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lunedì 21 gennaio 2019

Antonio Aniante, un grande intellettuale errabondo

 
Nel contesto di un approccio con la figura di Antonio Aniante, come detta il manifesto di un  convegno svoltosi a Ventimiglia (IM) qualche anno fa, le conquiste culturali di Roberta Valguarnera potrebbero stornare, proprio per la loro efficace competenza, l'attenzione dal tema scelto, vale a dire la relazione di Aniante con l'arte e gli artisti, anche filtrata attraverso il rapporto amicale, verso i suoi ultimi anni, con lo scultore maestro Elio Lentini.
In funzione di ciò, e, come detto, rimandando ad un più corposo intervento futuro su un Aniante, valutato nella poliedricità delle sue qualità letterarie e critiche, la proposizione integrale dell'opera di Roberta Valguarnera sostanzialmente centrata sulla figura dello scrittore, è parso qui opportuno snellire le riflessioni critiche, utilizzando la meno poderosa opera di un autore quale A. Danzuso (che pur tra qualche svista, come in merito agli estremi della nascita) ha redatto un quadro sintetico quanto efficace, per esser qui proposto, sulla figura di Aniante partendo già dalla sua fanciullezza ed adolescenza.

E proprio sulla scorta del Danzuso si possono qui enucleare alcuni passi salienti della vita di Aniante, ferma restando, per un eventuale approfondimento, la necessità di compulsare il lavoro di Roberta Valguarnera.
La formazione del giovane siciliano integrata da autonomi interessi culturali che portano il giovane a cimentarsi con diverse espressioni di, anche contrastanti, temperie culturali: in siffatto contesto restano comunque evidenti quegli interessi per D'Annunzio, il futurismo ed il simbolismo francese che a più riprese emergono dall'analisi della sua produzione.
Le "Memorie di Francia" nell'edizione di pregio di 1200 esemplari del 1973
DA RACCOLTA PRIVATA ELIO LENTINI
Non è invece semplice giustificare fin a qual punto abbia effettivamente inciso sullo sviluppo intellettuale il carisma di quel controverso e comunque carismatico intellettuale catanese, praticamente suo omonimo, che nelle autobiografiche Memorie di Francia del 1973 chiamerà con ossequio, e si potrebbe anche dire con reverente timore, il "vate Rapisardi": forse il dodicenne Aniante non fu in grado di accogliere il grande afflato intellettuale del suo concittadino, tutto si fermò sulla soglia di una quasi mitica e tutta catanese contemplazione del "vate" o forse qualcosa di quest'ultimo rimase nel futuro dello scrittore Aniante, ad esempio l'attivismo mentale, l'aspirazione a più moderne esperienze culturali, l'anticlericalismo...obbiettivamente, leggendo tra i barlumi di questi lontani ricordi, si ricava principalmente un'impressione un poco agiografica, che cioè il fanciullo, e poi l'uomo, più che dalle idee sia stato colto dal destino terreno dell'uomo, perseguito -al suo pari (ma Aniante mirava in effetti alla mancanza di riconoscenza anche economica degli artisti che aveva protetto)- da troppe incomprensioni e claunnie attese le nobili idee che portava fieramente avanti, mai beneficiato al modo che lui beneficò ed alla fine come lui -tormentato da una disfunzione osseo-scheletrica che ne imprigionava il fragile corpo in una sorta d'"armatura"- devastato nel fisico si che "da gigante qual fu...era diventato un nano".

Ancora molto giovane, all'epoca del primo Conflitto Mondiale e nello stesso dopoguerra, Aniante diede il via ad un'esperienza errabonda di vita, con viaggi che lo portarono nei centri istituzionali della cultura italiana e non solo. Fu così che raggiunse, soggiornandovi proficuamente, Napoli, Roma, Milano, Parigi, Firenze. Fu proprio nella grande città toscana che approfondì le sue competenze ponendosi diligentemente nella scia culturale di un singolare maestro, il "teosofo" Arrigo Levasti. Ma Milano rappresentò per lui un vero e primo significativo punto d'arrivo, infatti nel 1926 vi coseguì la laurea in lettere previo una discussione, con Pietro Martinetti, in merito ad una sua tesi sull'allora in auge "bergsonismo".
Espletato questo impegno si trasferì, sempre nel '26, a Roma dimorandovi per tre anni: l'occasione fu ghiotta, non dal lato accademico ma sotto il profilo delle frequentazioni culturali. La sorte gli diede il destro per entrare in confidenza con Luigi Pirandello, Rosso di San Secondo, Corrado Alvaro, Curzio Malaparte, ponendosi in modo abbastanza originale nel contesto della produzione letteraria e narrativa del tempo: oltre a ciò non lesinò le esperienze teatrali ed in particolare si adoprò intensamente presso il teatro di Bragaglia ove portò in scena diverse proprie commedie, caratterizzate da buona accoglienza sia da parte del pubblico che della critica. Inoltre, e pressapoco nello stesso arco di tempo, si associò al cenacolo di quelli che definiva "novecentieri" e che avevano il loro "nume" in Massimo Bontempelli: la varietà degli impegni e la molteplicità dei contatti, peraltro, lo indussero celermente ad accettare la proposta di seguire la via della critica giornalistica e più estesamente del giornalismo.
Ma proprio nel 1929 si andava preparando per Aniante una decisiva svolta esistenziale, l'abbandono dell'Italia e la permanenza a Parigi dal Natale di quell'anno medesimo e ne derivò una stagione narrativa piuttosto feconda i cui risultati, in qualche modo, si sublimarono nel romanzo "Un jour très calme".
La saggistica, le biografie e le opere di carattere storico-documentario furono invece da lui stese immettendosi sulla linea del percorso culturale già disegnato da Splenger e Benda: simile postazione critica, in qualche modo alterò le relazioni con la cultura ufficiale dominante nell'Italia del ventennio, ed Aniante venne in qualche maniera etichettato con l'appellativo, non del tutto rassicurante, di "scrittore fascista dissenziente".
Ma a Parigi, cosa di cui e su cui fra poco più doviziosamente si parlerà, ebbe soprattutto il destro per forgiarsi quale critico d'arte e contestualmente entrare in strettissimo contatto con tanti talenti artisti, pittori ma non solo, che sarebbero di lì a non molto diventati celeberrimi e sui quali avrebbe poi steso pagine interessantissime quale critico d'arte e forse ancor più quale biografo e narratore.

