Michele Francesco Buniva nacque a Pinerolo, il 15 maggio 1761, dall'architetto Giuseppe Gerolamo e da Felicita Testa.
Il B. si laureò in medicina a Torino il 7 marzo 1781 e attese quindi
alla carriera universitaria sotto la guida di valenti maestri:
dall'Anforni al P. Adami, al Penchienati, al Ranzone. La capitale
subalpina stava assistendo a un vivace risveglio degli studi comparati
di anatomia, di fisiologia e di patologia, ma anche alla diffusione
(auspice il Brugnone) dei precetti della prima scuola veterinaria sorta
in Europa, a Lione nel 1761. E appunto in questa direzione si volse la
preparazione specialistica del B. con alcune ricerche sui "fenomeni
vitali" degli animali domestici, soprattutto nello stato patologico,
abbinata peraltro ad approfonditi studi di botanica. Una dissertazione
De generatione hominum,verminum et plantarum
(Torino 1788) gli valse, il 7 maggio 1788, l'aggregazione al Collegio
della facoltà di medicina di Torino. A quel tempo il B., che aveva
cominciato a lavorare come medico collegiato e a svolgere attività
scientifica in collaborazione con il Brugnone per indagini particolari
sul sangue degli animali infetti, sulla fisiologia e patologia dei
pesci, nonché sull'individuazione di alcuni insetti nocivi al bestiame
bovino, era già noto in Piemonte per aver importato dall'Inghilterra una
"macchinetta inserviente alla filatura della seta" e per il vivo
interesse con cui dal 1783 (da quando era stato nominato membro della
Società agraria di Torino) seguiva l'andamento delle principali
innovazioni nel campo della pratica agronomica.
Il 15 luglio 1789 egli veniva chiamato alla cattedra di mdicina e,
l'anno dopo, anche a quella di chimica presso l'ospedale San Giovanni di
Torino. Si era voluto così riconoscere i meriti dei suoi primi studi a
larga base sperimentale, compiuti soprattutto in Francia, i suoi
tentativi di immettere "un po' d'aria fresca" nei campi dell'arte medica
e della chirurgia. A sua volta il sovrano, nel dare il consenso al
passaggio del B. alla cattedra di medicina pratica, gli accordava, il 15
ag. 1791, una pensione annua di 150 lire. Del resto, il nome del B. era
già largamente accreditato fuori degli Stati sabaudi: membro dal 1790
della Société Royale de Medicine di Parigi, dell'Accademia dei
Georgofili e della Società agraria di Milano, annoverava al suo attivo
parecchie ricerche di medicina veterinaria, di meccanica e di agronomia
ma, soprattutto, un lavoro fondamentale, il
Nomenclator linneanus Florae Pedemontanae , edito a Torino nel 1790.
Elaborato sulla scorta degli insegnamenti dell'illustre fisico e
naturalista C. Allioni, di cui il B. era stato l'allievo prediletto, il
Nomenclator
si offrì anche come utile chiave per concordare la nomenclatura e la
posizione sistematica delle specie indicate da Linneo con quelle
indicate dall'Allioni: opera che si rendeva necessaria, oltreché per il
numero nuovo di specie trovate dallo scienziato piemontese, anche per
l'uso che questi fece di un sistema assai più semplificato rispetto a
quello lineano, divenuto a sua volta "notissimo".
Altrettanto interessanti i suoi studi in quel periodo nel campo dell'ingegneria e dell'agronomia: a cominciare da
L'arte
di fare il verderame, ossia istruzione pratica intorno la fabbricazione
di questo colore ad uso degli agricoltori piemontesi (Torino 1788),
in cui egli rilevava l'utilità di produrre l'acetato rameico in
Piemonte, sia per la presenza della materia prima in "abbondanti miniere
d'ottimo rame", sia per la vasta possibilità d'impiego del prodotto in
considerazione della larga diffusione della coltivazione della vite,
rimasta in Piemonte la più legata alle vecchie pratiche contadine.
