1521, partecipando alla difesa di Pamplona, un episodio del conflitto franco-asburgico, fu ferito ad una gamba e costretto ad un lungo periodo di degenza.
La convalescenza fu per lui occasione di una profonda meditazione, stimolata da letture spirituali che lo infiammarono agli ideali ascetici, conducendolo a ripudiare la sua esistenza precedente.

Tra il 1522 e il 1523 è a Manresa, nei pressi del monastero benedettino di Monserrat, in Catalogna, dove soggiornerà per circa un anno, dandosi interamente ai rigori della vita ascetica.
Lo storico Delumeau così ricorda questo periodo:"Egli si alza a mezzanotte e dedica sette ore al giorno alla preghiera; vive solo di elemosine e non consuma neppure tutto ciò che riceve. Quel regime lo indebolisce ed egli cade più volte gravemente ammalato [...]. Nel medesimo tempo è in preda ad orribili angosce a causa del ricordo degli errori passati, nè gli restituiscono la pace molte confessioni generali. [...] Tali orrori cessarono quando Ignazio ebbe acquistato la certezza che gli venivano dal demonio: da quel momento decise di cacciare la preoccupazione per gli errori passati, persuaso di averne ottenuto il perdono, e cosi rinunciare alle macerazioni che erano state il mezzo per ottenerlo. Comprese invece che era suo dovere aiutare le anime, e decise di recarsi in Palestina per convertire i musulmani."

Le convinzioni cui approdò Ignazio erano dunque ben diverse da quelle di Lutero: dalla tempesta delle sue angosce, egli trasse un certo ottimismo circa la possibilità dell'uomo di ottenere il perdono divino e la salvezza, valorizzando, in questa prospettiva, il ruolo della volontà umana e quindi della predicazione e dell'impegno per salvare le anime.
Egli si rappresentava ora la santità non tanto come umiliazione della carne, quanto come acquisizione di un completo autocontrollo; non come evasione ascetica dal mondo, ma come milizia nel mondo al servizio del Signore: santo, cioè, è chi sa conformarsi completamente ai piani divini, facendosi strumento della gloria di Dio.

E' questa l'impostazione che caratterizza gli "Esercizi Spirituali", un'opera di cui Ignazio avviò la composizione ai tempi di Manresa e di cui continuò la revisione anche dopo l'approvazione pontificia (1548).
Come dice il titolo stesso, si tratta di un vero e proprio Manuale di spiritualità: l'approdo della crisi del santo non si condensa, dunque, in un testo di riflessioni teologiche, ma in un insieme di regole ed esercizi spirituali volte a rafforzare la volontà di consacrarsi al Signore.
Gli esercizi fanno ampiamente ricorso alla fantasia, all'immaginazione, alla sensibilità, sollecitando ad arricchire la meditazione sulle Scritture anche attraverso rappresentazioni mentali dei luoghi delle scene bibliche, dei personaggi.
L'eccitazione del sentimento e della sensibilità sono infatti tratti caratteristici di quella mistica spagnola che avrebbe conquistato tutto il mondo cattolico nell'epoca barocca. Lo sfarzo dei riti e della struttura architettonica delle chiese è appunto finalizzato a dare un sostegno, anche emotivo, alla fede. Una fede che, come dicevamo, anima sempre piu frequentemente quella religiosità militante, di cui Ignazio si fece interprete intraprendendo l'opera missionaria in Palestina (1523).
Varie difficoltà, però, ostacolarono i suoi propositi: da un lato c'era l'opposizione dei francescani al suo intento di fermarsi in Terra Santa, dall'altro Ignazio stesso comprese che, per affrontare l'opera di predicazione alla quale intendeva votarsi, gli era necessaria un'adeguata preparazione teologica.

All'età di trentaquattro anni, così, tornò sui banchi di scuola per studiare il latino, frequentando poi le università di Alcalà, di Salamanca e infine di Parigi, dove completò i propri studi (1533).
In questo decennio in effetti, non rinunciò all'apostolato, suscitando ripetutamente i sospetti dell'Inquisizione spagnola che riteneva di ravvisare in quella singolare figura di predicatore laico, un eretico, magari legato alla corrente degli "alumbrados".

