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martedì 29 maggio 2018

Il pellegrinaggio a La Mecca

 
Si può dire che il pellegrinaggio a La Mecca sia nato insieme alla religione dell'ISLAM (ISLAM ="ABBANDONO, SOTTOMISSIONE, FEDE A DIO" in arabo ALLAH) di MAOMETTO I: i SEGUACI di MAOMETTO e quindi dell'ISLAM sono poi detti nel codice latino di comunicazione MUSULMANI per adattamento del termine persiano MUSLIMAN a sua volta derivato dall'arabo MUSLIN nel senso di "ADERENTE ALL'ISLAM" (vedi BATTAGLIA, XI, sotto voce, etimologia.
Per il paganesimo sincretistico dell'Arabia del VI-VII secolo d.C. La Mecca era già città santa e ritenuta uno dei centri in cui era vissuto Abramo.
Come spesso accade per ogni fenomeno religioso che, all'origine, deve sovrapporsi a un sistema sociale per poterlo rifondare, la predicazione di Maometto trasformò la consuetudine di un viaggio alla fiera annuale della città, essenzialmente motivato da scopi commerciali, in un dovere religioso per i membri della comunità di fedeli dell'ultima religione sorta dal monoteismo semitico: un dovere che lo stesso Profeta espletò due volte nella sua vita.
L'espansione islamica guidata dai primi quattro califfi (632-661) e, in seguito, dalla dinastia omayyade unificò un territorio che si estendeva, alla fine dell'VIII secolo, dalla Spagna alle frontiere orientali dell'Iran ove si ponevano i presupposti storici dell'avanzata dei Turchi e dell'espansionismo dei Mongoli.
All'interno di questo vasto territorio, destinato, in seguito, a espandersi ulteriormente verso oriente e a sud del Sahara, i processi di arabizzazione e di islamizzazione non procedettero in maniera omogenea, nè peraltro, come ormai ènoto, si verificò una conversione a tappeto di tutte le popolazioni dell' ecumene islamica. Tuttavia, le fonti di cui disponiamo per la storia del pellegrinaggio a La Mecca vedono proprio in quest' epoca ancora instabile l'inizio del pellegrinaggio anche da parte di musulmani non arabi: dalla fine deli' VIII secolo, infatti, le prime carovane di pellegrini di differente etnia, lingua e provenienza geografica cominciarono a giungere a La Mecca per rendere testimonianza della propria fede.
Oggi come allora, i gesti simbolici che ogni pellegrino compie, a imitazione del pellegrinaggio intrapreso da Maometto poco pnma di morire, sono regolati in maniera ineludibile.
Ciò che a un osservatore distaccato potrebbe sembrare una serie di azioni fredde e impersonali, è invece la manifestazione di una ritualità fortemente connotata dall'importanza della gestualità, compiuta entro un tempo e uno spazio ben definiti.
Questa concezione 'attiva' della preghiera, regolata da condizioni precise che in un certo senso convalidano l'accesso umano alla dimensione del sacro e del divino, è peraltro fondamentale nella religiosità semitica, cui l'Islam appartiene; non essendovi alcuna mediazione fra Dio e l'essere umano, ogni credente è al tempo stesso l'officiante della propria liturgia.
Il gesto rituale enfatizza dunque la misura di un tempo sacro distinto e differenziato dal tempo profano.
Il vissuto religioso di un credente musulmano si pone, quando diviene pellegrino, così come quando prega, entro un doppio livello di manifestazione e di interiorizzazione.
Al gesto esteriore che sancisce, nello spazio e nel tempo, l'avvenuto contatto con la dimensione del divino corrisponde un profondo atto di introspezione, che può essere anche vero e proprio percorso intellettuale, come nel caso dei grandi mistici musulmani.
Il pellegrinaggio è sempre, indipendentemente dalle risorse cultura li individuali, un atto, o quanto meno un desiderio, di rinascita spirituale, dal quale si ritorna, o si spera di tornare, inevitabilmente diversi.
'Credere' inteso come atto della ragione e, al di là degli obblighi devozionali di cui parlano i catechismi, senz' altro l'invito più suadente che il Corano rivolge a chi vede in esso la parola di Dio.
Vi è dunque un'imperscrutabile presa di coscienza, espressa dal concetto religioso di niyya (intenzione), cui intimamente è chiamato in prima istanza chiunque decida- ed è un dovere religioso, se si è benestanti e in buona salute - di partire per condividere con quella moltitudine, che da secoli arriva a La Mecca, un modello simbolico di imitazione del Profeta.
Data questa scansione nel sentire religioso dei musulmani fra tempo del sacro e tempo del profano, a cui corrisponde un riscontro in armonia col tempo astronomico, scandito dalle lunazioni, il pellegrinaggio ha un suo tempo peculiare ail 'interno del calendario islamico.
Si distingue infatti un piccolo pellegrinaggio a La Mecca ('amra), che si può compiere in qualsiasi periodo dell' anno, dal pellegrinaggio vero e proprio ( hagg ).