L'interesse del B. per la diffusione delle tecniche più progredite nel
campo della produzione si rispecchia anche in relazioni molto
specialistiche, ricche di dati e di osservazioni di prima mano, intese a
promuovere opere di bonifica e di trasformazione fondiaria, o ancora di
valorizzazione della potenzialità di corsi d'acqua e di impianti di
energia motrice, come nel
Discorso sopra i mezzi co' quali i
Francesi hanno cercato di diminuire i danni prodotti dall'inazione de'
mulini ad acqua nel rigore dell'inverno del MDCCLXXXVIII-LXXXIX, scritto
nell'ottobre 1789 e dedicato al conte Prospero Balbo, allora sindaco di Torino.
Michele Francesco Buniva vi sosteneva, a conclusione di un esame minuto dei vari tipi
di mulini operanti in Europa, la necessità di procedere allo scavo di
altre rogge nelle campagne, per aumentare il numero dei mulini ad acqua
al posto di quelli a vento, ormai cadenti e non bastevoli al bisogno. Ma
tutta la relazione si raccomanda anche per la vivace descrizione delle
disastrose conseguenze economiche nelle campagne europee del terribile
inverno del 1788-89 con il loro seguito di pestilenze, di carestie e di
tensioni sociali.
Dal 1792, quando si riversarono sull'agricoltura piemontese gli
effetti rovinosi della guerra contro la Francia, il B. diede mostra di
un'instancabile attività e di un impegno solerte e fecondo. In un
periodo in cui la penuria di generi alimentari e le esigenze
dell'esercito non tardarono a far salire la domanda di grano e di altre
derrate a prezzi esorbitanti, con relativa speculazione di fornitori e
di proprietari agricoli poco scrupolosi, si oppose energicamente
all'abbattimento indiscriminato delle selve e a ogni falsificazione
delle farine e dei commestibili, sollecitando piuttosto il
prosciugamento di alcune regioni paludose del Piemonte e l'adozione di
misure appropriate contro le malattie del bestiame e il diffondersi del
contagio. Il conflitto con la Francia conclusosi nel maggio 1796
lasciava dietro di sé - osservava il B. in un opuscolo del 1797,
Istruzioni riguardanti la morva, ossia il ciamorro,e l'idrofobia
-, complice il passaggio dell'esercito austriaco, uno strascico di
infezioni e di morbi epizootici quali il Piemonte non conosceva più da
mezzo secolo. Estremamente gravi si presentavano, in particolare, i
vuoti aperti dalla epizoozia bosungarica nel patrimonio bovino, per il
cui risanamento egli dettava in quello stesso anno una Memoria intorno
alle provvidenze contro la corrente epizoozia nelle bovine con
l'aggiunta delle memorie del grande Albert Haller sul contagio del
bestiame, destinata ai "parroci, agli agronomi e ai medici" perché la
diffondessero fra i contadini "a guisa d'istruzione a vantaggio dello
Stato".
Come
appare anche da questa dedica, che risente delle aspirazioni
democratiche di istruzione pubblica, il Buniva nel frattempo si era
accostato ai gruppi giacobini piemontesi. Di fatto, dopo la rinuncia al
trono di Carlo Emanuele IV e l'insediamento nel dicembre 1798 di un
governo provvisorio repubblicano, egli, iscritto alla loggia massonica
pinerolese, diveniva uno degli esponenti politici più in vista del nuovo
regime politico. Chiamato il 18 gennaio 1799 alla cattedra di patologia
e anche all'incarico di igiene e medicina legale, istituito per la
prima volta in Piemonte, veniva nominato in quella stessa circostanza
presidente del giurì di medicina e membro del consiglio dell'Accademia
universitaria di Torino. Due mesi dopo, in seguito alla vittoriosa
offensiva delle truppe austro-russe del Suvarov, doveva tuttavia riparare
in Francia, per sfuggire alle rappresaglie del restaurato governo
sabaudo. Stabilitosi a Lione, lavorò a quella scuola veterinaria e
all'Hôtel-Dieu con il naturalista Gilbert e altri scienziati francesi,
dal Vauquelin al Bredin, prima di passare all'istituto di medicina
veterinaria di Alfort e quindi a Parigi, donde nei primi mesi del 1800,
munito delle credenziali del più famoso veterinario d'Europa, l'Huzard,
raggiunse Londra per assistere alle prime esperienze di inoculazione del vaccino scoperto da Jenner contro il vaiolo.
Ritornato in Piemonte dopo Marengo, il B. s'impegnò a debellare
definitivamente le ultime tracce dell'epizoozia nelle campagne locali e
mobilitare altre ingenti risorse nella lotta contro il flagello del
vaiolo.