Probabilmente, proprio per questo a Parigi decise di condurre un'opera di predicazione ristretta alla cerchia dei suoi compagni di studi, un'opera da cui nacque un sodalizio che può essere considerato la radice della Compagnia di Gesù.
Il 15 agosto 1534, infatti S. Ignazio di Loyola e otto suoi compagni (tra cui ricordiamo San Francesco Saverio, poi celebre per la sua opera missionaria in Asia [presto rivelatasi difficilissima e rischiosa: ed a tal riguardo un ruolo di rilievo spetta anche ad un missionario gesuita di Taggia (IM), il dottissimo G. F. De Marini un tempo celebre e venerato quanto ora poco ricordato anche nel luogo natale]) fecero voto di castità e di povertà, impegnandosi a riprendere l'opera missionaria in Palestina, o, qualora questo non fosse stato possibile, a porsi a disposizione del papa.
Svanita la prospettiva del viaggio in Terra Santa e ottenuta da Paolo III l'autorizzazione a farsi ordinare sacerdoti, Loyola e suoi compagni decisero di dar vita ad un ordine di chierici regolari, completamente uotato all'apostolato: nacque così la Compagnia di Gesù, la cui istituzione venne approvata dal papa con la bolla "Regimini Militantis Ecclesia" (1540).

Le regole del nuovo ordine vennero delineate nella Formula Instituti (1539) che costituisce una bozza della redazione definitiva delle Costituzioni, a cui Ignazio giunse solo dopo molti anni di lavoro (1551).

Queste sono le principali caratteristiche dell'Ordine:
1. Ia Compagnia è completamente consacrata all'apostolato, il gesuita ricerca la propria santità attraverso la santificazione dei fedeli; ciò comporta una totale disponibilità ad intraprendere l'attività missionaria in qualsiasi parte del mondo; 2. alla Compagnia di Gesù venivano cosi a mancare gli elementi di stabilità e di coesione propri degli altri ordini; la solidità della Compagnia venne pertanto garantita da una rigida organizzazione gerarchica e dal ruolo del Preposto generale, detentore di un'autorità pressochè assoluta su ogni membro.
Ai voti ordinari, inoltre, venne aggiunto uno speciale voto di obbedienza al papa, che incise in modo decisivo sulla storia della Compagnia e su quella della Controriforma, di cui in breve l'Ordine divenne l'espressione più determinata: l'obbedienza, d'altronde, costituisce per il gesuita una forrna di adesione alla volontà di Dio; 3) peculiare dell'ordine è, infine, il lungo periodo di formazione che prevede approfonditi studi teologici, una preparazione allora poco diffusa anche tra i religiosi.

Da tutto ciò si evince l'intento di Loyola di fare del nuovo Ordine una compagnia di uomini scelti, pronti ad affrontare con dedizione assoluta tuttu i compiti cui la Chiesa, identificata immediatamente nel pontefice, li avesse chiamati.
I gesuiti, dunque, non nacquero con una particolare vocazione controriformistica, non vennero costituiti cioè per reagire al protestantesimo, ma le caratteristiche dell'Ordine erano pienamente rispondenti alle esigenze del Papato, nell'ora in cui questo si preparava a guidare la Chiesa nello scontro con le nuove confessioni.
La straordinaria disponibilità e versatilità dei gesuiti li fece infatti protagonisti della riscossa della Chiesa, impegnandoli, ben al di là delle loro iniziali ambizioni missionarie, ora come influenti confessori nelle corti, ora come insegnanti, ora come dotti ed intransigenti controversisti: severi e flessibili, sempre pronti a coniugare l'intransigenza verso se stessi con una concezione realistica della natura umana, il rigore con la tolleranza verso la debolezza dell'uomo; il che, se li faceva graditi direttori spirituali, ben presto valse loro critiche di lassismo da parte degli avversari.
Insomma, i gesuiti mostravano di avere consapevolezza dell'eccezionalità dei loro voti e, mentre si facevano alfieri di una rigida difesa dell'ortodossia e dell'autorità della Chiesa, sapevano anche, con fine psicologia, valorizzare gli sforzi dell'uomo comune, mantenendo una spregiudicata disponibilità al nuovo, alle esigenze e ai comportamenti che s'andavano diffondendo nel mondo moderno.