Nel 1938 morì la sua compagna (dopo un amore tormentato e tormentante come altre esperienze passionali dell'autore siciliano) ed Aniante, di rimpetto anche all'inevitabilità del II Conflitto Mondiale, riprese la sua vita errabonda: da Berck a Parigi ancora e finalmente ai paesini della Provenza e della Costa Azzurra per poi approdare nell'amata Nizza proprio quando furoreggiava la guerra totale.
Ma il suo itinerare non si arrestò mai, fu ancora a Peira Cava; poi, terminato il grande olocausto, si sistemò con la francese moglie Simone a Latte, tra Ventimiglia (IM) e Mentone, nella villa de "I Pini".
Le sue collaborazioni non vennero affatto meno, nonostante i problemi di un'incerta salute: continuò a lavorare come pubblista, narratore, biografo ed anche autobiografo. Talora il suo stato fisico gli imponeva di stare a lungo disteso, ma nemmeno in questo caso si fermava dall'operare e contestualmente da intrattenere relazioni con i suoi corrispondenti culturali.
Autore prolificissimo, magari dispersivo nelle tematiche, ha spesso suscitato interessi critici che si sono spesso arrestati sulla soglia del dare un ordine esaustivo alla sua produzione, opera indubbiamente non facile: ma per intendere a fondo e con coerenza critica le ragioni della sostanziale e soprattutto contemporanea incomprensione dell'opera di Aniante vale ancora la pena di leggere quanto in merito ha scritto Domenico Danzuso.