Certo, la Commissione del vaccino da lui diretta
non ebbe sempre vita facile: il De Rolandis parla di "molte polemiche e
strane contrarietà" e lo stesso B. si rammaricò più volte
dell'incredulità dei "sapienti" e del misoneismo delle autorità
municipali o della popolazione contadina. Ma
già alla fine del 1807 più di centomila fra bambini e adulti erano
stati vaccinati secondo la citata tecnica di Edward Jenner e non in
base a quella, rivelatasi presto pericolosa, del medico Giovammaria
Bicetti De' Buttinoni che pure ebbe l'elogio del Parini
nell'ode del 1765
L'innesto del vaiolo
= e, grazie alla volontaria e gratuita collaborazione di medici e di
filantropi, una vasta rete di centri di controllo e di intervento era
stata messa su, oltre che a Torino (dove il primo comitato per il
vaccino era stato organizzato nel 1803 presso l'ospedale della maternità
in collegamento con un analogo comitato di Londra), anche nei
mandamenti periferici e nei circondari di Pinerolo e di Susa. Ancora nel
1808 troviamo il B. impegnato a dirigere a Pinerolo i soccorsi e i
provvedimenti necessari a dare asilo alle famiglie colpite dal terremoto
che desolò in quell'anno alcune vallate piemontesi (Terremoto di Pinerolo del 1808 - digitalizzazione integrale de
Rapport
sur le tremblement de Terre qui commencé le 2 Avril 1808 dans les
Valles de Pélis, de cluson, de Po, etc... par A. M. Vassalli - Eandi).
Diramò il B. - osserva a sua volta il Tegas - "istruzioni atte a
diminuire il novero degli individui affetti da cretinismo; perorò per
ottenere lo stabilimento di ricoveri per i dementi [...]; fece adottare
provvedimenti per porre un freno alla diffusione della sifilide; diede
consigli intorno all'igiene della famiglia [...]; propose la costruzione
di varie fontane a Torino per le acque potabili; a lui si devono i
bagni pubblici e quelli di acque minerali artificiali; le sue scrupolose
indagini dirette a conservare la salute a tutto si estesero, nulla
dimenticarono: l'aceto, la birra, i macelli, i granai, i cereali con i
loro nocivi insetti e con le loro falsificazioni e miscele; i mulini, le
farine, i forni furono oggetto dei suoi strali, le carceri, gli edifici
urbani e rurali, il ghetto e gli ospedali...". Anche lo studio dei
mezzi per rimediare ai malanni del carbonchio fra i bovini,
all'insorgere della febbre gialla, all'estendersi della pellagra
richiamarono le vigili cure del B., che dall'aprile 1801 aveva assunto
la presidenza del Consiglio superiore civile e militare di sanità
(destinato a sostituire in un unico organismo le preesistenti
magistrature sanitarie) e le funzioni di ispettore generale della salute
pubblica. Organizzò inoltre, nel 1802, un Consesso sanitario, cui
fecero capo i più noti studiosi di fisica e di medicina piemontesi,
chiamato a collaborare con il Consiglio di sanità nella discussione e
nell'elaborazione delle varie misure preventive e terapeutiche nel campo
della organizzazione medica e scientifica in Piemonte.
Il periodo che va dal giugno 1800 al settembre 1802, cioè
all'annessione ufficiale della regione alla Francia, coincise del resto
con una stagione, per quanto fragile ed effimera, di appassionato
fervore riformistico in Piemonte, sull'onda di aspirazioni e speranze,
non ancora deluse, di un nuovo ordine politico-sociale. Subito dopo
Marengo il B. era stato chiamato a presiedere anche la Società agraria
di Torino e aveva ripreso i suoi vecchi progetti di risanamento di varie
plaghe paludose e cominciato a lavorare intorno a un migliore
ordinamento delle risaie, ma anche alla salvaguardia del patrimonio
boschivo, al rinnovamento di pascoli e case coloniche,
all'ammodernamento dei sistemi di conduzione del patrimonio zootecnico.
Al B. era stata conferita del resto, il 19 dic. 1800, la direzione della
scuola veterinaria di Torino, ristabilita al Valentino, con il compito
precipuo non solo di combattere gli ultimi residui della grande
epizoozia abbattutasi in Piemonte durante la guerra delle Alpi, ma di
fare della medicina veterinaria un corpo di norme e di discipline
sistematico, elevato a dignità scientifica.
