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martedì 13 febbraio 2018

Un medico innovatore alla svolta del XIX secolo

Michele Francesco Buniva nacque a Pinerolo, il 15 maggio 1761, dall'architetto Giuseppe Gerolamo e da Felicita Testa.
Il B. si laureò in medicina a Torino il 7 marzo 1781 e attese quindi alla carriera universitaria sotto la guida di valenti maestri: dall'Anforni al P. Adami, al Penchienati, al Ranzone. La capitale subalpina stava assistendo a un vivace risveglio degli studi comparati di anatomia, di fisiologia e di patologia, ma anche alla diffusione (auspice il Brugnone) dei precetti della prima scuola veterinaria sorta in Europa, a Lione nel 1761. E appunto in questa direzione si volse la preparazione specialistica del B. con alcune ricerche sui "fenomeni vitali" degli animali domestici, soprattutto nello stato patologico, abbinata peraltro ad approfonditi studi di botanica. Una dissertazione De generatione hominum,verminum et plantarum (Torino 1788) gli valse, il 7 maggio 1788, l'aggregazione al Collegio della facoltà di medicina di Torino. A quel tempo il B., che aveva cominciato a lavorare come medico collegiato e a svolgere attività scientifica in collaborazione con il Brugnone per indagini particolari sul sangue degli animali infetti, sulla fisiologia e patologia dei pesci, nonché sull'individuazione di alcuni insetti nocivi al bestiame bovino, era già noto in Piemonte per aver importato dall'Inghilterra una "macchinetta inserviente alla filatura della seta" e per il vivo interesse con cui dal 1783 (da quando era stato nominato membro della Società agraria di Torino) seguiva l'andamento delle principali innovazioni nel campo della pratica agronomica.
Il 15 luglio 1789 egli veniva chiamato alla cattedra di mdicina e, l'anno dopo, anche a quella di chimica presso l'ospedale San Giovanni di Torino. Si era voluto così riconoscere i meriti dei suoi primi studi a larga base sperimentale, compiuti soprattutto in Francia, i suoi tentativi di immettere "un po' d'aria fresca" nei campi dell'arte medica e della chirurgia. A sua volta il sovrano, nel dare il consenso al passaggio del B. alla cattedra di medicina pratica, gli accordava, il 15 ag. 1791, una pensione annua di 150 lire. Del resto, il nome del B. era già largamente accreditato fuori degli Stati sabaudi: membro dal 1790 della Société Royale de Medicine di Parigi, dell'Accademia dei Georgofili e della Società agraria di Milano, annoverava al suo attivo parecchie ricerche di medicina veterinaria, di meccanica e di agronomia ma, soprattutto, un lavoro fondamentale, il Nomenclator linneanus Florae Pedemontanae , edito a Torino nel 1790.
Elaborato sulla scorta degli insegnamenti dell'illustre fisico e naturalista C. Allioni, di cui il B. era stato l'allievo prediletto, il Nomenclator si offrì anche come utile chiave per concordare la nomenclatura e la posizione sistematica delle specie indicate da Linneo con quelle indicate dall'Allioni: opera che si rendeva necessaria, oltreché per il numero nuovo di specie trovate dallo scienziato piemontese, anche per l'uso che questi fece di un sistema assai più semplificato rispetto a quello lineano, divenuto a sua volta "notissimo".
