Secondo lo studioso Franco Cardini, la Chiesa di Roma, pur con alcune contraddizioni interne (come ad esempio le Scuole residenziali indiane), ha agito nei secoli prevalentemente in difesa degli indigeni. Afferma Cardini [in "L'Avvenire", copia del 09-06-2013 - Editoriale: Da Las Casas a oggi, il contro-colonialismo della Chiesa Cattolica) = "A chiunque chieda che differenza vi sia tra la Chiesa cattolica e le Chiese e le sètte protestanti giova forse riflettere, tra l'altro, sui differenti esisti del rapporto tra missione e colonialismo nei Paesi estraeuropei. Tutte le Chiese cristiane hanno sempre considerato l'espansione coloniale con severità, il che non ha loro impedito di scorgervi anche un'occasione provvidenziale per la conversione dei popoli nuovi. Tuttavia i protestanti hanno sempre dovuto sottostare alla volontà degli Stati, per aunto abbiano cercato in ogni modo di attutirne l'arbitrio e di alleviare le sofferenze dei popoli colonizzati promuovendo iniziative umanitarie e opere del progresso. Non c'è d'altro canto dubbio che sarebbe ingiusto negare che molti della Chiesa cattolica si siano piegati alle esigenze delle potenze colonialistiche e alla loro pratica di violenza e rapina. Resta tuttavia un fatto: nel mondo protestante non c'è nessun missionario che sia riuscito a combattere ingiustizia e violenza con lo stesso successo con cui l'hanno fatto i cattolici: e difatti nell'America settentrionale e Oceania si sono avuti sistematici genocidi su larga scala, messi in atto soprattutto da inglesi e olandesi, che non trovano riscontro nell'America meridionale dove stragi e razzìe di schiavi ebbero certamente luogo, ma dovettero fare i conti con apostoli che difesero i nativi a viso aperto, spesso accettando insieme a loro la persecuzione. Il più famoso di costoro è senza dubbio il domenicano Bartolomé de Las Casas che convinse Carlo V a promulgare le “Nuevas Leyes”, irreprensibile codice garantista nei confronti dei nativi, che resta un modello giuridico a testimonianza del senso di equità di un sovrano cattolico e che impedì molte sopraffazioni ".
Tra gli storici che ricalcano le posizioni di Cardini ci sono Rodney Starke ed Eugene D. Genovese che affermano come la riduzione in schiavitù di interi popoli fu, in genere, osteggiata dai religiosi cattolici.
Tra coloro che difesero gli indios, mettendo a rischio la propria vita fino al martirio, vi sono i frati domenicani Antonio de Montesinos (1475-1540) e Pedro de Córdoba (1482-1521), tra primi religiosi a raggiungere il Nuovo Mondo. I loro sermoni contro i metodi violenti utilizzati dai coloni verso la popolazione autoctona colpirono talmente uno degli amministratori locali che questi decise di prendere i voti e di schierarsi al loro fianco. Si trattava del già citato Bartolomé de Las Casas, oggi universalmente riconosciuto come il "protettore degli indios".
Frate Francesco da Vitoria (o Francisco De Vitoria) (1492-1546) è un altro dei difensori degli amerindi: la sua azione principale fu quella di elaborare le basi teologiche e filosofiche in difesa dei diritti umani delle popolazioni indigene colonizzate. Questo lo fa annoverare tra i padri del “diritto internazionale”.
Si ricordano inoltre le Riduzioni gesuite che cercarono di creare un modello di sviluppo equo e solidale con i locali, o episodi come la cosiddetta battaglia di Mbororé, che vide i gesuiti a fianco dei nativi combattere contro i colonialisti europei. Diversi atti e bolle papali nel tempo furono emanati a difesa degli indigeni.
Già papa Eugenio IV (1383-1487) prima della scoperta delle Americhe, con la bolla Sicut Dudum del 1435 indicò l'atteggiamento del papato verso le popolazioni indigene (in questo caso i popoli delle Isole Canarie). In essa infatti si ordinava, sotto pena di scomunica, a chi era coinvolto nello schiavismo, che entro 15 giorni dalla ricezione della bolla si doveva «riportare alla precedente condizione di libertà tutte le persone di entrambi i sessi una volta residenti nelle dette Isole Canarie, queste persone dovranno essere considerate totalmente e per sempre libere («ac totaliter liberos perpetuo esse») e dovranno essere lasciate andare senza estorsione o ricezione di denaro».
Altro documento è la bolla Veritas Ipsa conosciuta anche come “Sublimis Deus" del 2 giugno 1537, emanata da papa Paolo III che proclamava «Indios veros homines esse» ("gli indios sono uomini veri") e scomunicava tutti coloro che avessero ridotto in schiavitù gli indios o li avessero spogliati dei loro beni.
Nell'anno 1639, papa Urbano VIII, ascoltando la richiesta dei gesuiti del Paraguay, emise la bolla Commissum Nobis, che ribadiva la scomunica di Paolo III, proibendo in modo assoluto "di ridurre in schiavitù gl'Indiani occidentali o meridionali; venderli, comprarli, scambiarli o donarli: separarli dalle mogli e dai figli; spogliarli dei loro beni; trasportarli da un luogo a un altro; privarli in qualsiasi modo della loro libertà; tenerli in schiavitù; favorire coloro che compiono le cose suddette con il consiglio, l'aiuto e l'opera prestati sotto qualsiasi pretesto e nome, o anche affermare e predicare che tutto questo è lecito, o cooperare in qualsiasi altro modo a quanto premesso".
Nel 1741 papa Benedetto XIV emanò la bolla Immensa Pastorum con la quale si vietava che i popoli indigeni delle Americhe e di altri paesi fossero asserviti.
Papa Gregorio XVI, nel 1839 con la bolla In Supremo Apostolatus, ribadiva, la solenne condanna verso la schiavitù e la tratta degli schiavi. Nel 1888 papa Leone XII scrisse a tutti i vescovi del Brasile affinché eliminassero completamente la schiavitù dal loro paese, dopo aver perorato in quello stesso anno la causa del cardinale Charles Lavigerie, che fondò a Bruxelles l'associazione "Anti-Slavery Society", per raccogliere fondi a favore degli antischiavisti e le loro battaglie.
Come riferimento finale della lotta contro le discriminazioni coloniali e a favore della promozione dei popoli nativi possiamo indicare l'enciclica Mater et Magistra (1961) di Papa Giovanni XXIII, un pilastro della dottrina sociale della Chiesa cattolica.
da Cultura-Barocca