Ed è quanto egli si accinse a fare dettando nel 1802 un regolamento
degli insegnamenti e delle pratiche sperimentali, sulla scorta dei
modelli già invalsi a Lione e a Charenton, che sarebbero rimasti anche
in seguito il cardine dell'attività dell'istituto (
Lettera circolare concernente l'apertura della Scuola e del Collegio veterinario,
Torino 1802). Grazie allo sviluppo della scuola del Valentino e
all'adozione di efficaci provvedimenti profilattici e curativi sarà
possibile d'altra parte liquidare in soli tre mesi, tra l'agosto e il
settembre 1807, la ripresa delle infezioni epizootiche nelle campagne
piemontesi.
Come altri botanici del tempo, G. Passerini, C. Passerini, C.
Rondoni ecc., il B. occupandosi di agraria, finì coll'occuparsi anche di
parassitologia agraria che è essenzialmente entomologia - per cui
lasciò una serie di memorie - e principalmente "Dissertations sur les
insectes qui ravagent la récolte des blés", che sono un utile contributo
alla conoscenza di alcune specie di insetti.
Il B. si preoccupò anche di studiare e di coordinare tutte le
iniziative private intese a valorizzare la produzione agricola
piemontese con un fattivo appoggio dall'alto. Allo sviluppo della
Società agraria di Torino contribuì da posizioni di primo piano sia
durante il suo mandato annuale alla presidenza del consesso, dalluglio
1800, sia con la creazione, nel 1802, di una rete di servizi per lo
studio sistematico delle condizioni climatiche, del regime del suolo e
delle acque e della topografia medica nelle varie province piemontesi e
la fondazione (nel 1809) del primo Museo georgico; quando cioè la
Società agraria fu chiamata dalle autorità napoleoniche non solo a
risolvere la disperata situazione annonaria e altri gravi problemi
d'emergenza lasciati dalla guerra (devastazione delle campagne,
requisizione delle granaglie, fallanze nei raccolti, penuria di generi
di prima necessità, ecc.), ma a ricostruire pure le basi dell'economia
agricola locale e a ricercare, con l'inasprirsi della guerra con
l'Inghilterra e il blocco continentale, nuove fonti di rifornimento e di
sussistenza: a sperimentare la coltura del cotone (quantunque non senza
molte riserve da parte del B. e di altri agronomi piemontesi), della
colza e di altre piante succedanee, della barbabietola da zucchero,
della meliga quarantina, del grano d'Egitto, ecc., o a tentare
l'acclimatazione in Piemonte di generi coloniali, di sostanze coloranti e
di piante industriali. Problemi questi - insieme alla lavorazione dei
bozzoli, alla coltura dell'indaco, all'importazione di pecore di razza
pregiata, alla filatura della seta e alla creazione di fabbriche di
birra e di porcellana - su cui il B. interverrà puntualmente nel corso
di quegli anni con memorie, giudizi e progetti particolari. Non si
trattò, beninteso, di iniziative destinate tutte al successo: tuttavia,
insieme ad alcuni discreti risultati, fu possibile porre per la prima
volta sul tappeto la questione pregiudiziale di un più stretto
collegamento fra risorse agrarie e attività manufatturiere e di un
miglioramento più generale delle tecniche di produzione e dei metodi di
allevamento, di irrigazione e di disinfestazione sistematica delle
colture. D'altra parte, dopo l'annessione del Piemonte il B. fu uno dei
principali fautori non solo di un rinnovamento "alla francese" delle
strutture agrarie e produttive locali, ma anche di più stretti legami
economico-commerciali con i territori transalpini, partecipando fra
l'altro ai lavori della Société centrale d'agricolture di Parigi e di
quella del dipartimento del Rodano. È vero che le concezioni fatte
valere dal B. risentivano, per tanti versi, di certe linee di
orientamento tradizionali e contribuirono pure ad accantonare le
aspirazioni, ancora presenti qualche anno prima in coincidenza con
l'avvento della Repubblica cisalpina, verso la creazione di un mercato
unico nella pianura padana con Milano, Genova e Piacenza, oltre le
frontiere del Po e del Ticino. Ma è anche vero che egli non mancava di
cogliere comunque alcune novità sostanziali emerse con la dominazione
napoleonica, nella rottura dei vecchi diaframmi che isolavano il
Piemonte dall'Europa, nella dislocazione e nel rafforzamento degli
scambi entro una più vasta area di relazioni commerciali a livello
continentale, ora consentiti da più intense correnti di traffico e dalla
costruzione e dal riassetto dei grandi valichi alpini del Moncenisio e
del Monginevro.
