Powered By Blogger

sabato 11 marzo 2017

Sulla lettera da Ventimiglia di Ugo Foscolo

La lettera da Ventimiglia (IM) che Ugo Foscolo attribuì a Jacopo Ortis, infelice protagonista del suo omonimo romanzo, non è fatto solo letterario ma nasce da un’esperienza autobiografica: tante guerre avevano tormentato Ventimiglia dal XVIII secolo e la città aveva patito danni irreparabili, quasi a testimoniare le perplessità nutrite molto tempo prima da uno dei suoi figli più grandi, cioè Angelico Aprosio, la cui “Libraria” giaceva in grave declino.
Ma eran questi i ritmi di una storia che sa essere implacabile…ed ora il protagonista era UGO FOSCOLO o se vogliamo il suo alter ego letterario JACOPO ORTIS!!!

La romanzesca lettera, del 19-20 febbraio 1799 venne in effetti ideata sulla base di due viaggi foscoliani per le contrade liguri.
Uno avvenne nel giugno 1800 (Genova-Pietra Ligure-Nizza Monferrato-Alessandria), mentre quello che gli fece conoscere Ventimiglia si era svolto nel dicembre 1799 (Genova-Ventimiglia-Nizza).

Quest'ultimo fu causato da un grave evento politico, essendo GENOVA provvisoriamente caduta nelle mani delle forze antirivoluzionarie ostili alla Francia: ne derivò una fuga di tutti i filofrancesi e filonapoleonici alla difesa di Genova tra cui, assieme allo sfinito fratello Giovanni Dioniso, anche UGO FOSCOLO, che pure aveva avuto “tempo” di intrecciare una relazione amorosa e poetica con la nobile genovese LUIGIA PALLAVICINI.
Ed a proposito delle “relazioni foscolane” con la LIGURIA giova qui rammentare che su di esse, attraverso il controverso rapporto Vincenzo Monti – Ugo Foscolo, un influsso significativo anche culturale esercitò GIUSEPPE BIAMONTI DI SAN BIAGIO DELLA CIMA (maestro di greco classico di Vincenzo Monti e per tal via entrato tra le conoscenze foscoliane), nei cui riguardi proprio il Foscolo sarebbe diventato debitore di una non banale intuizione protoromantica per il suo celebre carme Dei Sepolcri.
Gli eventi del 1799 influenzarono quindi decisamente la stesura delle “Ultime Lettere di Jacopo Ortis", che essendo romanzo del 1802 ,risultò altresì contaminato dall’esperienza del soggiorno foscoliano del 1800 a Pietra Ligure.
Rispetto ai tempi di Angelico Aprosio, alcune cose non eran comunque mutate: in primis l’assenza di una strada litoranea dignitosa ed in secondo luogo il fatto che il misero percorso che conduceva da Bordighera a Ventimiglia era spesso interrotto da alluvioni e tracimazioni, conseguenza di quelle scarse previdenze epocali nei riguardi di arginature, ripascimento delle spiagge ed igiene pubblica, su cui Aprosio, descrivendo Ventimiglia nel suo repertorio biblioteconomico del 1673, si era già soffermato.
Nella lettera il Foscolo descrive un ambiente invernale: le piogge di fine ’99 e dei primi mesi del nuovo secolo, con fenomeni alluvionali, sono fotografati nel quadro ambientale di Ventimiglia e terre circonvicine. Dall’altura delle Maure egli contemplò le acque in piena del Roia, quindi raggiunse il ponte rinascimentale e da una rotonda all’inizio di questo, che tuttora esiste a fianco sud dell’attuale ponte stradale e pedonale, egli contemplò, come oggi stesso risulta possibile, “i due argini di altissime rupi e burroni cavernosi” che rimandano alle “Gole di Saorgio”.

Ugo Foscolo a Siestro ed alle Maure era giunto per sentieri di altura, perché al suo Ortis fa parlare di un viaggio verso Ventimiglia “fra aspre montagne”: dice anche che su quei monti sono “MOLTE CROCI CHE SEGNANO IL SITO DEI VIANDANTI ASSASSINATI”. Tale preromantica espressione non corrisponde al vero sia perché non era consuetudine epocale di SEPPELLIRE (PROCEDERE ALLE INUMAZIONI) in tal modo sia per il fatto che nessun notaio ha mai registrato nulla di simile neppure in circostanze eccezionali. Per inciso occorre ricordare come il tema protoromantico dei cimiteri, che portò alla - dal Foscolo contestata nel Dei Sepolcri - seppur sulla base di istanze sentimentali, normativa di Saint Cloud era la dilatazione letteraria di un problema reale, connesso ad una crescente necessità sia di igiene pubblica quanto alla lotta contro perduranti forme di pratiche superstiziose alimentate sia da mancata custodia dei cimiteri che dal lugubre formalismo delle inumazioni (terrori indubbiamente acclarati da un evento epocale di presunti ritornanti connessi ad una supposta epidemia di vampirismo) ed ancora all’esigenza di porre un limite, per carenza di rilevazioni diagnostiche, al non raro seppellimento di persone ancora vive, le così dette vittime, per varie casualità e patologie, delle MORTI APPARENTI.
Quelle che vide erano le CROCI disposte verso gli ultimi anni del ‘600 onde dirimere le CONTROVERSIE DI CONFINE tra il Dominio di Genova e Seborga e tra Ventimiglia ed i borghi rurali o marinari di Camporosso, Vallecrosia, Bordighera, San Biagio della Cima, Sasso, Soldano, Vallebona, Borghetto San Nicolò: siffatti cippi a pseudotumulo correvano a fianco delle vie di altura che - data la loro importanza - erano state contestate nel contenzioso.

 
 Inteso che nel dicembre 1799 il Nervia in piena aveva tracimato e che il ponte non esisteva più o più non serviva, il Foscolo, giunto a Bordighera, deve aver intrapreso la direttrice interna di sublitorale per accedere da tal paese alla valle del Crosa e quindi giungere da Dolceacqua alla deviazione dal Convento della Mota.
Per mezzo di questo percorso egli era quasi certamente giunto in Dolceacqua dalla valle del Crosa, seguendo la deviazione già descritta in una pubblica relazione genovese del 1629.
Poi, superato facilmente per il robusto ponte il Nervia, era passato dal Borgonuovo di Dolceacqua al Convento della Muta donde, inerpicandosi per una mulattiera dovette immettersi sulla strada d’altura sin al punto limite del Convento di Sant'Agostino.
Precisamente, prima di giungere all’area di tale complesso ecclesiale, il poeta di Zante dovette iniziare a discendere dall’altura donde aveva contemplata con tanta efficacia protoromantica sia la natura che Ventimiglia.
Finalmente, avvicinandosi per tappe mai agevoli raggiunse “Li prati delli Frati” da dove facilmente potè accedere al Convento di S. Agostino il cui fronte guardava la “strada romana”.
J.T Wilmore, Ventimiglia - Particolare con il ponte seicentesco (articolo di Erino Viola = "Ventimiglia nel Seicento" dalla Rivista Aprosiana 2007)
Da lì gli giunse oltremodo semplice raggiungere il corso del fiume Roia e finalmente il complesso demico principale della città di Ventimiglia donde non dovette certo creargli problemi una prosecuzione del viaggio alla volta del sicuro territorio di Francia.
"Veduta ottocentesca della chiesa di S. Antonio Abate e di via Garibaldi di Clemente Rovere, 1830" (articolo di Erino Viola con la collaborazione di Andrea Folli e Gisella Merello = "La Strada Nuova e gli altri edifici pubblici cittadini" dalla Rivista Aprosiana 2007)