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sabato 27 maggio 2017

"Le Imagini de gli dei de li antichi "

Illustration from Le imagini de i dei de gli antichi nelle qvali si contengono gl’idoli, riti, ceremonie, & altre cose appartenenti alla religione de gli antichi, 1571, by Vincenzo Cartari (Houghton Library)
Le scarse notizie sulla vita di Vincenzo Cartari (Reggio Emilia 1531- dopo il 1571), noto esclusivamente per la sua opera più famosa, "Le Imagini de gli dei de li antichi ", sono raccolte da Seznec e Palma, a cui si aggiungono i pochi accenni biografici contenuti nelle dedicatorie apposte alle sue opere. Nella prefazione alla traduzione dei "Fasti "di Ovidio (Modena 1551), Cartari ricorda che il legame della sua famiglia agli Estensi risale ai tempi di Ercole I e a Luigi d'Este è dedicata la prima edizione delle "Immagini" del 1556. A Ferrara risiedette dunque stabilmente almeno fino al 1561 quando Bartolomeo Ricci da Lugo si congratula con l'umanista per essere entrato nella corte di Ippolito d'Este. Con il cardinale si recherà di li a poco in Francia (1561-1563), nel corso di una missione per conto di Paolo IV . Nel 1571 dovette recarsi a Venezia «per arricchire e abbellire» il suo testo di nuove immagini (prefazione all'edizione di Venezia del 1571) e qui entrò nella cerchia di Anton Francesco Doni e della sua fantomatica Accademia dei Pellegrini , secondo quanto afferma lo stesso Doni nella "Libraria" (Venezia 1557: 103). "Le Immagini degli Dei" restano l'opera principale del Cartari, il cui successo è attestato dalle ben quindici traduzioni che si succedettero dal 1556 al 1615, accanto ad esse, vanno ricordate, I "Fasti di Ovidio tradotti dalla lingua volgare" (Venezia 1551, F. Marcolini), "Il Flavio, intorno ai Fasti volgari" (Venezia 1555, G.Scotto) e il "Compendio dell'historia di monsignor Paolo Giovio di Como fatto per M.Vincenzo Cartari "(Venezia 1562, Giolito de'Ferrari).

L'opera di Cartari deve la sua notorietà soprattutto al carattere manualistico dato dall'autore alla sua trattazione mitografica; le fonti usate spaziano da Filostrato, Pausania , Omero , Virgilio , Ovidio, Catullo , Plinio, fino ad Apuleio e Macrobio , ma a ben vedere molti di questi autori non sono citati in modo diretto bensì attraverso il tramite di più noti umanisti della generazione precedente, i quali avevano studiato e composto le loro opere ai tempi assai più felici di Giulio II e Leone X : Celio Calcagnini , Pietro Appiano, Alessandro degli Alessandri, Pierio Valeriano , ma soprattutto Lilio Gregorio Giraldi a cui deriva la maggior parte del materiale, tanto che già Lessing considerava le Immagini come una sorta di edizione tascabile del Giraldi. Rispetto alle fonti Cartari si pone come traduttore e soprattutto sistematore di un materiale vastissimo, frutto dell'erudizione umanistica passata, con il proposito di «giovare non poco alli dipintori e agli scultori, dando loro argomento di mille belle inventioni da poter adornare le loro statue e le dipinte tavole» (Prefazione di F. Marcolini all'edizione di Venezia 1556). La seconda edizione, del 1571, risulta accresciuta e soprattutto arricchita di tavole incise da Bolognino Zaltieri, ma sorprende constatare come l'illustratore che pure doveva conoscere Pirro Ligorio e dunque l'ambiente di antiquari attivi a Roma presso gli estensi, non si sia dato la pena di controllare le fonti iconografiche classiche preferendo ricostruire le descrizioni del testo alla lettera o attingere agli stessi repertori usati dall'autore: le "Inscriptiones sacrosanctae vetustatis" di Appiano, gli Emblemata di Alciati, gli "Hieroglyphica" di Pierio Valeriano, la "Theologia Mythologica" di Georg Pictor e i compendi di medaglie di Agustin, Sebastiano Erizzo e Guillame Du Choul.
Ne risultarono immagini composite, prive di coerenza formale, a volte mostruose e inquietanti, e i cui effetti negativi sulla pittura della seconda metà del XVI secolo risultano evidenti soprattutto in artisti minori che non seppero reinterpretarle. Grazie anche ai consigli di teorici e trattatisti quali Armenini e Lomazzo che nel manuale videro la possibilità di dare una regola alla trasmissione e recezione delle iconografie pagane, l'influenza delle prime due edizioni fu comunque immediata e assai vasta: in area fiorentina le "Immagini" ricompaiono ad esempio nel programma di Vincenzo Borghini per l'apparato del 1565 in occasione del matrimonio di Francesco de' Medici e Giovanna d'Austria, nei disegni di Bernardo Buontalenti per il "Primo intermezzo" del 1589 (Firenze, Uffizi, Gabinetto dei Disegni e Stampe, nn. 26666-2945 e Biblioteca Nazionale) nella bronzinesca "Allegoria della Felicità" degli Uffizi.