Il progressivo processo di vassallaggio e di subordinazione
dell'economia piemontese alle esigenze dell'esercito francese e agli
interessi mercantili e finanziari di Lione e di altri centri della valle
del Rodano spinsero talvolta il B. a difendere i relativi margini di
autonomia lasciati agli amministratori piemontesi. Ma il suo zelo
attivistico e la serena fiducia nei benefici del nuovo corso e nelle
funzioni progressive della cultura militante e della scienza (onde egli
auspicava fra l'altro, nel 1805, lo sviluppo di opere di pubblica
utilità e la creazione di ospedali statali "necessari alla classe
indigente" e si impegnava egli stesso, oltre che nella direzione
dell'ospedale S. Giovanni, nella commissione provinciale delle carceri e
in altri enti di assistenza e amministrazione) finirono per far spesso
da velo ad una più precisa consapevolezza del momento politico e della
definitiva involuzione del governo francese. Membro del Consiglio
generale del dipartimento del Po e titolare di varie altre cariche
pubbliche, il B. continuò così ad attendere con spirito illuministico,
di "ardent ami de l'humanité" (per dirla con il Bredin), all'opera di
rinnovamento dell'attività scientifica, alla lotta contro le epidemie e
alla creazione di nuovi istituti culturali e di ricerca. Dal 1802 era
stato chiamato a far parte pure dell'Accademia delle Scienze di Torino,
di cui incrementava il patrimonio bibliografico; mentre aveva ripreso la
sua attività universitaria e assunto l'incarico, dal gennaio 1801, di
primario dell'Ospizio di maternità di Torino.
Troppo vasta è la serie dei lavori pubblicati dal B. su singoli temi
di scienza medica (importanti, fra gli altri, quelli sulla peste
bubbonica orientale), di botanica, di veterinaria, di agronomia, di
statistica e di polizia sanitaria per poterli elencare tutti. Ricordiamo
soltanto, accanto all'edizione del 1801 del Giornale fisico-medico,
bollettino del Consiglio superiore di sanità, ricco di dati e di analisi
puntuali sui progressi scientifici in Italia e all'estero, alcune opere
più significative: dall'
Aperçu sur l'état sanitaire du Piémont (Turin 1801) ai
Moyens pour defendre la santé des armées en Italie dello stesso anno, all'Istruzione dettagliata intorno alla vaccina preceduta da un discorso storico sopra la sua utilità (Torino 1804), alla dissertazione Sur l'épidémie manifestée en Piémont (ibid. 1805), all'Instruction sur les épidémies catherrales (ibid. 1806), alla traduzione dell'opera del 1796 di F. A. Gilbert della scuola veterinaria di Alfort comparsa sotto il titolo di
Istruzione intorno il vaiuolo pecorino con aggiunte del B.
(già presentate alla Società d'agricoltura), comparsa a Torino nel
1810. In quello stesso anno, il 22 aprile, il B. aveva ricevuto la
massima onorificenza istituita dal ministero degli Interni dell'Impero
per la propagazione del vaccino.
Al momento della Restaurazione si guardò, più che alla onestà
politica e intellettuale del B. e alle sue generose attività
scientifiche, al suo passato di "repubblicano invasato" e di "massone
del '99". Rimosso dalla presidenza del protomedicato e da altri
incarichi pubblici, dall'insegnamento universitario e dal suo posto di
medico collegiato, il B. venne radiato pure dall'Accademia delle Scienze
e privato di ogni emolumento. Non per questo egli rinunciò a praticare,
gratuitamente e senza il soccorso di altri mezzi se non quelli
personali, la vaccinazione nelle campagne piemontesi e a divulgare la
necessità della lotta contro il vaiolo, tanto da indurre Vittorio
Emanuele I ad assegnargli perciò, il 6 luglio 1819, una modesta pensione
annua. Il rientro del B. nel giro degli incarichi pubblici e della
cultura accademica sarà tuttavia pervicacemente osteggiato dagli
ambienti politici e da non pochi suoi colleghi, mentre censure esplicite
o ipocritamente dissimulate finiranno per diradare anche le sue
possibilità concrete d'intervento e di pubblicazione dei propri scritti.