Altrettanto interessanti i suoi studi in quel periodo nel campo dell'ingegneria e dell'agronomia: a cominciare da L'arte di fare il verderame, ossia istruzione pratica intorno la fabbricazione di questo colore ad uso degli agricoltori piemontesi (Torino 1788), in cui egli rilevava l'utilità di produrre l'acetato rameico in Piemonte, sia per la presenza della materia prima in "abbondanti miniere d'ottimo rame", sia per la vasta possibilità d'impiego del prodotto in considerazione della larga diffusione della coltivazione della vite, rimasta in Piemonte la più legata alle vecchie pratiche contadine. L'interesse del B. per la diffusione delle tecniche più progredite nel campo della produzione si rispecchia anche in relazioni molto specialistiche, ricche di dati e di osservazioni di prima mano, intese a promuovere opere di bonifica e di trasformazione fondiaria, o ancora di valorizzazione della potenzialità di corsi d'acqua e di impianti di energia motrice, come nel Discorso sopra i mezzi co' quali i Francesi hanno cercato di diminuire i danni prodotti dall'inazione de' mulini ad acqua nel rigore dell'inverno del MDCCLXXXVIII-LXXXIX, scritto nell'ottobre 1789 e dedicato al conte Prospero Balbo, allora sindaco di Torino. Michele Francesco Buniva vi sosteneva, a conclusione di un esame minuto dei vari tipi di mulini operanti in Europa, la necessità di procedere allo scavo di altre rogge nelle campagne, per aumentare il numero dei mulini ad acqua al posto di quelli a vento, ormai cadenti e non bastevoli al bisogno. Ma tutta la relazione si raccomanda anche per la vivace descrizione delle disastrose conseguenze economiche nelle campagne europee del terribile inverno del 1788-89 con il loro seguito di pestilenze, di carestie e di tensioni sociali.
Dal 1792, quando si riversarono sull'agricoltura piemontese gli effetti rovinosi della guerra contro la Francia, il B. diede mostra di un'instancabile attività e di un impegno solerte e fecondo. In un periodo in cui la penuria di generi alimentari e le esigenze dell'esercito non tardarono a far salire la domanda di grano e di altre derrate a prezzi esorbitanti, con relativa speculazione di fornitori e di proprietari agricoli poco scrupolosi, si oppose energicamente all'abbattimento indiscriminato delle selve e a ogni falsificazione delle farine e dei commestibili, sollecitando piuttosto il prosciugamento di alcune regioni paludose del Piemonte e l'adozione di misure appropriate contro le malattie del bestiame e il diffondersi del contagio. Il conflitto con la Francia conclusosi nel maggio 1796 lasciava dietro di sé - osservava il B. in un opuscolo del 1797, Istruzioni riguardanti la morva, ossia il ciamorro,e l'idrofobia -, complice il passaggio dell'esercito austriaco, uno strascico di infezioni e di morbi epizootici quali il Piemonte non conosceva più da mezzo secolo. Estremamente gravi si presentavano, in particolare, i vuoti aperti dalla epizoozia bosungarica nel patrimonio bovino, per il cui risanamento egli dettava in quello stesso anno una Memoria intorno alle provvidenze contro la corrente epizoozia nelle bovine con l'aggiunta delle memorie del grande Albert Haller sul contagio del bestiame, destinata ai "parroci, agli agronomi e ai medici" perché la diffondessero fra i contadini "a guisa d'istruzione a vantaggio dello Stato".
Come appare anche da questa dedica, che risente delle aspirazioni democratiche di istruzione pubblica, il Buniva nel frattempo si era accostato ai gruppi giacobini piemontesi. Di fatto, dopo la rinuncia al trono di Carlo Emanuele IV e l'insediamento nel dicembre 1798 di un governo provvisorio repubblicano, egli, iscritto alla loggia massonica pinerolese, diveniva uno degli esponenti politici più in vista del nuovo regime politico. Chiamato il 18 gennaio 1799 alla cattedra di patologia e anche all'incarico di igiene e medicina legale, istituito per la prima volta in Piemonte, veniva nominato in quella stessa circostanza presidente del giurì di medicina e membro del consiglio dell'Accademia universitaria di Torino. Due mesi dopo, in seguito alla vittoriosa offensiva delle truppe austro-russe del Suvarov, doveva tuttavia riparare in Francia, per sfuggire alle rappresaglie del restaurato governo sabaudo. Stabilitosi a Lione, lavorò a quella scuola veterinaria e all'Hôtel-Dieu con il naturalista Gilbert e altri scienziati francesi, dal Vauquelin al Bredin, prima di passare all'istituto di medicina veterinaria di Alfort e quindi a Parigi, donde nei primi mesi del 1800, munito delle credenziali del più famoso veterinario d'Europa, l'Huzard, raggiunse Londra per assistere alle prime esperienze di inoculazione del vaccino scoperto da Jenner contro il vaiolo. Ritornato in Piemonte dopo Marengo, il B. s'impegnò a debellare definitivamente le ultime tracce dell'epizoozia nelle campagne locali e mobilitare altre ingenti risorse nella lotta contro il flagello del vaiolo.