In ambiente veneto ritroviamo gli dei di Cartari negli affreschi del Veronese per la Sala del Consiglio dei Dieci in Palazzo Ducale e per la Villa Barbaro Maser ed in quelli di Tintoretto per la Sala dell'Arcicollegio di Palazzo Ducale; in ambito romano sono ben noti gli esempi di Caprarola , con gli affreschi di Taddeo Zuccari per la Sala dell'Aurora e di Federico Zuccari per quella dell'Ermathena, nonché di Jacopo Zucchi a palazzo Rucellai . Infine a Bologna il testo venne usato da Bartolomeo Cesi per una decorazione in Palazzo Magnani ("Arpocrate e Angerona" e "Eros e Anteros") e da Annibale Carracci (in collaborazione con Innocenzo Tacconi) per alcuni particolari della Galleria Farnese e per i camerini del cardinal Farnese nei dipinti raffiguranti la "Notte" e l'"Aurora", oggi a Chantilly, Musée Condé. 

Nel 1615 vede la luce una nuova edizione delle "Immagini", corredata di nuove illustrazioni, prefazione e apparato scientifico, ad opera dell'erudito antiquario Lorenzo Pignoria (Padova 1571, poi 1631) che prese l'occasione per inserire una nutrita serie di oggetti antichi: statue, statuette, monete, cammei, oggetti esotici, tratti dalla sua collezione e da quelle che aveva potuto osservare tra Padova, Roma e la Francia, ove risiedeva l'amico Peiresc. Al testo di Cartari l'erudito padovano aggiunse due sezioni, una dedicata al nuovo materiale antico, ed una alle immagini degli Dei indiani, trasformando così il manuale divulgativo in una sorta di strumento di ricerca ad uso degli studiosi dell'antico e contemporaneamente di promozione delle collezioni private dei suoi amici. La storia di questa edizione, documentata da scambi di lettere e disegni che vedono coinvolti Girolamo Aleandro, Peiresc, Paolo Gualdo, Pinelli e Welser, diventa così lo specchio di un mondo culturale nuovo che fa dello scambio epistolare e, soprattutto, della circolazione di immagini, uno strumento di indagine conoscitiva, tentando di aprire spiragli in quel sistema codificato di fonti e figure prestabilite che era stata la prerogativa del successo di Cartari. 

Questa operazione in un certo senso fallì, in quanto la diffusione del testo corretto da Pignoria fu incomparabilmente minore rispetto a quella ottenuta dall'edizione del 1571 e lo spazio lasciato vuoto fu invaso da un nuovo manuale che costituiva l'antitesi di quello del padovano: l' "Iconologia " (Roma 1593). Nel corso del XVII secolo, malgrado la concorrenza del Ripa, le Immagini di Cartari continuarono ad esercitare una certa influenza, anche se meno eclatante, ricomparendo ad esempio in Rubens (Borea e Orizia dell'Accademia di Vienna e gli Orrori della guerra di Firenze, Pitti) il quale prese spunti dall'edizione del 1615, pur unendola ad altre fonti quali Natale Conti; Poussin le tenne presenti per i suoi Baccanali Richelieu e persino Ribera nel Sileno ebbro eseguito per Gaspar Roomer e oggi a Napoli, Capodimonte, ripropose la rara iconografia di Pan con la conchiglia e la tartaruga quale è descritta e illustrata unicamente nel testo di Cartari.

 

