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mercoledì 28 marzo 2018

L'odometro

  Incisione di un ODOMETRO TERRESTRE dall'opera "Di Lucio Vitruuio Pollione De architectura libri dece traducti de latino in vulgare affigurati: commentati: & con mirando ordine insigniti: per il quale facilmente potrai trouare la multitudine de li abstrusi & reconditi vocabuli a li soi loci & in epsa tabula con summo studio expositi & enucleati ad immensa utilitate de ciascuno studioso & beniuolo di epsa opera", Como : Gottardo da Ponte, Impressa nel amoena ... citate de Como : per magistro Gotardo da Ponte citadino milanese, 1521. 15. mensis Iulii: si tratta della prima ed. in italiano, tradotta da Cesare Cesariano, come si evince da c. A1r. 

L'incisione rappresenta un ODOMETRO TERRESTRE utilizzato dai Romani per misurare le distanze stradali: Vitruvio descrive però anche l'ODOMETRO NAVALE grossomodo simile apportate modifiche opportune. 

L'ODOMETRO (dal greco hodós, strada, e métron, misura) è una macchina ideata nell'antica Roma, per misurare la distanza percorsa su una via terrestre mediante i giri di una ruota (misuratore stradale), oppure la distanza percorsa da una imbarcazione in mare (odometro navale) = vedi qui in testo latino e traduzione Vitruvio, De Architectura, libro X, cap. IX. I Romani utilizzarono l'odometro per posizionare le PIETRE MILIARI (SPESSO POI RIUTILIZZATE IN ANTICHE CHIESE CRISTIANE) su quel loro gigantesco COMPLESSO STRADALE ove assunse presto un ruolo importante anche la via IULIA AUGUSTA il che avrebbe permesso anche una programmazione delle operazioni e delle spese belliche. Sulla via Appia si possono ancora ritrovare parecchi di questi riferimenti. 

La complessità del meccanismo inizialmente non sembrava compatibile alla tecnica dell'epoca, ma dopo la scoperta e lo studio della macchina di Anticitera (un complesso planetario funzionante con alcune decine di ruote dentate) sembra confermato che i Greci e altri scienziati del tempo fossero in grado di progettare e costruire questi congegni, che altro non erano che sofisticati "calcolatori" dedicati a particolari scopi) =recentemente ne son stati ricostruiti vari tipi non necessariamente disposti su una carrozza come qui ma da trainare a forza manuale = essendo facilmente visibili in rete e risultando opere di professionisti operanti nell'oggi per il riguardo dovuto si rimanda alla consultazione in rete delle loro ricostruzioni. (l'ODOMETRO fu anche ricostruito da Leonardo da Vinci e riprodotto nel Codice Atlantico in diverse versioni comprese quelle manuali: verosimilmente in uso presso i Romani per il calcolo dei tratti meno agevoli come alcuni per esempio nella IULIA AUGUSTA).

