Liborio Romano fu uno di quegli incredibili politici di metà ottocento che segnarono la difficile transizione del MERIDIONE ITALIA dal REGNO BORBONICO DELLE DUE SICILIE al moderno REGNO UNITARIO D'ITALIA (1861).
Nato a Patù (Lecce) nel 1798, studiò diritto a Napoli ottenendo presto la nomina di professore di diritto civile presso l'Università partenopea.
Ispirandosi ad idee liberali e costituzionali si impegnò a favore della rivoluzione napoletana del 1820/'21 e per tale ragione, seppur brevemente, venne privato della cattedra ed obbligato alla residenza coatta in Patù: presto comunque ottenne di potersi recare a Lecce per esercitarvi la professione di avvocato.
Nel 1826 venne colpito da un nuovo provvedimento della magistratura e fu arrestato con l'accusa di far parte della liberale associazione degli Ellenisti: dopo aver passato oltre un anno nelle patrie galere egli ottenne ancora di poter esercitare l'avvocatura (1828) anche se sotto il controllo costante delle autorità di polizia.
Fu quindi (1848) tra i firmatari della petizione inoltrata a Ferdinando II di Borbone allo scopo delle concessione di una moderna Costituzione.
In dipendenza di questa egli si presentò come candidato al parlamento napoletano per la provincia di Terra d'Otranto ma non venne eletto.
Non partecipò ai fatti del 15 maggio 1848 ma, riaffermato l'assolutismo nel REGNO DELLE DUE SICILIE, venne ancora imprigionato e quindi cacciato in esilio in terra di Francia ma con l'obbligo di non potersi recare né a Parigi né in alcuna città portuale transalpina donde potesse fuggire alla volta della patria.
Dapprima rispettò le consegne risiedendo a Montpellier ma in seguito si portò a Parigi per entrare in contatto con importanti personalità politiche come Thiers, Guizot, Thierry.
Allorché nel 1854 gli morì la madre fu autorizzato a rientrare in Napoli.
Nel 1860, all'alba dell'invasione garibaldina, il nuovo re borbonico Francesco II tentò la carta estrema di rimettere in vigore con atto sovrano del 25 giugno la Costituzione del 1848 sì da formare il ministero liberale Spinelli; nel contesto di questo disperato tentativo di salvare il trono dei Borboni di Napoli a Liborio Romano venne conferita la carica di prefetto di polizia (27 giugno).
Poco dopo Liborio Romano (15 luglio) venne chiamato a sostituire il ministro dell'interno Del Re, ma non abbandonò la direzione dei corpi di polizia e, nel disperato progetto di rinforzarne l'efficienza, fece l'ardito passo, onde controllare l'ordine pubblico, di inserire fra gli stessi corpi di polizia i capi della Camorra.
Nel generale collasso delle istituzioni Liborio Romano divenne la più autorevole personalità del decadente stato borbonico e, di fronte all'avanzata dei garibaldini, consigliò a Francesco II di abbandonare Napoli, prendendo contestualmente contatto con Cavour grazie ai servigi del barone Nisco.
Quando miseramente fallirono i progetti piemontesi di suscitare in Napoli un moto filosabaudo ed essendo ormai partito il re alla volta di Gaeta (5 settembre), Liborio Romano si trovò nell'obbligo di ricevere Garibaldi che di persona accompagnò a palazzo reale.
Resosi conto dell'autorevolezza del personaggio, Garibaldi scelse di conferirgli la nomina di presidente del consiglio e di ministro dell'interno: Liborio Romano si mostrò sempre favorevole ai principi di un'annessione incondizionata ed una volta che il Bertani, segretario generale della dittatura, con lui in contrasto, venne riconfermato, decise prontamente di dimettersi.
Fu tuttavia richiamato al governo il 17 gennaio 1861 e ricoprì le vesti di consigliere del luogotenente principe di Carignano: quindi nel corso delle elezioni dell'aprile 1861 risultò eletto deputato in ben 8 collegi meridionali.
Era però un personaggio per molti versi compromesso sia per il sostegno dato nel 1860 a Francesco II che ancor più per essersi valso come capo supremo delle forze di polizia dell'aiuto alquanto interessato della Camorra.
Si cercò quindi di farlo dichiarare inelleggibile, ma riuscì ad evitare tale infamia e scelse il collegio di Tricase, andandosi poi a sedere tra gli esponenti del centro-sinistra.
Da quel momento cercò di segnalarsi all'opinione pubblica quale strenuo difensore delle autonomie locali: però, nonostante il conquistato seggio di deputato, Liborio Romano non svolse più ruoli significativamente importanti in ambito politico nazionale, tanto che giudicò inopportuno ripresentarsi alle elezioni del 1865.