Si comprenderà presto che non è questo il luogo per, come spesso accade, parafrasare (se non scimmiottare) le altrui postulazioni arrogandosi merito non propri; rimandando in merito alla sua produzione "in toto" a siffatta pubblicazione gli studiosi basta qui citare gli elementi nucleari della sua immensa e dispersiva produzione.
Oggettivamente, e per unanime consenso, pietre ferme e in qualche modo miliari del suo tragitto intellettuale restano in ambito teatrale le commedie d'avanguardia "Gelsomino d'Arabia" (1926) e "Bob-Taft" (1927); "Carmen Darling" (1929, rappresentata da Carlo Ludovico Bragaglia) ed ancora la sua commedia "La rosa di zolfo" che Domenico Modugno nel 1958 presentò al Festival della Prosa di Venezia con un cast di tutto rilievo.
A livello di narrativa e, nello specifico quale romanziere, sono invece riconosciute tra i suoi primi prodotti opere quali, "Sara Lilas. Romanzo di Montmartre" (1923), "Amore mortale" (1928), "Venere ciprigna. Novelle" (1929), "Il paradiso dei 15 anni" (1929), "Ricordi di un giovane troppo presto invecchiatosi" (1939), "La zitellina" (1953), "L'uomo di genio dinnanzi alla morte" (1958), Figlio del sole (1965, che ha vinto il Premio Selezione Campiello).
Eppure nella sua rilevante attività pubblicistica, storica e memorialistica (accanto all'originale "Vita di Bellini" uscita postuma nel 1986), specialmente per le riflessioni che qui si vanno producendo, merita una segnalazione specifica il libro sostanzialmente autobiografico Memorie di Francia del 1973.
La ragione è semplice, il libro costituisce sostanzialmente un "punto della situazione della vita di Aniante", ormai anziano (morirà dieci anni dopo, nel 1983 a Latte nella sua amata villa): forse perchè presago della fuga del tempo e dello spazio sempre più breve concessogli per scrivere Aniante si sofferma sulla soglia dei ricordi, come peraltro era già stato solito fare, e vi scava all'interno, con una scrittura che a volta si scontra col lettore per via di scatti quasi nevrotici che lasciano in sospeso pensieri recuperabili per via di riflessioni, quasi all'interno di un giuoco architettato dallo scrittore.
Nella sua sostanziale brevità il libro è un "poemetto in prosa" sulla vita degli artisti di Montparnasse e poi sulla loro diaspora ed ancora sul loro coagolarsi al sole di Provenza: Aniante è il loro contrappunto, l'intellettuale eternamente in difficoltà economica che da un lato si rode a contemplare il formarsi di autentiche fortune per pittori un tempo miserrimi che ha esaltato coi suoi scritti ma che, dall'altro lato, subito rigettando la cattiveria insita nell'invidia, trova motivo d'esaltarsi al pensiero d'aver potuto fruire dell'amicizia dei talenti più grandi, specialmente in ambito pittorico, che la sua stagione esistenziale potesse concedergli.
Sarebbe improprio negarlo qualcosa di contradittorio caratterizza Aniante in questa serie di riflessioni come in altre analoghe fatte in tempi pregressi: umanamente parlando non deve esser stato facile -come appena detto- assistere a trionfi impensati, cui in tempi ingrati aveva contribuito, senza talora nemmeno ricevere una gratificazione morale se non economica.
Non è difficile scoprire questo lato delente della sua esistenza: più di una volta infatti, raccontandosi in prima persona Aniante ritorna all'epoca controversa, ora fulgida ora disperata e disperante, del suo soggiorno parigino e dei suoi poliedrici contatti con i futuri immortatali, i giovani talenti che avrebbero illuminato della loro arte il mondo intiero.
...
Ma subito, attesa la sua indole fatalista e molto mediterranea, l'autore sa riprendersi ed uscire dalle secchie di cattivi ed impopolari pensieri per recuperare il positivo ed anzi vantarsi del suo stato di uomo non arricchitosi economicamente per l'altrui trionfo ma semmai nobilitato dal contatto spirituale con i genii che quei trionfi hanno saputo perseguire.
...Sondando a tutto campo le "Memorie di Francia" (anche valendosi di un'analisi semantica e strutturalistica per quanto non sempre attendibili in maniera assoluta) si riscontra invece semmai il senso del declino: e non solo del proprio, causato dall'inferma salute, ma di tutti i grandi, specialmente di quelli maggiormente prossimi...parafrasando Aniante si potrebbe dire degli "artisti divini di Costa Azzurra e Provenza".
L'angoscia non è espressa palesemente nell'andamento sostanzialmente giornalistico ed aneddottico della narrazione, ma qualche "lapsus calami", una forma ancora più nevrotizzata del solito, pur nel rispetto della tradizionale efficienza espressiva, paiono segnali d'un abbandono che coinvolge tutto e tutti (in questo, ancora una volta, si potrebbero giudicare emblematiche le stesse sarcine narrative dedicate a Matisse e a Picasso!).
Il tempo scorre e tutto travolge, anche gli "Dei dell'arte" ed i loro "mentori": ma qualche fuga rimane, sempre, e a tutti.
Per lo scrittore, relativamente isolato a Latte di Ventimiglia (un paradiso di clima, luce e natura: occorre sempre rammentarlo) gli incontri gratificanti non mancheranno mai...la sua ottima reputazione e le tante conoscenze maturate in anni di lavoro non hanno prosciugato il pozzo delle relazioni intellettuali!
Ma nel percorso esistenziale di alcuni uomini, di uomini come Aniante perennemente curiosi ed intellettualmente instancabili anche se spesso relegati in un letto, oltre che i GRANDISSIMI ARTISTI CON CUI EBBE GRANDE FAMILIARITA' ED AMICIZIA (ed anche i SEGRETI GRANDI E PICCOLI da lui raccolti in merito a tanti artisti eccelsi, come ad esempio Modigliani) hanno un ruolo eminente i giovani talenti, le figure nuove da scoprire, guidare, segnalare: ed infatti occorre rammentare che Aniante non mascherò mai (contro qualche falsa credenza che lo vuole soltanto "profeta dei sommi") l'aspirazione d'esser SCOPRITORE DI TALENTI.
 
 Le sue innumerevoli "scorribande" tra artisti giovani ed emergenti ma spesso caratterizzati da un comune stato di indigenze hanno fatto sì che Aniante abbia finito anche per raccogliere dati, notizie ed anche "segreti" (spesso racchiusi nelle pagine delle "Memorie di Francia..." rimasti inesplorati per la maggior parte dei critici come nel caso del pittore genovese Enrico Fumi od ancora di Tullio Garbari poeta amicissimo del promettente giovane scrittore Dino Garrone, parimenti conosciuto da Aniante che, a quanto pare nel contesto della critica letteraria, pare il solo ad aver appreso la reale causa della morte di Garrone a Parigi nel 1931, genericamente definita ovunque "misteriosa".
 

Fortunatamente la sorte non si è rivelata sempre così amara nei riguardi del (si passi il termine) "talent scout" catanese.
Continua
E, proprio a consolare la vecchiaia di questa sorta d'avventuriero dell'arte, di pirata o meglio ancora d'esploratore a caccia di sempre nuovi orizzonti le occasioni non mancano, anche nell'individuare giovani artisti destinati ad un futuro luminoso.

da Cultura-Barocca