[TRADUZIONE DAL DE ARCHITECTURA DI VITRUVIO = IX. L' ODOMETRO. Meditiamo adesso sopra un altro apparecchio che prescindendo dal fatto d'esser molto giovevole comprova le notevoli qualità d'ingengno dei nostri antenati. Ha questo la proprietà di misurare in miglia le distanze che si son percorse sia seervendosi di carrozze per viaggiare quanto di navi. Ecco in qual cosa consiste. Ognuna delle ruote della carrozza bisogna che misurino 4 piedi di diametro [quindi divise in sestanti] di manier che, segnalando per via di un contrassegno il punto donde iniziano a girare procedendo sul fondo stradale, una volta che abbiano completato un giro, risulti esser stata percorso con precisione lo spazio di dodici piedi e mezzo. 2. Dopo questa basilare precauzione è necessario sistemare al'interno del della ruota un tamburo che abbia un solo dente il quale però fuoriesca dalla sua superficie circolare. Di sopra, entro la cassa della carrozza, si deve ben posizionare una scatola dotata di un tamburo mobile sistemato a coltello e fissato su di un asse. E' necessario che questo abbia dei denti distributi in maniera regolare ed in numero di quattrocento in grado di ingranare con quelli del tamburo sottostante. Poi nel tamburo superiore è da sistemarsi un altro dente che sporga lateralmente in modo superiore agli altri. 3. E quindi sopra sopra ancora dovrà trovarsi un' ulteriore scatola fornita di un terzo tamburo del pari dentato ma dislocato in linea orizzontale orizzontale destinato ad ingranare col dente fissato sul lato del secondo . In questo terzo tamburo dovranno esser fatti tanti fori per quante miglia si ritengano percorribili in un giorno. L'approssimatività del calcolo risulta un fatto di rilevanza secondaria. Entro ogni foro va poi sistemato un sassolino rotondo e nella scatola che contiene questo tamburo si deve aprire un forame con un piccolo condotto per cui i sassolini introdotti nei fori del tamburo cadranno uno per uno in successione all'interno di un contenitore di bronzo posto a basso entro la cassa del carro. 4 . La ruota, nel suo spostamento, farà ruotare il tamburo inferioreche a sua volta ad ogni giro di ruota trasmetterà in forza del lavoro del suo dente il moto ai denti superiori de tamburo, con la conseguenza che una volta che il primo tamburo abbia compiuto quattrocento giri il secondo ne avrà concluso soltanto uno e il dente sporgente, posto sul suo lato, avrà fatto avanzare un solo dente del terzo tamburo disposto in modo orizzontale. Ne deriverà che se a quattrocento giri del tamburo inferiore ne corrisponde uno solo completo di quello superiore la distanza coperta risulterà di cinquemila piedi vale a dire di mille passi. Di conseguenza ogni sasso che andrà a cadere nel contenitore segnalerà tramite il rumore generato dalla sua caduta ogni miglio che sarà stato percorso. E il numero globale dei sassolini che saranno poi raccolti mostrerà quante miglia saranno state percorse in una giornata. Un sistema pressoché identico, pur con qualche lieve e necessaria modifica, è utilizzabile anche in occasione di qualche navigazione. In tal caso si fa passare attraverso le fiancate della nave un asse le cui estremità sporgano quanto sia la bisogna ed in fuori alle quali dovranno risultare incastrate delle ruote di quattro piedi e mezzo di diametro sulla cui superficie esterna siano inchiodate delle pale che sfiorino l'acqua. La parte mediana dell'asse, al centro della nave, (è provvista) di un tamburo a sua volta fornito di un dente che sporge dalla sua circonferenza esterna. Vi si porrà accanto una scatola con un secondo tamburo di quattrocento denti uguali che andranno ad ingranare sul dente del tamburo montato sull'asse. Questo secondo tamburo sarà poi dotato di un altro dente che sporgerà lateralmente più di tutti gli altri. 6. Più su, dentro una seconda scatola, sarà fissato quindi un terzo tamburo disposto in orizzontale con denti uguali che ingranerannono con quelli laterali del tamburo inferiore sistemato a coltello: con questo espediente si farà compiere al tamburo orizzontale una rotazione completa, spostando per ogni giro i suoi denti uno a uno. Sarà necessario poi che il tamburo orizzontale abbia parimenti dei fori ove sistemare dei sassolini rotondi mentre nella scatola che lo contiene andrà fatto un foro per creare quel necessario condotto attraverso cui un sassolino che trovi il percorso privo di intoppi cada generando un certo rumore all'interno di un contenitore di bronzo. 7. Allorché la nave si muoverà per forza dai remi o del vento, le pale applicate alle ruote sfiorando l'acqua riceveranno una adeguata spinta, che le farà girare all'indietro: contestualmente pure l'asse inizierà la propria rotazione e con esso il tamburo il cui dente sposterà a ogni giro uno dei denti del secondo tamburo, fino a fargli completare un intiero giro. Ed una volta che le ruote a pale avranno fatti quattrocento giri il tamburo ne avrà terminato uno solo completo di maniera che il suo dente laterale avrà cagionato lo spostamento di un solo dente del terzo tamburo orizzontale. Via via che, in virtù della rotazione di quest'ultimo tamburo, i sassolini che si troveranno in corrispondenza del foro cadranno attraverso il condotto e il rumore da essi prodotto e il loro numero segnaleranno le miglia percorse. Ho ora così terminato di illustrare le tecniche di quelle macchine che trovano un uso giovevole e nemmenoprivo di un certo trastullo nei periodo di pace e di tranquillità].

da Cultura-Barocca

martedì 20 marzo 2018

Dei delitti e delle pene

Frontespizio dall'edizione del 1780. La copia nella fotografia era proprietà di John Adams, futuro Presidente degli Stati Uniti, di cui si legge il nome scritto a mano, con la data del 1780. - Fonte: Wikipedia
Cesare Beccaria è l'autore del Dei delitti e delle pene opera che costituisce il testo più noto dell' intero illuminismo italiano; ed é anche il più importante , se si considera la sua fortuna in Europa e la sua influenza sui pensatori successivi. In esso convergono alcune delle idee sociali più significative della nuova cultura che andava affermandosi , espresse in uno stile raffinato e limpido al tempo stesso , un modello di esposizione per i nuovi filosofi. 