Certo, la Commissione del vaccino da lui diretta non ebbe sempre vita facile: il De Rolandis parla di "molte polemiche e strane contrarietà" e lo stesso B. si rammaricò più volte dell'incredulità dei "sapienti" e del misoneismo delle autorità municipali o della popolazione contadina. Ma già alla fine del 1807 più di centomila fra bambini e adulti erano stati vaccinati secondo la citata tecnica di Edward Jenner e non in base a quella, rivelatasi presto pericolosa, del medico Giovammaria Bicetti De' Buttinoni che pure ebbe l'elogio del Parini nell'ode del 1765 L'innesto del vaiolo = e, grazie alla volontaria e gratuita collaborazione di medici e di filantropi, una vasta rete di centri di controllo e di intervento era stata messa su, oltre che a Torino (dove il primo comitato per il vaccino era stato organizzato nel 1803 presso l'ospedale della maternità in collegamento con un analogo comitato di Londra), anche nei mandamenti periferici e nei circondari di Pinerolo e di Susa. Ancora nel 1808 troviamo il B. impegnato a dirigere a Pinerolo i soccorsi e i provvedimenti necessari a dare asilo alle famiglie colpite dal terremoto che desolò in quell'anno alcune vallate piemontesi (Terremoto di Pinerolo del 1808 - digitalizzazione integrale de Rapport sur le tremblement de Terre qui commencé le 2 Avril 1808 dans les Valles de Pélis, de cluson, de Po, etc... par A. M. Vassalli - Eandi). Diramò il B. - osserva a sua volta il Tegas - "istruzioni atte a diminuire il novero degli individui affetti da cretinismo; perorò per ottenere lo stabilimento di ricoveri per i dementi [...]; fece adottare provvedimenti per porre un freno alla diffusione della sifilide; diede consigli intorno all'igiene della famiglia [...]; propose la costruzione di varie fontane a Torino per le acque potabili; a lui si devono i bagni pubblici e quelli di acque minerali artificiali; le sue scrupolose indagini dirette a conservare la salute a tutto si estesero, nulla dimenticarono: l'aceto, la birra, i macelli, i granai, i cereali con i loro nocivi insetti e con le loro falsificazioni e miscele; i mulini, le farine, i forni furono oggetto dei suoi strali, le carceri, gli edifici urbani e rurali, il ghetto e gli ospedali...". Anche lo studio dei mezzi per rimediare ai malanni del carbonchio fra i bovini, all'insorgere della febbre gialla, all'estendersi della pellagra richiamarono le vigili cure del B., che dall'aprile 1801 aveva assunto la presidenza del Consiglio superiore civile e militare di sanità (destinato a sostituire in un unico organismo le preesistenti magistrature sanitarie) e le funzioni di ispettore generale della salute pubblica. Organizzò inoltre, nel 1802, un Consesso sanitario, cui fecero capo i più noti studiosi di fisica e di medicina piemontesi, chiamato a collaborare con il Consiglio di sanità nella discussione e nell'elaborazione delle varie misure preventive e terapeutiche nel campo della organizzazione medica e scientifica in Piemonte.
Il periodo che va dal giugno 1800 al settembre 1802, cioè all'annessione ufficiale della regione alla Francia, coincise del resto con una stagione, per quanto fragile ed effimera, di appassionato fervore riformistico in Piemonte, sull'onda di aspirazioni e speranze, non ancora deluse, di un nuovo ordine politico-sociale. Subito dopo Marengo il B. era stato chiamato a presiedere anche la Società agraria di Torino e aveva ripreso i suoi vecchi progetti di risanamento di varie plaghe paludose e cominciato a lavorare intorno a un migliore ordinamento delle risaie, ma anche alla salvaguardia del patrimonio boschivo, al rinnovamento di pascoli e case coloniche, all'ammodernamento dei sistemi di conduzione del patrimonio zootecnico. Al B. era stata conferita del resto, il 19 dic. 1800, la direzione della scuola veterinaria di Torino, ristabilita al Valentino, con il compito precipuo non solo di combattere gli ultimi residui della grande epizoozia abbattutasi in Piemonte durante la guerra delle Alpi, ma di fare della medicina veterinaria un corpo di norme e di discipline sistematico, elevato a dignità scientifica.