A partire dalla fine degli anni Cinquanta, comunque, le iniziative nell'Ordine si concentrarono per lo più nel campo dell'istruzione: la Controriforma, d'altronde, era totalmente pervasa da propositi di carattere pedagogico, che si presentavano come il necessario completamento della repressione del protestantesimo: i Gesuiti risultavano alquanto raffinati e competenti nella gestione di un SISTEMA EDUCATIVO svolto con la TECNICA DELLA LEZIONE FRONTALE (EX CATHEDRA) e stutturato sulla base di precisi PROGRAMMI SCOLASTICI la cui DIDATTICA era omologata dall'UTILIZZAZIONE DI SPECIFICI TESTI SCOLASTICI E PROPEDEUTICI.
Su entrambe le questioni, Ignazio aveva idee molto chiare.
Egli non esitava ad invocare i provvedimenti più drastici per i sospetti di eresia; era, a suo avviso, necessario mostrare assoluta determinazione anche dando "qualche esempio, condannando qualcuno a morte o all'esilio con confisca dei suoi beni".
Egli era però consapevole che, oltre alla repressione, era necessario impegnarsi nella rieducazione dei fedeli e che, a tal fine, il primo problema era quello di predisporre educatori davvero adeguati al loro ruolo: si trattava cioè di colmare le gravi lacune nella formazione del clero.
La Compagnia fu immediatamente in prima linea nell'adempimento di questo compito. Nel 1551, Ignazio di Loyola fondò il Collegio Romano e l'anno seguente aprì il Collegio Germanico, destinato ai sacerdoti che avrebbero dovuto esercitare il ministero pastorale nella patria del protestantesimo.
Ben presto, però, ai collegi gesuitici furono ammessi anche i laici; l'insegnamento era gratuito e quindi, almeno formalmente, le scuole erano aperte a tutti; di fatto esse erano frequentate soprattutto da aristocratici e da borghesi e non è difficile immaginare i frutti che i gesuiti si ripromettevano di trarre dal controllo della formazione della classe dirigente.
I risultati non si fecero attendere: nell'Europa cattolica della fine del Cinquecento, erano veramente poche le istituzioni d'istruzione superiore maschile non gestite dall'Ordine".



giovedì 3 novembre 2016

Sul mito della Papessa Giovanna

La Papessa Giovanna raffigurata nelle Cronache di Norimberga di Hartmann Schedel, 1493  Fonte: Wikipedia
Secondo la leggenda medievale , la PAPESSA GIOVANNA fu incredibilmente un PAPA DONNA, che regnò dall’853 all’855 [nel XVIII secolo Lucio Ferrari nella sua monumentale Biblioteca Canonica dedicata ad uno straordinario approfondimento della storia della Chiesa nell’elenco dei Pontefici già come oggi proposto dagli elenchi ufficiali dei Pontefici dopo Papa Leone IV cita un Papa Benedetto III (nn. 106 – 107) = della vicenda della Papessa parla a lungo anche il grande storico ottocentesco Ferdinand Gregorovius facendo pure riferimento alla questione dei suoi presunti ritratti o simulacri ].
Quello della Papessa Giovanna è generalmente considerata dagli storici come un mito, probabilmente originato dalla satira anti papale, che ottenne un qualche grado di plausibilità a causa di certi elementi genuini contenuti nella storia.
Secondo la leggenda, una donna inglese, educata a Magonza e vestita in abiti maschili , a causa della natura convincente del suo travestimento divenne un monaco con il nome di “Johannes Anglicus” [è arduo dire quanto tutto ciò abbia condizionato la Chiesa di Roma e contestualmente la vita dei vari Stati, comunque leggenda o no è assodato come attraverso i secoli divenne intransigente il controllo sull’abbigliamento sì che alle donne erano vietati gli abiti maschili ed il contrario accadeva per gli uomini = e molte restrizioni esistevano anche per il periodo di Carnevale quando il “mascherarsi” poteva dar credito alla liceità di qualche trasgressione
Come detto però la Papessa venne eletta dopo la morte di Papa Leone IV (17 luglio 855 ) in un epoca senza tutte queste cautelative ed in cui il metodo di selezione dei Papi era fortuito e cui si sarebbe posto riparo con tante minute regole atte a garantire la sacralità dell’evento: fatto sta che, stando alle voci correnti all’epoca, non ebbe problemi di sorta ad esser eletta ed a prendere nome di Papa Giovanni VIII.
La Papessa sarebbe stata sessualmente promiscua e sarebbe quindi rimasta incinta da uno dei suoi amanti: siffatta promiscuità di una donna risultò una problematica non da poco per molti futuri interpreti: alcuni osarono ipotizzare riflessioni diverse -con molti distinguo- diverse su una figura di VIRAGO – OMOSESSUALE – LESBICA – TRIBADE, altri, sempre in un contesto di timore spostarono le loro considerazioni -più correttamente se si vuole- su un caso di ERMAFRODITISMO E/O DI TRANSESSUALITA’, tutte comunque forme variamente riprovate e condannate e su cui mai era semplice dissertare e donde ben si intende, anche se non solo per la ragione summenzionata ma anche per motivi moralistico-religiosi, giuridici, penali, civilistici e pure di ordine notarile in merito alle successioni, derivò, ed in forma via via accentuata dal ‘600, il citato controllo sull’abbigliamento sì che alle donne erano vietati gli abiti maschili ed il contrario accadeva per gli uomini = e molte restrizioni esistevano anche per il periodo di Carnevale quando il “mascherarsi” poteva dar credito alla liceità di qualche trasgressione = resta comunque un fatto che il reiterato recupero erudito e non solo della vicenda della Papessa Giovanna sia stato fatto rientrare, più o meno palesemente, in una sorta di forma ammonitrice e catartica risiedente alla radice stessa delle epocali postazioni antifemministe e patriarcal-maschiliste sostanziate sulla debolezza caratteriale della donna, sulla sua vanità e lussuria e quindi sulla ragionevolezza del suo controllo sia in famiglia che nel contesto delle Istituzioni].
Durante la processione di Pasqua - secondo una variante della leggenda cui qui si fa cenno - nei pressi della Basilica di San Clemente la folla entusiasta si strinse attorno al cavallo che portava il pontefice. Il cavallo reagì, quasi provocando un incidente. Il trauma dell’esperienza portò “Papa Giovanni” ad un parto prematuro.
 