Interessante é il fatto che quando venne pubblicata l' opera, l'autore aveva appena 25 anni e che quel successo restò l' unico nella sua lunga carriera di scrittore e filosofo : tutti gli altri suoi scritti sono pressapoco sconosciuti. 

Cesare Beccaria nacque a Milano nel 1738 da una famiglia ricca e nobile e a vent' anni si laureò in Legge presso l' Università di Pavia. Le nozze del 1761 con Teresa Blasco , di condizioni umili , portarono alla rottura con la famiglia e fu solo grazie all' intervento di Pietro Verri , al quale intanto Beccaria si era avvicinato , che potè in seguito avvenire la riconciliazione. Il carattere riservato e riluttante di Cesare Beccaria , tanto nelle vicende private quanto nelle pubbliche , ebbe nei fratelli Verri , e soprattutto in Pietro , un fondamentale punto d' appoggio e di stimolo . Alle frequentazioni con Pietro , non a caso , é ispirata la prima opera edita da Beccaria , il trattato Del disordine e de' rimedi delle monete nello stato di Milano nel 1672 , uscito a Lucca nel 1762 appunto . Con questo scritto Beccaria prendeva una netta posizione in una delicatissima questione finanziaria , entrando così in polemica con i conservatori. Nello stesso anno , poi , gli nacque la figlia Giulia , la futura madre di Alessandro Manzoni. Isolate e sporadiche furono le collaborazioni di Beccaria alla rinomata rivista " Il Caffè " , ma tutte di altissimo valore teorico. 

L'adesione alle idee degli illuministi francesi, da Montesquieu a Diderot a Rousseau, e la collaborazione intensa con Pietro Verri dovevano dare i loro frutti e li diedero con la pubblicazione del capolavoro di Beccaria, Dei delitti e delle pene

Lo scritto venne dato alla stampa nel 1764 a Livorno , presso lo stesso editore che pochi anni dopo avrebbe pubblicato la prima edizione italiana dell' Enciclopedia di Diderot e D'Alembert. Beccaria preferì far comparire come anonimo l'opuscolo, temendo ripicche personali e ritorsioni e , infatti , parecchie furono le reazioni di condanna , soprattutto da parte della Chiesa cattolica , che nel 1766 inserì l' opera nell' Indice dei libri proibiti, senza però arrivare a bruciarla pubblicamente , come invece era stato fatto per l' Uomo macchina di La Mettrie . Tuttavia Beccaria ottenne anche molti pareri favorevoli : in Italia il libro fu strenuamente difeso dai fratelli Verri sul " Caffè " e in Francia i philosophes più prestigiosi lo tradussero e salutarono come un vero e proprio capolavoro , in primis . Questo gli fruttò l' invito ad andare a Parigi, dove arrivò in compagnia di Alessandro Verri nell' ottobre del 1766 . Ma il suo carattere schivo e riservato gli rese sgradevole l' accoglienza festosa dell' ambiente parigino , mentre la nostalgia dell' amata Milano e della famiglia lo inducevano ad un rapido rientro in patria , interpretato un pò da tutti come una sorta di fuga inspiegabile. Questo fece vacillare i suoi rapporti con i fratelli Verri , che gli rinfacciarono l' indolenza e il carattere provinciale : finiva così la fruttuosa collaborazione col gruppo degli illuministi lombardi . Dal 1769 Beccaria occupò per due anni la cattedra di Economia civile presso le Scuole Palatine di Milano ( e , una volta morto , verranno pubblicati gli Elementi di economia pubblica). 