Ed è quanto egli si accinse a fare dettando nel 1802 un regolamento degli insegnamenti e delle pratiche sperimentali, sulla scorta dei modelli già invalsi a Lione e a Charenton, che sarebbero rimasti anche in seguito il cardine dell'attività dell'istituto (Lettera circolare concernente l'apertura della Scuola e del Collegio veterinario, Torino 1802). Grazie allo sviluppo della scuola del Valentino e all'adozione di efficaci provvedimenti profilattici e curativi sarà possibile d'altra parte liquidare in soli tre mesi, tra l'agosto e il settembre 1807, la ripresa delle infezioni epizootiche nelle campagne piemontesi.
Come altri botanici del tempo, G. Passerini, C. Passerini, C. Rondoni ecc., il B. occupandosi di agraria, finì coll'occuparsi anche di parassitologia agraria che è essenzialmente entomologia - per cui lasciò una serie di memorie - e principalmente "Dissertations sur les insectes qui ravagent la récolte des blés", che sono un utile contributo alla conoscenza di alcune specie di insetti.
Il B. si preoccupò anche di studiare e di coordinare tutte le iniziative private intese a valorizzare la produzione agricola piemontese con un fattivo appoggio dall'alto. Allo sviluppo della Società agraria di Torino contribuì da posizioni di primo piano sia durante il suo mandato annuale alla presidenza del consesso, dalluglio 1800, sia con la creazione, nel 1802, di una rete di servizi per lo studio sistematico delle condizioni climatiche, del regime del suolo e delle acque e della topografia medica nelle varie province piemontesi e la fondazione (nel 1809) del primo Museo georgico; quando cioè la Società agraria fu chiamata dalle autorità napoleoniche non solo a risolvere la disperata situazione annonaria e altri gravi problemi d'emergenza lasciati dalla guerra (devastazione delle campagne, requisizione delle granaglie, fallanze nei raccolti, penuria di generi di prima necessità, ecc.), ma a ricostruire pure le basi dell'economia agricola locale e a ricercare, con l'inasprirsi della guerra con l'Inghilterra e il blocco continentale, nuove fonti di rifornimento e di sussistenza: a sperimentare la coltura del cotone (quantunque non senza molte riserve da parte del B. e di altri agronomi piemontesi), della colza e di altre piante succedanee, della barbabietola da zucchero, della meliga quarantina, del grano d'Egitto, ecc., o a tentare l'acclimatazione in Piemonte di generi coloniali, di sostanze coloranti e di piante industriali. Problemi questi - insieme alla lavorazione dei bozzoli, alla coltura dell'indaco, all'importazione di pecore di razza pregiata, alla filatura della seta e alla creazione di fabbriche di birra e di porcellana - su cui il B. interverrà puntualmente nel corso di quegli anni con memorie, giudizi e progetti particolari. Non si trattò, beninteso, di iniziative destinate tutte al successo: tuttavia, insieme ad alcuni discreti risultati, fu possibile porre per la prima volta sul tappeto la questione pregiudiziale di un più stretto collegamento fra risorse agrarie e attività manufatturiere e di un miglioramento più generale delle tecniche di produzione e dei metodi di allevamento, di irrigazione e di disinfestazione sistematica delle colture. D'altra parte, dopo l'annessione del Piemonte il B. fu uno dei principali fautori non solo di un rinnovamento "alla francese" delle strutture agrarie e produttive locali, ma anche di più stretti legami economico-commerciali con i territori transalpini, partecipando fra l'altro ai lavori della Société centrale d'agricolture di Parigi e di quella del dipartimento del Rodano. È vero che le concezioni fatte valere dal B. risentivano, per tanti versi, di certe linee di orientamento tradizionali e contribuirono pure ad accantonare le aspirazioni, ancora presenti qualche anno prima in coincidenza con l'avvento della Repubblica cisalpina, verso la creazione di un mercato unico nella pianura padana con Milano, Genova e Piacenza, oltre le frontiere del Po e del Ticino. Ma è anche vero che egli non mancava di cogliere comunque alcune novità sostanziali emerse con la dominazione napoleonica, nella rottura dei vecchi diaframmi che isolavano il Piemonte dall'Europa, nella dislocazione e nel rafforzamento degli scambi entro una più vasta area di relazioni commerciali a livello continentale, ora consentiti da più intense correnti di traffico e dalla costruzione e dal riassetto dei grandi valichi alpini del Moncenisio e del Monginevro.