Il parto della Ppapessa Giovanna - Fonte: Wikipedia
Scopertone il segreto, la Papessa Giovanna venne trascinata per i piedi da un cavallo, attraverso le strade di Roma , e quindi lapidata a morte dalla folla inferocita (oggettivamente pare -anche nel contesto leggendario- più verosimile la versione di una morte naturale come data dal Gregorovius: la lapidazione non risulta in sintonia -a prescindere da una plausibile reazione inconsulta popolare o da una qualche biblica significanza conferitole dai narratori- con gli ancora vigenti elementi del diritto medievale del periodo connesso ancora alle leggi dei Barbari mentre all’opposto l’esser trascinata per via d’un cavallo tra le strade di Roma pare sanzione da connettere ad un io narrante appartenente ad epoche posteriori quando era usuale -con funzioni catartiche- la sanzione che “Per le vie della città il reo sia tratto al patibolo a coda d’una bestia” (legato vivo ad un animale, come specifico per i perpetratori di sacrilegi quali appunto sarebbe stata la supposta Donna Papa: e come qui si nota la successione temporale risulterebbe identica, “prima legata alla bestia” e poi “lapidata”).
Secondo questa versione della leggenda la donna poi venne sepolta nella strada dove la sua vera identità era stata svelata, tra San Giovanni in Laterano e la Basilica di San Pietro. Questa strada venne (apparentemente) evitata dalle successive processioni papali – anche se quando quest’ultimo dettaglio divenne parte della leggenda popolare, nel XIV secolo , il papato era ad Avignone , e non c’erano processioni papali a Roma.
Sempre secondo la leggenda, a Giovanna successe Papa Benedetto III , che regnò per breve tempo, ma si assicurò che il suo predecessore venisse omesso dalle registrazioni storiche. Benedetto III si considera abbia regnato dall’855 al 7 aprile 858 . Il nome papale che Giovanna assunse venne in seguito assunto da un altro Papa Giovanni VIII (pontefice dal 14 dicembre 872 al 16 dicembre 882 ).
Apparentemente, sin dai tempi immediatamente successivi alla Papessa Giovanna, ogni candidato a Papa viene sottoposto a un accurato esame intimo per assicurarsi che non sia una donna (o un eunuco ) travestita. Questa verifica prevederebbe il sedersi su una sedia dotata di un foro. I diaconi più giovani presenti tastano quindi sotto la sedia per assicurarsi che il nuovo Papa sia maschio: “E allo scopo di dimostrare il suo valore, i suoi testicoli vengono tastati dai presenti più giovani, come testimonianza del suo sesso maschile. Quando questo viene determinato, la persona che li ha tastati urla a gran voce “testiculos habet” (“Ha i testicoli”) E tutti gli ecclesiastici rispondono: “Deo Gratias “(“Sia lode a Dio”). Quindi procedono alla gioiosa consacrazione del Papa eletto” = Felix Hamerlin , “De nobilitate et Rusticate Dialogus” (ca. 1490 ), citato in The Female Pope, di Rosemary & Darroll Pardoe (1988).
Come per tutti gli altri miti in generale, esiste una parte di verità, abbellita da uno strato di finzione. Una sedia simile esiste; quando un Papa prende possesso della sua cattedrale , San Giovanni in Laterano a Roma, si siede tradizionalmente su due sedie di porfido, dette “sedia stercoraria”. Entrambe hanno un foro.