Dal 1771 fino alla morte ( avvenuta il 28 novembre 1794 ) si dedicò alla carriera amministrativa , dando il suo apporto alla politica riformista della monarchia asburgica che regnava su Milano. Nel 1770 intanto aveva pubblicato le Ricerche intorno alla natura dello stile , in cui riprendeva le riflessioni comparse sulla rivista " Il Caffè " : il pensiero sensista é applicato a meglio comprendere i meccanismi tramite i quali si svolge la comunicazione umana , e in particolare quella letteraria . Beccaria in ambito letterario si schiera in favore di una letteratura rinnovata nello stile , fedele al bisogno di esprimere concetti concreti ( cose ) secondo procedimenti razionali. Anche Cesare Beccaria, come Pietro Verri , concepiva la cultura in termini utilitaristici , ossia quale strumento di intervento concreto sulla realtà con il fine di migliorare le condizioni materiali di vita degli uomini : e qui emerge tutto il suo spirito illunministico , il quale a sua volta mutua la concezione utilitaristica da Francesco e dal suo " sapere per potere " . Il tema di Dei delitti e delle pene , propostogli da Pietro Verri , ben si apprestava ad affrontare da un punto di vista specifico e circoscritto la questione della giustizia , e dunque della politica e della società , e infine del rapporto tra società e benessere . Per questa ragione , attaccando apertamente il comportamento dei vari stati intorno alla questione della giustizia , Beccaria metteva in discussione l' intero assetto del quale quel comportamento era espressione , finendo con l' adombrare , nelle proposte di un rinnovamento giudiziario , una società fondata su valori interamente alternativi .