Di fatto, dopo le
Réflexions sur tous les ouvrages publiés et inédits du docteur Charles Allioni
(Turin 1817) - con cui il B. ritornava ad alcuni temi di storia della
botanica dei suoi primi anni di ricerca, peraltro mai del tutto
abbandonati, ma che riproducevano in sostanza una comunicazione già
discussa nel 1910 all'Accademia delle Scienze di Torino e in cui
riferiva anche intorno alle relazioni dell'A. con Linneo - non si trova
più traccia di sue opere stampate fino all'anno 1831:tranne che per una
Lettre
du docteur Buniva à monsieur le docteur Coindet à Genève sur
l'établissement balneo-sanitaire fondé par le docteur Paganini à Oleggio
dans le Novarais (Turin 1823) .L'isolamento cui era stato
condannato non impedì comunque al B. di tenersi aggiornato - attraverso
un attivo commercio epistolare e grazie alla sua appartenenza a numerosi
consessi accademici (dalla Società fisica di Gottinga all'Institut
Royal de France, che l'aveva voluto fra i suoi membri nel 1818) - dei
progressi scientifici e culturali nei campi dell'agronomia, della
botanica e della scienza medica. Del 1831è la sua ultima opera di
rilievo, il
Trattato delle varie specie di Cholera-morbus con l'addizione di alcune altre memorie sullo stesso argomento, pubblicata a Torino.
Il
B., nell'intento di aprire nuovi sbocchi alla ricerca sulle cause e
sulla natura, ancora oscura, del terribile morbo ricomparso in Europa
attraverso un lungo itinerario dalle regioni monsoniche asiatiche,
tramite lo studio di epidemie analoghe, ma assai più conosciute,
intendeva far valere, partendo da un raffronto anatomico fra gli uomini
ed alcune specie di Mammiferi più comuni, la necessità di studi più
estesi e approfonditi di patologia comparata.
Ancora negli ultimi anni egli aveva coltivato la speranza di
riprendere il suo posto all'università e di essere riammesso
all'Accademia delle Scienze; ma tre sue successive suppliche (del 20
febbr. 1820, del 5 dic. 1826e del 21nov. 1829)erano rimaste senza
risposta, sebbene fossero intervenuti in suo favore anche esponenti
delle gerarchie ecclesiastiche e Prospero Balbo. Da qualche tempo aveva
ripreso con la moglie Niccolina Dolce (vedova del chimico Frico, da lui
sposata nel 1809)a prodigarsi nell'opera di proselitismo in favore della
diffusione del vaccino e aveva voluto venire incontro alle istanze di
Gerolamo Marzorati, direttore della Pia unione dei lavoranti dell'arte
tipografica di Torino, accettando nel 1821 la consulenza medica
dell'associazione e l'incarico di compilare, quattro anni dopo, alcune
norme essenziali per prevenire le malattie più comuni tra gli stampatori
e il miglioramento delle loro condizioni igieniche e ambientali di
lavoro. Ma aveva voluto intervenire ancora nella discussione in favore
della litotripsia quando simili operazioni avevano appena cominciato ad
affacciarsi nella chirurgia pratica degli ospedali torinesi e
interessarsi, inoltre, della situazione delle concerie, della
valorizzazione delle acque minerali di San Genesio, della diffusione dei
bagni pubblici e di numerosi problemi di igiene cittadina, piuttosto
che - come egli scriveva il 21 nov. 1829 - "ritirarsi in solitudine
georgica o occupare impieghi fuori Patria". Gli ultimi riconoscimenti
della sua opera di scienziato erano venuti dall'estero: dall'Accademia
dei Lincei di Roma, che l'aveva nominato suo corrispondente nel 1833 e
dall'Institut historique di Parigi, che l'aveva eletto fra i suoi primi
soci pochi giorni prima della morte del B. avvenuta a Piscina, presso
Pinerolo, il 26 ott. 1834.