Il motivo di questi fori è oggetto di discussione, ma poiché entrambe le sedie sono più vecchie di secoli della storia della Papessa Giovanna (e anche del Cattolicesimo ), esse chiaramente non hanno niente a che fare con una verifica del sesso del Papa.
Si è ipotizzato che in origine fossero sorta di “bidet” romani o degli sgabelli imperiali per il parto, che a causa della loro età e origine , vennero usate dai papi intenti a mettere in evidenza le loro pretese imperiali (come fecero anche con il loro titolo latino di “Pontifex Maximus”. Il mito della Papessa Giovanna fu screditato da David Blondel storico e teologo protestante della metà del XVII secolo . Blondel, attraverso un’analisi dettagliata delle affermazioni e delle tempistiche suggerite, argomentò che nessun evento di questo tipo poteva essere avvenuto. Tra le prove che discreditano la storia della Papessa Giovanna troviamo:
La processione papale di Pasqua non passava nella strada dove la presunta nascita sarebbe avvenuta.
Non esiste nessun documento d’archivio di un tale evento.
La “sedia dei testicoli”, su cui i Papi siederebbero per avere la propria mascolinità accertata, è di molto precedente all’epoca della Papessa Giovanna e non ha niente a che fare con il requisito che ai Papi vengano controllati i testicoli (come spiegato più sopra).
Papa San Leone IV regnò dall’847 fino alla sua morte nell’855 (e Papa Benedetto III gli successe nel giro di settimane), rendendo impossibile che Giovanna abbia regnato dall’853 all’855.
Il momento della prima comparsa della storia coincide con la morte di Federico II , che era stato in conflitto con il papato.
Gli storici concordano in generale che la storia della Papessa Giovanna sia una satira anti-papale ideata per collegarsi allo scontro del papato con il Sacro Romano Impero, facendo leva su tre paure cattoliche medioevali:
un Papa sessualmente attivo;
una donna in posizione di autorità dominante sugli uomini;
l’inganno portato nel cuore stesso della Chiesa.
Comunque, ciò che potrebbe aver preso avvio come satira da presentare nei carnevali di tutta Europa, finì per essere una realtà accettata a tal punto che alla Papessa Giovanna, fanno riferimento personaggi come Guglielmo di Occam. La leggenda acquisì supporto dalla confusione sugli ordinali dati ai Papi di nome Giovanni; siccome Giovanni è il nome di Papa più usato, e alcuni Giovanni erano antipapi , ci fu confusione su quali numeri appartenessero a quali veri Papa Giovanni.
A causa di ciò l’elenco ufficiale del Vaticano non comprende un Papa Giovanni XX .
 
La Papessa, ritratta su una carta dai Tarocchi Visconti-Sforza eseguiti da Bonifacio Bembo, ca. 1450, The Pierpont Morgan Library (inv. M. 630), New York. -  Fonte: Wikipedia
A riprova della forte penetrazione nella cultura popolare di questa leggenda alcuni suggeriscono che la carta della Papessa, nei Tarocchi , sia una rappresentazione della Papessa Giovanna.

da Cultura-Barocca