DEI DELITTI E DELLE PENE
Dei Delitti e delle Pene é diviso in 42 brevi capitoli , ognuno dei quali tratta un aspetto specifico della questione dibattuta . Lo scopo dell' opera nel suo insieme é di dimostrare l' assurdità e l' infondatezza del sistema giuridico vigente . Beccaria non esita a farlo passare come un sistema puramente repressivo e rappresentato nei suoi ingiustificati rituali di violenza . Invece di essere al servizio della giustizia , il sistema giudiziario si rivela finalizzato ad un mostruoso meccanismo di potere e di soprusi , dietro il quale si profila l' ingiustizia che caratterizza l' intera società che lo esprime . Non il benessere , ma la sofferenza della maggior parte dei cittadini é infine il risultato di una struttura così irrazionale . In particolare Beccaria tuona contro la pena di morte , vertice di inciviltà gestito dallo stato , e contro le pratiche di tortura , inutili e anzi spesso fuorvianti rispetto alla verità e comunque a loro volta barbare . Gli argomenti addotti da Beccaria sono grosso modo gli stessi , davvero difficili da confutare , che ancora oggi vengono ripetuti contro la prosecuzione di pene capitali e di torture : la tortura é quell' orrenda pratica con la quale si sottopone il presunto colpevole a parlare ; ma se il compito della giustizia é di punire chi commette ingiustizia , la tortura fa l' esatto opposto perchè colpisce tanto i criminali quanto gli innocenti , cercando di costringerli con la forza ad ammettere atti da loro non compiuti ; e poi sotto tortura anche un innocente finirà per confessare reati che non ha commesso pur di porre fine al supplizio . La tortura poi é ingiustificata perchè si applica ancor prima della condanna : Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice . E, paradossalmente, con la tortura l'innocente é posto in peggiore condizione che il reo: infatti l'innocente se viene assolto dopo la tortura ha subito ingiustizia, ma il reo ci ha solo guadagnato, perchè é stato torturato ma , non avendo confessato, é risultato innocente e si é salvato dal carcere! Dunque l'innocente non può che perdere e il colpevole può guadagnare, nel caso in cui venga assolto. Ancora più complessa é la questione della pena di morte , ossia della vendetta istituzionalizzata : Beccaria riconosce la validità della pena di morte in Stati particolarmente deboli in cui i criminali fanno ciò che vogliono . Però nel 1700 , con il progressivo rafforzarsi degli Stati tramite l' assolutismo illuminato , la pena di morte diventa assolutamente inutile : se lo Stato é forte , allora punirà senz' altro il criminale , il quale , sapendo che agendo in quel modo verrà punito , non infrangerà la legge : egli non la infrangerà anche in assenza della pena di morte ; secondo Beccaria occorrono pene miti , ma che vengano sempre applicate : se la pena é minima , ma il criminale sa che dovrà scontarla e non potrà farla franca , allora non infrangerà la legge : la pena di morte diventa quindi assurda e inutile proprio perchè lo Stato é forte , capace di punire i criminali . L' importante é che le pene vengano sempre apllicate , altrimenti il cittadino corretto e rispettoso della legge , vedendo che i trasgressori la fanno franca e non vengono puniti dalla legge , comincerà ad odiare la legge stessa e a trasgredirla anch' egli , proprio perchè si sentirà preso in giro dallo Stato che vara leggi e poi non le fa applicare . A sostegno della sua battaglia contro la pena di morte , Beccaria porta un altro argomento : la pena , per definizione , ha due funzioni : 1 ) correggere il criminale per riportarlo sulla retta via ; 2 ) garantire alla società la sicurezza , già a suo tempo propugnata da Hobbes . Ma la pena di morte ( pur rendendo più sicura la società ) , evidentemente , non può certo correggere il criminale , in quanto lo fa fuori : la risoluzione del tutto sta , per riagganciarci a quanto detto , nello Stato forte e autoritario che impone pene miti , ma garantisce la loro applicazione ; allo stesso anche l' ergastolo non corregge il criminale ed é , a mio avviso , ancor peggio della pena di morte , la quale si pone come obiettivo il liberare la società di un delinquente ; l' ergastolo , invece , si pone come obiettivo esplicito il correggere il criminale : ma a che serve tenerlo tutta la vita in carcere ? Che correzione può avere ? Va senz' altro notato come la pena di morte , che era sempre stata una sorta di spettacolo per il popolo che si riuniva nelle piazze per assistere ai pubblici squartamenti , nel 1700 cominci a risultare odiosa al popolo : é il sentimento decantato da Rousseau che entra in gioco . Tuttavia la critica di Beccaria mossa al sistema giudiziario é intrecciata con quella mossa alla Chiesa : se é vietato il suicidio , come può essere legittimata l' omicidio tramite la pena di morte ? Questa inutile prodigalità di supplicii, che non ha mai resi migliori gli uomini, mi ha spinto ad esaminare se la morte sia veramente utile e giusta in un governo bene organizzato. Qual può essere il diritto che si attribuiscono gli uomini di trucidare i loro simili? Non certamente quello da cui risulta la sovranità e le leggi. Esse non sono che una somma di minime porzioni della privata libertà di ciascuno; esse rappresentano la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari. Chi è mai colui che abbia voluto lasciare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo? Come mai nel minimo sacrificio della libertà di ciascuno vi può essere quello del massimo tra tutti i beni, la vita? E se ciò fu fatto, come si accorda un tal principio coll'altro, che l'uomo non è padrone di uccidersi, e doveva esserlo se ha potuto dare altrui questo diritto o alla società intera? . Così inizia la critica sistematica di Beccaria contro la pena di morte ; non é in assoluto nella storia la prima volta che si muove una critica alla pena di morte , ma é la prima volta che contro di essa vengono mosse