Il progressivo processo di vassallaggio e di subordinazione dell'economia piemontese alle esigenze dell'esercito francese e agli interessi mercantili e finanziari di Lione e di altri centri della valle del Rodano spinsero talvolta il B. a difendere i relativi margini di autonomia lasciati agli amministratori piemontesi. Ma il suo zelo attivistico e la serena fiducia nei benefici del nuovo corso e nelle funzioni progressive della cultura militante e della scienza (onde egli auspicava fra l'altro, nel 1805, lo sviluppo di opere di pubblica utilità e la creazione di ospedali statali "necessari alla classe indigente" e si impegnava egli stesso, oltre che nella direzione dell'ospedale S. Giovanni, nella commissione provinciale delle carceri e in altri enti di assistenza e amministrazione) finirono per far spesso da velo ad una più precisa consapevolezza del momento politico e della definitiva involuzione del governo francese. Membro del Consiglio generale del dipartimento del Po e titolare di varie altre cariche pubbliche, il B. continuò così ad attendere con spirito illuministico, di "ardent ami de l'humanité" (per dirla con il Bredin), all'opera di rinnovamento dell'attività scientifica, alla lotta contro le epidemie e alla creazione di nuovi istituti culturali e di ricerca. Dal 1802 era stato chiamato a far parte pure dell'Accademia delle Scienze di Torino, di cui incrementava il patrimonio bibliografico; mentre aveva ripreso la sua attività universitaria e assunto l'incarico, dal gennaio 1801, di primario dell'Ospizio di maternità di Torino.
Troppo vasta è la serie dei lavori pubblicati dal B. su singoli temi di scienza medica (importanti, fra gli altri, quelli sulla peste bubbonica orientale), di botanica, di veterinaria, di agronomia, di statistica e di polizia sanitaria per poterli elencare tutti. Ricordiamo soltanto, accanto all'edizione del 1801 del Giornale fisico-medico, bollettino del Consiglio superiore di sanità, ricco di dati e di analisi puntuali sui progressi scientifici in Italia e all'estero, alcune opere più significative: dall'Aperçu sur l'état sanitaire du Piémont (Turin 1801) ai Moyens pour defendre la santé des armées en Italie dello stesso anno, all'Istruzione dettagliata intorno alla vaccina preceduta da un discorso storico sopra la sua utilità (Torino 1804), alla dissertazione Sur l'épidémie manifestée en Piémont (ibid. 1805), all'Instruction sur les épidémies catherrales (ibid. 1806), alla traduzione dell'opera del 1796 di F. A. Gilbert della scuola veterinaria di Alfort comparsa sotto il titolo di Istruzione intorno il vaiuolo pecorino con aggiunte del B. (già presentate alla Società d'agricoltura), comparsa a Torino nel 1810. In quello stesso anno, il 22 aprile, il B. aveva ricevuto la massima onorificenza istituita dal ministero degli Interni dell'Impero per la propagazione del vaccino.