Optò per il ritorno alla terra natia, a Patù, ove si ritirò a vita privata impegnandosi nella stesura di quelle Memorie politiche che furono pubblicate dopo la sua morte (1867) a Napoli nel 1873 (per una rassegna più esauriente vedi: R. Moscati, Liborio Romano in "Rassegna Storica del Risorgimento", 1959)
Nato a Patù (Lecce) nel 1798, studiò diritto a Napoli ottenendo presto la nomina di professore di diritto civile presso l'Università partenopea.
Ispirandosi ad idee liberali e costituzionali si impegnò a favore della rivoluzione napoletana del 1820/'21 e per tale ragione, seppur brevemente, venne privato della cattedra ed obbligato alla residenza coatta in Patù: presto comunque ottenne di potersi recare a Lecce per esercitarvi la professione di avvocato.
Nel 1826 venne colpito da un nuovo provvedimento della magistratura e fu arrestato con l'accusa di far parte della liberale associazione degli Ellenisti: dopo aver passato oltre un anno nelle patrie galere egli ottenne ancora di poter esercitare l'avvocatura (1828) anche se sotto il controllo costante delle autorità di polizia.
Fu quindi (1848) tra i firmatari della petizione inoltrata a Ferdinando II di Borbone allo scopo delle concessione di una moderna Costituzione.
In dipendenza di questa egli si presentò come candidato al parlamento napoletano per la provincia di Terra d'Otranto ma non venne eletto.
Non partecipò ai fatti del 15 maggio 1848 ma, riaffermato l'assolutismo nel REGNO DELLE DUE SICILIE, venne ancora imprigionato e quindi cacciato in esilio in terra di Francia ma con l'obbligo di non potersi recare né a Parigi né in alcuna città portuale transalpina donde potesse fuggire alla volta della patria.
Dapprima rispettò le consegne risiedendo a Montpellier ma in seguito si portò a Parigi per entrare in contatto con importanti personalità politiche come Thiers, Guizot, Thierry.
Allorché nel 1854 gli morì la madre fu autorizzato a rientrare in Napoli.
Nel 1860, all'alba dell'invasione garibaldina, il nuovo re borbonico Francesco II tentò la carta estrema di rimettere in vigore con atto sovrano del 25 giugno la Costituzione del 1848 sì da formare il ministero liberale Spinelli; nel contesto di questo disperato tentativo di salvare il trono dei Borboni di Napoli a Liborio Romano venne conferita la carica di prefetto di polizia (27 giugno).
Poco dopo Liborio Romano (15 luglio) venne chiamato a sostituire il ministro dell'interno Del Re, ma non abbandonò la direzione dei corpi di polizia e, nel disperato progetto di rinforzarne l'efficienza, fece l'ardito passo, onde controllare l'ordine pubblico, di inserire fra gli stessi corpi di polizia i capi della Camorra.
Nel generale collasso delle istituzioni Liborio Romano divenne la più autorevole personalità del decadente stato borbonico e, di fronte all'avanzata dei garibaldini, consigliò a Francesco II di abbandonare Napoli, prendendo contestualmente contatto con Cavour grazie ai servigi del barone Nisco.
Quando miseramente fallirono i progetti piemontesi di suscitare in Napoli un moto filosabaudo ed essendo ormai partito il re alla volta di Gaeta (5 settembre), Liborio Romano si trovò nell'obbligo di ricevere Garibaldi che di persona accompagnò a palazzo reale.
Resosi conto dell'autorevolezza del personaggio, Garibaldi scelse di conferirgli la nomina di presidente del consiglio e di ministro dell'interno: Liborio Romano si mostrò sempre favorevole ai principi di un'annessione incondizionata ed una volta che il Bertani, segretario generale della dittatura, con lui in contrasto, venne riconfermato, decise prontamente di dimettersi.
Fu tuttavia richiamato al governo il 17 gennaio 1861 e ricoprì le vesti di consigliere del luogotenente principe di Carignano: quindi nel corso delle elezioni dell'aprile 1861 risultò eletto deputato in ben 8 collegi meridionali.
Era però un personaggio per molti versi compromesso sia per il sostegno dato nel 1860 a Francesco II che ancor più per essersi valso come capo supremo delle forze di polizia dell'aiuto alquanto interessato della Camorra.
Si cercò quindi di farlo dichiarare inelleggibile, ma riuscì ad evitare tale infamia e scelse il collegio di Tricase, andandosi poi a sedere tra gli esponenti del centro-sinistra.
Da quel momento cercò di segnalarsi all'opinione pubblica quale strenuo difensore delle autonomie locali: però, nonostante il conquistato seggio di deputato, Liborio Romano non svolse più ruoli significativamente importanti in ambito politico nazionale, tanto che giudicò inopportuno ripresentarsi alle elezioni del 1865.
Optò per il ritorno alla terra natia, a Patù, ove si ritirò a vita privata impegnandosi nella stesura di quelle Memorie politiche che furono pubblicate dopo la sua morte (1867) a Napoli nel 1873 (per una rassegna più esauriente vedi: R. Moscati, Liborio Romano in "Rassegna Storica del Risorgimento", 1959)
da Cultura-Barocca