obiezioni radicali e sistematiche . Questa critica alla pena di morte indica una svolta nel senso comune , svolta che ebbe anche innegabili effetti pratici : per esempio nel 1786 Pietro Leopoldo aboliva in Toscana la pena di morte . La prima argomentazione contro la pena di morte é che essa non é legittima. La tesi a sua volta si divide in due punti: in primo luogo, essa offende il diritto che nasce dal contratto sociale , stipulato per garantire la sicurezza degli individui contraenti, non per deprivarli della vita. In secondo luogo, la pena di morte é contraria al diritto naturale secondo il quale l'uomo non ha la facoltà di uccidere se stesso e non può quindi conferirla ad altri. Dopo aver dimostrato che la pena di morte non é legittima, ossia che non é un diritto, Beccaria passa alla seconda argomentazione, per cui essa non é necessaria: anche questa si articola su due livelli: in primis, si dimostra che la pena di morte non é necessaria laddove regnino ordine politico e sicurezza civile; in secondo luogo si dimostra che essa non esercita una sufficiente funzione di deterrenza relativamente a furti e a delitti. La dimostrazione di questa tesi é empirica: le impressioni più profonde non sono quelle intense ma brevi (la pena di morte) , bensì quelle più deboli ma di lunga durata (il carcere). Beccaria critica anche la religione accusandola di agevolare il delinquente nelle sue ree intenzioni, confortandolo con l'idea che un facile quanto tardivo pentimento gli assicuri comunque la salvezza eterna. Ma se la pena di morte non é un diritto e non é un deterrente, essa é anche inutile: lo Stato, infliggendo la pena di morte, dà un cattivo esempio perché infatti da un lato condanna l'omicidio e dall'altro lo commette, ora in pace ora in guerra. Ma Dei delitti e delle pene non si limita a criticare lo stato di cose presente , benché questo aspetto risulti decisivo in prospettiva storica ; in effetti Beccaria non manca di avanzare la proposta di una nuova dimensione giudiziaria , secondo la quale lo Stato non ha il diritto di punire quei delitti per evitare i quali non ha fatto nulla : la vera giustizia consiste nell' impedire i delitti e non nell' infliggere la morte . In tal modo viene posto il problema della responsabilità sociale dei delitti commessi , introducendo una concezione del tutto nuova della giustizia e dei doveri dello Stato , nonchè dei rapporti tra società e singolo . Beccaria propone inoltre delle punizioni che non siano vendette , ma risarcimenti , tanto del singolo verso la collettività quanto di questa verso il criminale : le pene devono pertanto , come dicevamo , essere socialmente utili e " dolci " , volte al recupero e non alla repressione . Un altro elemento decisivo dell' opera é la distinzione tra reato e peccato . Il reato risponde ad un sistema di leggi liberamente concordato tra gli uomini : innegabile é l' influenza su Beccaria di Rousseau e delle sua concezione della società come contratto ; dunque il reato deve essere definito in un' ottica laica e terrena , storica e immanente . In questo modo viene rifiutata l' identificazione tradizionale tra diritto divino e diritto naturale , di cui i sistemi legislativi sarebbero l' espressione diretta . Viene , anzi , smascherato l' interesse di potere che si nasconde dietro a una tale concezione . Questa laicizzazione della giustizia é anche la più forte ragione del rifiuto della pena di morte : era infatti proprio arrogandosi il diritto di esprimere insieme la legge umana e la legge divina che gli Stati potevano condannare a morte un presunto colpevole , quasi come se fosse Dio stesso a punirlo. Certo Beccaria ha piena coscienza della difficoltà che ha il popolo di comprendere le leggi, tanto più che ciascun uomo ha il suo punto di vista, ciascun uomo in differenti tempi ne ha un diverso , ed é per questo che condanna l'oscurità delle leggi, scritte in una lingua straniera al popolo , convinto che se tutti potessero intenderne il significato il numero dei delitti e dei reati diminuirebbe notevolmente. Le leggi devono essere accessibili a tutti, tutti hanno il diritto di conoscerle e , di conseguenza , di rispettarle; ma Beccaria sa bene che ai suoi tempi le cose non vanno così e che in realtà la maggior parte delle leggi non sono che privilegi, cioè un tributo di tutti al comodo di alcuni pochi. Egli é altresì convinto che il fine delle pene non é di tormentare ed affliggere un essere sensibile, né di disfare un delitto già commesso, bensì il fine dunque non é altro che d'impedire il reo dal far nuovi danni ai suoi cittadini. E Beccaria non esita a tuonare contro le accuse segrete che portano gli uomini a mascherare i propri sentimenti e ad errare smarriti e fluttuanti nel vasto mare delle opinioni: bisogna dare al calunniatore la pena che toccherebbe all'accusato! Con le accuse segrete, infatti, basta avere in antipatia una persona, magari la più onesta che ci sia, per farla andare in carcere con false accuse infondate. Assurdo per Beccaria é anche il giuramento, proprio perchè non ha mai fatto dire la verità ad alcun reo e poi mette l'uomo nella terribile contradizione, o di mancare a Dio, o di concorrere alla propria rovina. Il giuramento é inutile, perché non avvengano delitti basta solo che il delinquente colleghi automaticamente l'idea di delitto a quella di pena : compiuto il delitto egli otterrà inevitabilmente una pena; ed é proprio per questo che occorre la prontezza della medesima, perché il lungo ritardo non produce altro effetto che di sempre più disgiungere queste due idee: il criminale, compiendo un delitto e non vedendosi punito, finirà per non associare più il delitto alla pena. Fatto sta che la pena deve sempre e comunque essere dolce, ma in ogni caso va applicata proprio perché la certezza di un castigo, benché moderato, farà sempre una maggiore impressione che non il timore di un altro più terribile, unito colla speranza dell'impunità.