Al momento della Restaurazione si guardò, più che alla onestà politica e intellettuale del B. e alle sue generose attività scientifiche, al suo passato di "repubblicano invasato" e di "massone del '99". Rimosso dalla presidenza del protomedicato e da altri incarichi pubblici, dall'insegnamento universitario e dal suo posto di medico collegiato, il B. venne radiato pure dall'Accademia delle Scienze e privato di ogni emolumento. Non per questo egli rinunciò a praticare, gratuitamente e senza il soccorso di altri mezzi se non quelli personali, la vaccinazione nelle campagne piemontesi e a divulgare la necessità della lotta contro il vaiolo, tanto da indurre Vittorio Emanuele I ad assegnargli perciò, il 6 luglio 1819, una modesta pensione annua. Il rientro del B. nel giro degli incarichi pubblici e della cultura accademica sarà tuttavia pervicacemente osteggiato dagli ambienti politici e da non pochi suoi colleghi, mentre censure esplicite o ipocritamente dissimulate finiranno per diradare anche le sue possibilità concrete d'intervento e di pubblicazione dei propri scritti. Di fatto, dopo le Réflexions sur tous les ouvrages publiés et inédits du docteur Charles Allioni (Turin 1817) - con cui il B. ritornava ad alcuni temi di storia della botanica dei suoi primi anni di ricerca, peraltro mai del tutto abbandonati, ma che riproducevano in sostanza una comunicazione già discussa nel 1910 all'Accademia delle Scienze di Torino e in cui riferiva anche intorno alle relazioni dell'A. con Linneo - non si trova più traccia di sue opere stampate fino all'anno 1831:tranne che per una Lettre du docteur Buniva à monsieur le docteur Coindet à Genève sur l'établissement balneo-sanitaire fondé par le docteur Paganini à Oleggio dans le Novarais (Turin 1823) .L'isolamento cui era stato condannato non impedì comunque al B. di tenersi aggiornato - attraverso un attivo commercio epistolare e grazie alla sua appartenenza a numerosi consessi accademici (dalla Società fisica di Gottinga all'Institut Royal de France, che l'aveva voluto fra i suoi membri nel 1818) - dei progressi scientifici e culturali nei campi dell'agronomia, della botanica e della scienza medica. Del 1831è la sua ultima opera di rilievo, il Trattato delle varie specie di Cholera-morbus con l'addizione di alcune altre memorie sullo stesso argomento, pubblicata a Torino.
Il B., nell'intento di aprire nuovi sbocchi alla ricerca sulle cause e sulla natura, ancora oscura, del terribile morbo ricomparso in Europa attraverso un lungo itinerario dalle regioni monsoniche asiatiche, tramite lo studio di epidemie analoghe, ma assai più conosciute, intendeva far valere, partendo da un raffronto anatomico fra gli uomini ed alcune specie di Mammiferi più comuni, la necessità di studi più estesi e approfonditi di patologia comparata.
Ancora negli ultimi anni egli aveva coltivato la speranza di riprendere il suo posto all'università e di essere riammesso all'Accademia delle Scienze; ma tre sue successive suppliche (del 20 febbr. 1820, del 5 dic. 1826e del 21nov. 1829)erano rimaste senza risposta, sebbene fossero intervenuti in suo favore anche esponenti delle gerarchie ecclesiastiche e Prospero Balbo. Da qualche tempo aveva ripreso con la moglie Niccolina Dolce (vedova del chimico Frico, da lui sposata nel 1809)a prodigarsi nell'opera di proselitismo in favore della diffusione del vaccino e aveva voluto venire incontro alle istanze di Gerolamo Marzorati, direttore della Pia unione dei lavoranti dell'arte tipografica di Torino, accettando nel 1821 la consulenza medica dell'associazione e l'incarico di compilare, quattro anni dopo, alcune norme essenziali per prevenire le malattie più comuni tra gli stampatori e il miglioramento delle loro condizioni igieniche e ambientali di lavoro. Ma aveva voluto intervenire ancora nella discussione in favore della litotripsia quando simili operazioni avevano appena cominciato ad affacciarsi nella chirurgia pratica degli ospedali torinesi e interessarsi, inoltre, della situazione delle concerie, della valorizzazione delle acque minerali di San Genesio, della diffusione dei bagni pubblici e di numerosi problemi di igiene cittadina, piuttosto che - come egli scriveva il 21 nov. 1829 - "ritirarsi in solitudine georgica o occupare impieghi fuori Patria". Gli ultimi riconoscimenti della sua opera di scienziato erano venuti dall'estero: dall'Accademia dei Lincei di Roma, che l'aveva nominato suo corrispondente nel 1833 e dall'Institut historique di Parigi, che l'aveva eletto fra i suoi primi soci pochi giorni prima della morte del B. avvenuta a Piscina, presso Pinerolo, il 26 ott. 1834. 

da Cultura-Barocca

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