I riti del pellegrinaggio si susseguono così: dal primo giorno di sawwal (decimo mese del calendario lunare) all 'ottavo di du 'l-higga (dodicesima luna che chiude l'anno musulmano) si compie un'abluzione completa e si indossa l'abito rituale, costituito da due teli di stoffa senza cuciture da annodarsi intorno al corpo.
L'abluzione e la vestizione rituale rappresentano un momento di purificazione e di ritorno a una condizione originaria di assoluta eguaglianza fra tutti gli esseri umani.
Si compie poi la circumambulazione intorno alla Ka'ba, il cubo al centro della grande moschea de La Mecca dove si conserva un meteorite, la Pietra Nera, portato secondo la tradizione religiosa musulmana dall'arcangelo Gabriele.
Le cerimonie all'interno della zona sacra intorno alla moschea de La Mecca si concludono con una processione tra le due colline di Safa e di Marwa.
Esse costituiscono la parte fondamentale dei riti della 'umra, e il preludio al hagg, il pellegrinaggio maggiore, che ha invece come teatro anche il deserto che si estende a est della città sacra.
I riti del hagg seguono questo calendario: 1'8 di du 'l higga, il 'giorno dell'abbeverata', si parte per la pianura desertica di Arafat, a circa 25 chilometri a sud-est de La Mecca.
Il 9, 'giorno di Arafat', i pellegrini sostano in preghiera e in raccoglimento; al tramonto, tornando verso La Mecca, si fermano nella valle della Muzdalifa per raccogliere i ciottoli che serviranno a compiere il rito della lapidazione di Satana.
Questo avviene il giorno successivo, nella vallata di Mina, dove i pellegrnu lanciano sette ciottoli contro tre steli che rappresentano appunto Satana.
Nello stesso giorno chi vuole può radersi i capelli, o limitarsi al taglio di una ciocca, portando così a compimento quel ritorno simbolico a una purezza primigenia iniziato con 1' abluzione e 1' abito rituale.
Da questo momento, seppure gradualmente, il fedele inizia a sospendere le regole della purezza rituale.
Chi vuole - i meno abbienti ne sono dispensati - può acquistare un animale da sacrificare per commemorare Abramo.
E' questa l'unica infrazione, lecita proprio perché sancita dal rituale, a una disciplina di tutela ambientale che, fin dalla nascita dell' Islam, non tollera il minimo atto di violenza entro lo spazio sacro del pellegrinaggio: fra l'altro, secondo una tradizione pronunciata dal Profeta, è proibito non solo uccidere animali (eccetto gli insetti), ma anche tagliare la vegetazione, o addirittura cacciare da una zona ombreggiata un animale per mettersi al suo posto.
Si parte poi per La Mecca, dove altri giri intorno alla Ka'ba consacrano il rientro del fedele alla vita profana.
Alla sera si ritorna a Mina, dove si pernotta.
L' 11, 'giorno del disseccamento', la carne degli animali sacrificati si lascia asciugare al sole, prima di essere consegnata a organizzazioni umanitarie che la distribuiranno in beneficenza.
Vi è una nuova lapidazione di Satana, sempre con sette ciottoli.
Il 12 è l'ultimo giorno a Mina per coloro che ancora non sono rientrati a La Mecca.
Nellà citta sacra, il giro di addio intorno alla Ka'ba conclude il pellegrinaggio.
La Mecca ha rappresentato, per i quindici secoli della storia dell'Islam, il polo magnetico di un'esperienza religiosa che ha unito milioni di coscienze al di là della diversità di etnie, delle differenze sociali, dell' eterogeneità degli ambienti geopolitici che formano l'ampio tessuto del mondo arabo-islamico.
Nonostante le numerose guerre, gli scismi, e soprattutto la dispersività delle enormi distanze - dal Marocco all'Indonesia, dall'Africa subsahariana alle repubbliche asiatiche della ex Unione Sovietica- La Mecca ha sempre assolto il ruolo di punto focale della comunità dei credenti musulmani.
Il forte senso dell' orizzontalità - spaziale e temporale - che domina il dispiegarsi della parola coranica sembra materializzarsi nella fissazione di un punto terrestre verso cui la spiritualità e la devozione religiosa possano convergere.
"Dovunque slate" - è scritto nel Corano (II, 150) - "rivolgetevi verso quella direzione, a che la gente non trovi pretesti contro di voi".
La direzione, la qibla verso cui ogni credente orienta la propria preghiera, è quella della Ka'ba, eretta da Abramo secondo la storia sacra dell' Islam, e descritta nel Corano come "il primo tempio che sia stato fondato per gli uomini" (III, 96).
Altrove, nel Corano, è Dio stesso che invita il Profeta a dare un senso spaziale alla sua preghiera: "Vediamo che tu volgi lo sguardo verso il cielo, ma ti daremo una qibla che ti piacerà: volgi dunque il volto verso il Tempio Sacro" (II, 144).
Da un punto vista storico e sociologico, nel corso dei secoli il pellegrinaggio a La Mecca è stato ed è uno dei capitoli più importanti della storia delle comunicazioni umane.
Si tratta certamente di una complessa rete di comunicazioni, attive a più livelli.