da Cultura-Barocca

Il Calepino

Nel 1502, dall'officina reggiana di Dionigi Bertocchi usciva a stampa la prima edizione di un'opera destinata a grande successo e realizzata da un bravo monaco, votatosi al Signore, ma pure ad assemblare i tesori della nostra lingua madre.
Questo frate umanista era un figlio naturale (ma legittimato) di tale Trussardo dei conti di Calepio, nel bergamasco, ed era nato al mondo probabilmente nel 1440 come Jacopo, poi entrato col nome di Ambrogio tra gli eremitani agostiniani nel 1458.

L'opera - uscita dai torchi con il titolo: Ambrosii Calepini bergomatis Dictionarium ... , industria presbyteri Dionisii Bertochi impressoris in folio e senza numerazione delle pagine era il primo "calepino", cioè quel dizionario - un po' lessico. un po' enciclopedia antiquaria, con abbondanti digressioni erudite - più volte ristampato, ampliato e divenuto celebre, sia vivente l'autore, sia, soprattutto, dopo la sua morte (quasi certamente nel gennaio 1510).
Senza saperlo però il Calepino non diede il suo nome solo a quello che resta un best seller del XVI secolo e la pietra miliare di un monumento conclusosi solo - nei continui rifacimenti - a Settecento inoltrato.
L'opera infatti conseguì una tale fortuna da passare a designare per antonomasia lessici, dizionari, repertori.
Sino ai giorni nostri.
Quali fosse poi l'asse vincente di questo dizionario lo spiegano gli specialisti: sottolineando che il lavoro di fra' Ambrogio rispettò la tradizione ma l'aggiornò con le acquisizioni più recenti non ancora valorizzate dalla nuova stagione umanistica.
Trascorsi il noviziato a Milano e alcuni anni tra Mantova, Cremona, Brescia, dopo l'ordinazione sacerdotale (a Cremona nel 1466) Ambrogio tornò a Bergamo.
E proprio qui, nel convento di Sant'Agostino, per lunghi anni lavorò alla composizione del Dictionarium: quasi sino a perdere la vista.
Secondo documenti d'archivio rintracciati da Angelo Mazzi e ricostruzioni successive di Antonio Tiraboschi, il contratto per la prima edizione ebbe luogo il 5 giugno 1498 nello stesso convento.
A quel periodo, stando a cronache antiche, frate Ambrogio lavorava alla sua impresa da oltre dieci anni, come conferma la data del 1487, anno d'un primo abbozzo autografo del futuro dizionario.
Almeno nove le edizioni apparse fra il 1502 e il 1509, quindici quelle tra il 1509 e il 1520 (anche in centri come Parigi, Strasburgo, Basilea ...).
E se fra' Ambrogio, non contento della prima edizione, subito vi mise mano per renderla migliore, dopo la sua morte, i confratelli di Sant'Agostino (dove giaceva il manoscritto con le correzioni) affidarono una nuova stampa a tale Bernardino Benaglio, che aveva torchi a Venezia.
La seconda redazione dell'opera - prima di molte postume - uscì così il l0 marzo 1520.
Nel frattempo comunque la fortuna editoriale del Dizionario aveva già varcato le frontiere imponendosi come utile strumento enciclopedico fra retori e grammatici, teologi e filosofi.
Il latinista padovano Jacopo Facciolati, due secoli e mezzo fa, diede all'abbozzo originario monolingue di fra' Ambrogio la forma definitiva: elencando, accanto a ogni parola latina, le relative citazioni dei classici, la sua traduzione in italiano, ebraico, greco, tedesco, francese, spagnolo.

da Cultura-Barocca

martedì 13 marzo 2018

Il mostro del Reno

 L'iconografia lasciva della strega non è da sottovalutare nel contesto della pubblicistica cattolica antiriformista. Vuole rappresentare il simbolo di tutte quelle streghe che in origine erano meretrici poi convertitesi all'eresia per la presunta immoralità dei Riformati sì da esserne accettate e da malefiche (vedi indice e classificazione delle streghe) evolutesi quindi sotto forma di "streghe eretiche" o "streghe supreme". Sì da avvalersi per la corruzione dei cattolici di immagini pornografiche - spesso riesumate anche da scoperte archeologiche prossime a quelle del collezionismo antiquario - che rimanderebbero alla lascivia - comportamentale ma anche espressa sotto forma di immagini erotiche - del mondo pagano potendo esser usate anche per malefici, specie malefici amorosi in grado di indurre uomini o donne, a prescindere dal Sabba, ad avere congiungimenti carnali con Demoni Incubi e/o Demoni Succubi in grado di impossersi delle loro anime oltre che dei corpi e di trascinarli all'adesione all'Eresia. 

Siffatta pubblicistica era strutturata sull'abilità predicatoria e sfruttava senza dubbio l'ignoranza delle plebi (ma non solo) per cui in l'abolizione del "celibato ecclesiastico" ambito riformato risultava una lascivia estrema ed una contraddizione assoluta coi dettami evangelici e biblici anziché, su postazioni teologiche, un tentativo magari rivoluzionario di risoluzione di problemi vari legati alla corruzione della Chiesa Romana come Lutero aveva esperimentato = ma è indubbio che nell'opinione collettiva cattolica prendesse corpo, orchestrata da bravi predicatori, l'assurdità e l'immoralità di religiosi e religiose sposati

Tutto però si basava sullo scontro interessato tra fazioni opposte che reciprocamente si accusavano di "corruzione ed immoralità": l'intransigenza morale dei Riformati è troppo nota per comportare qui ulteriori discussioni: basta solo dire che - benché maggiormente frammentate le Confessioni Riformate (qui le diverse correnti teologiche) - quanto mai severamente pure esse praticavano la persecuzione avverso le streghe come qui si vede.

Ottavio Tronsarelli scrisse questa favola in versi intitolata il Mostro del Reno (Roma, per il Corbelletti, 1626) che qualche consonanza con il Drago della Giovannea Apocalisse pure ha: esso rappresenta però l'Eresia o meglio l'Unione Evangelica che nella II fase della "Guerra dei Trent'anni" sembrava -senza esserlo- piegata dalla Lega Cattolica che dovette piegarsi alla Pace di Westfalia nel 1648. La diabolica Mirne lo avrebbe evocato -simbolo dell'eresia luterana cui avevano aderito i nemici dell'Imperatore- per devastare i campi Germani per la pace felicissimi.
La diabolica creatura è però affrontata con indomito coraggio, nonostante la presenza dei resti umani al centro della stampa vittime del mostro diabolico: la strega, scalza e con le poppe scoperte ulteriore indizio della sua lascivia consorella dell'impudicizia dei Riformati, altro non sa fare di rimpetto alla coraggiosa reazione di Erinto che maledire fuggendo mentre le nubi che s'addensano paiono un'altra testimonianza delle sue malie e precisamente della " magia tempestaria " che ha scatenato ma che non ferma Erinto.

G. D. Ottonelli nel suo volume Alcuni buoni avvisi e casi di coscienza intorno alla pericolosa conversatione da proporsi a chi conversa poco onestamente (Firenze, Luca Franceschinie Alessandro Logi, 1646) scrisse questa sarcina narrativa in merito al'esercizio di Meretricio e/o Prostituzione (vedi qui tutta la documentazione repertatata e digitalizzata) nel '600 su cui vale davvero la pena di meditare ulteriormente e con vari testi giuridici d'epoca alla mano per altri non del pari noti ma senza dubbio non meno gravi e pericolosi aspetti connessi a tale professione = " Io avviso che dalla Dishonestà facilmente si passa alla Stregheria: perché pare che tra loro corra una certa parentela...E quindi avviene che molte Meretrici, dopo haver qualche tempo esercitato quell'Arte dishonesta, si danno preda al Diavolo, il quale si compiace enormemente dell'oscenità umana...[e del resto quale oscenità può giungere al livello del congiungimento bestiale proprio delle Streghe al Sabba capaci ci congiungersi al Demonio, nel contesto della Messa Nera, apparso sotto forma di Caprone]...Così noi possiamo dire che molte Meretrici si riducono ad essere grandissimamente immerse nel diabolico eccesso delle Stregherie [la conclusione non deve ingannare nel corso della festa diabolica ed orgiastica o Sabba la presenza dell'elemento maschile, come nel caso dei Benandanti e/o "nati con la camicia", risultava, per quanto meno enfatizzata, una costante come qui si legge].
L'equazione donna miscredente - donna pagana - donna strega aveva un'ascendenza antichissima, come qui si legge, risalente alla "pubblicistica" del cristianesimo originario ed anacoretico ma all'epoca dell'Ottonelli in pieno XVII secolo la recrudescenza avverso le Meretrici che "si evolvono in Streghe" ha una nuova e potente motivazione di cui peraltro con acume tratta in questo suo straordinario libro Antonio Zencovich che avvalendosi di riferimenti tanto rari quanto preziosi. Per esempio utilizzando abilmente il lavoro dell'agostiniano Henricus Lancelotz che nel' opera Anatomia Christiani Deformati (Anversa, Hyeronimus Verduss, 1613) di cui qui si vede il frontespizio La Costanza cristiana combatte i peccati degli eretici mirante ad aggredire secondo le direttive del polemismo cattolico i Protestanti accusandoli anche di Impudicizia e non estranei a valersi del proselitismo di Meretrici quanto ad estendere il raggio dell'azione censoria e conseguentemente a condannarne l'eresia in forza della diffusione da parte loro di figure blasfeme.
   
da Cultura-Barocca