Se guardiamo alla base di questo fenomeno, il pellegrinaggio è da secoli un'occasione unica, per i fedeli, per affermare la propria fede e per trasmettere tale esperienza.
Per cogliere l'importanza di questo aspetto, e la sua incidenza sulla storia culturale, si considerino le due più importanti fonti medievali sul pellegrinaggio musulmano: l'andaluso Ibn Gubayr (XII secolo) e il magrebino Ibn Battuta (XIV secolo).
I diari di viaggio di questi grandi viaggiatori, in parte all 'origine di un particolare genere letterario centrato appunto sul pellegrinaggio, sono testi preziosissimi non solo perché consentono di ricostruire le condizioni di vita quotidiana e di viaggio nel Medioevo arabo-islamico, ma anche perché teatro storico globale è tutto il Mediterraneo.
Il pellegrinaggio musulmano si inserisce così in un tessuto di traffici e di comunicazioni ben più vasto di quanto certa storiografia passata ci abbia insegnato a scuola.
Un pellegrino musulmano proveniente dall'Andalusia, come appunto fu il caso di Ibn Gubayr, poteva trovare ovvio imbarcarsi a Ceuta, in Marocco, su una nave genovese per recarsi fino ad Alessandria d'Egitto.
Infatti, la scelta di Ibn Gubayr di ricorrere a imbarcazioni italiane (siamo nel 1183, quindi in piena epoca crociata) era sicuramente dettata dalla supremazia delle flotte cristiane nel Mediterraneo e dal conseguente minor pericolo di attacchi dei pirati.
Questa abitudine fu mantenuta per diversi secoli: pellegrini algerini, tunisini e libici spesso viaggiavano su navi inglesi o francesi fino ad Alessandria, e da lì giungevano al Cairo, dove si univano alle carovane appositamente organizzate per il pellegiinaggio.
Dall'alto Egitto, poi, sarebbero giunti fino a La Mecca.
Come si può intuire, la storia dei pellegrinaggio alla città santa dell' Islam è profondamente intrecciata alla storia delle grandi rotte commerciali che univano l'immenso territorio islamico.
Quello seguito da Ibn Gubayr è rimasto per secoli il tradizionale itinerario da ovest.
Le fonti relative al medioevo e all ' età moderna spesso documentano un percorso alternativo, scelto dai pellegrini delle province occidentali per ragioni di sicurezza, che li portava a deviare dal Cairo verso oriente, viaggiando dalla Siria fino a Baghdad, da dove partiva l'altra grande carovana verso La Mecca.
Oggi le condizioni di viaggio sono naturalmente meno gravose; al posto delle carovane che si muovevano lungo i principali assi di comunicazione, le moderne compagnie di viaggio includono sempre voli speciali per i pellegrini.
Tuttavia, anche la via di terra continua a essere praticata per ragioni economiche.
Ciò che nel tempo forse è rimasto invariato è l'mprevedibile stupore che accompagna l'emozione, da parte di chi giunge alla Ka'ba, nel trovarsi improvvisamente di fronte a tutti i possibili colori del genere umano.
E ancora Ibn Gubayr a testimoniare, otto secoli fa, l' assoluta plurietnicità dell'Islam, descrivendo in termini che noi oggi chiameremmo di mondialità una moltitudine in cui l'unico senso dell'ordine era dato dal muoversi in gruppo delle differenti razze e provenienze.
E' uno stupore che si riscontra in ogni resoconto di viaggio a La Mecca: identica emozione ha provato, per esempio, un altro grande viaggiatore musulmano, il diplomatico ottomano Evliya Celebi, che nel 1672 documentava la sensazione di ecumenismo procurata dalla fusione di razze e di lingue in una moltitudine compatta.
Nella geografia religiosa dell' Islam, il pellegrinaggio a La Mecca è certamente il più importante, ma la Ka'ba non è l'unica meta intorno alla quale si èfocalizzata una culture del viaggio a carattere spirituale.
A1 secondo posto per importanza è Gerusalemme, da cui Maometto partì per il suo viaggio mistico fino al Cielo, considerata dall' Islam città santa al pari dell'braismo e del cristianesimo.
Di fatto, tutte le regioni del mondo islarnico rivendicano, inoltre, una trama di pellegrinaggi locali, legati essenzialmente alle tombe di personaggi verso cui converge la devozione popolare, e caratterizzati da un'affluenza di fedeli in certi casi paragonabile al hagg alla Ka'ba.
E il caso delle cerimonie annuali intorno alla tomba di Sidi Ahmad al-Badawi a Tanta, nel delta del Nilo.
Di grande importanza per gli sciiti sono le visite alle tombe degli imam 'A1i e Husayn, nelle città sante di al-Nagaf e Karbala' in Iraq, e dell ' imam 'A1ì al-Rida a Qumm, in Iran.
Nel Magreb, regione del mondo musulmano la cui religiosità è caratterizzata dal culto dei santi, il circuito dei pellegnnaggi è particolarmente fitto; in Marocco, èfrequente il caso di pellegnnaggi di ebrei e di musulmani alle tombe di personaggi venerati dai fedeli di entrambe le religioni.
Fonte: Wikipedia

da Cultura-Barocca