domenica 21 maggio 2017

Il Visconte che portò in Francia la Venere di Milo

Nel Volume III delle sue "Rimembranze" il Visconte di Francia Plenipotenziario di Marcellus (vedine qui l'avventurosa vita) redasse una fascinosa relazione che si legge a pagina 158 di questo stesso volume in merito alla sua scoperta della pianura ove sorse Troia ("Eccomi a Troia! doveva compiersi dunque questo sogno della mia giovinezza. Doveva dunque contemplar le ruine d'Ilio!..."), argomento corredato di testo e cartografia e di cui nei volumi editi compare una stampa della piana di Troia).
Era questa un'epoca di grandi esplorazioni e grandi scoperte di cui son rimaste straordinarie relazioni di tanti autori, qui digitalizzate e consultabili ed il "Visconte di Marcellus", sulla scia di questa grande tradizione per i viaggi nell'esotico aveva senza dubbio primeggiato ottenendo molti altri risultati prestigiosi esplorando archeologicamente le isole dell'Egeo.
Nelle sue avventurose peregrinazioni fu in particolare conquistato da Rodi la bella isola greca delle rose e dei canti d'amore. Il Marcellus trascrisse canzoni di Cristopulo, l'Anacreonte della Grecia Moderna e alcune inedite opere definite travondiesi, particolari, struggenti e spesso estemporanei canti d'amore sconosciuti in Europa e perlopiù cantati dalle donne, tra cui la composizione intitolata "Di lagrime mi pasco e soffro e gemo". Della splendida isola lo affascinavano tra l'altro sia il ricordo della storia antica (in qualche modo simboleggiata da Apollo e dall'effige della Rosa) quanto delle tragiche vicende moderne caratterizzate anche dalle gesta dei cavalieri che ne presero il nome e la difesero contro l'espansionismo turco e sul cui destino egli stesso raccolse e trascrisse notizie altrimenti destinate all'oblio.
Ma il successo più eclatante del Visconte di Marcellus, che lo rese celeberrimo meritandogli l'appellativo di Winckelmann francese, fu nell'isola isola di Milo dove - grazie ai suoi rapporti con la Sublime Porta di Costantinopoli capitale dell'Impero Turco - ebbe la sorte di acquistare per il Museo del Louvre (1820) uno dei miti dell'umanità, la Venere di Milo, archetipo sovrumano della già leggendaria bellezza delle fanciulle di Milo. Il pensiero che egli scrisse, definendolo come il primo che formulò alla visione della statua, fu "....Io non sapeva saziarmi di contemplare quella bellezza sovrumana...." .
Pare superfluo dire che questi (ed altri successi) che andavano coronando le gesta degli esploratori francesi urtava il mondo accademico britannico (in forza di una competitività culturale che era anche riflesso di recenti eventi politici, diplomatici e guerreschi) sì che l'impresa in Asia di A. Burnes, che scoprì le tracce dell'Impresa di Alessandro Magno, passò per Samarcanda, perlustrò l'Indo e scoprì le tracce di antiche relazioni tra occidente ed orienteassunse (peraltro giustamente) i toni di una altrettanto straordinaria vicenda ai limiti dell'impossibile.

Cultura-Barocca


venerdì 19 maggio 2017

Apostolato degli antichi ordini religiosi

Apricale (IM): all'antico culto delle acque venne sovrapposta la Chiesa di Santa Maria degli Angeli
  Nel Ponente ligure questo grande Pontefice si valse in particolare dell'OPERA DEI BENEDETTINI sia per SCONSACRARE siti di spiritualità pagana, sia per ASSIMILARE PER VIA DI SOVRAPPOSIZIONE CULTUALE CULTI RESISTENTI E MOLTO RADICATI DELLA TRADIZIONE PAGANA nella ciclicità cultuale cristiano cattolica (ASSIMILAZIONE - RICONSACRAZIONE), sia per favorire la rinascita dell' agricoltura in terre disastrate da tante guerre, sia per svolgere una capillare opera di apostolato tra genti ancora sconvolte da guerre e invasioni.
 
E' altresì vero che - contro le direttive di Gregorio Magno - il processo di SCONSACRAZIONE/RICONSACRAZIONE non restò esente da danneggiamenti del patrimonio della classicità ben più gravi di quanto progettato e necessario, anche per la scarsa competenza dei reperti in cui ci si imbatteva.

Ed altresì ricoprire quelle immagini che magari effigiavano discinta la bellezza muliebre come in questo caso fortuitamente sopravvissuto effigiante ballerine od atlete a seconda delle interpretazioni impegnate un una festa pagana od in qualche manifestazione ginnica cosa non esclusa alle donne (alla condanna di ballerine e ginnaste e contestualmente attrici, mime, cantanti, musiciste ritenute seduttrici per l'esibizione di sé e del proprio corpo concorse la propaganda antislamica attesa l'esistenza di ballerine e danzatrici nell'Islam descritte molto dopo dal Chesney nel suo "Viaggio in Mesopotamia, Caldea e Assiria").

Per poi giungere, nei momenti di massima severità e di estremo antifemminismo connesso alla polemica coi Riformati accusati di immoralità che avrebbero accolto nel loro contesto accettandone la lascivia pur di affermarsi le meretrici fattesi quindi eretiche e poi spesso streghe eretiche, alla persecuzione e alla distruzione, da parte dell'ecumene del Cattolicesimo, di quell'oggettistica studiata comunque e magari furtivamente da molti nel '600 tra cui Fortunio Liceti
RAPPRESENTANTE RICHIAMI INDISCUTIBILI ALLA SESSUALITA' APERTAMENTE ESIBITA.  

Entro questa "tecnica apostolica" di ROVESCIAMENTO CULTUALE di una tradizione spirituale PAGANO/IDOLATRICA entro i termini del BENE CATTOLICO-CRISTIANO (per via di sconsacrazione, di riconsacrazione o di demonizzazione) poco noto ma importante risulta il caso di MITRA (da DIVINITA' PAGANA BUONA fatto evolvere in DEMONE della spiritualità cristiana) che si individua in modo esemplificativo per tutto il percorso della DIRAMAZIONE OCCIDENTALE DELLA VIA FRANCIGENA "OSPEDALE DEL CENISIO - NOVALESA - VENTIMIGLIA - MARE LIGURE.

venerdì 12 maggio 2017

Sugli Agostiniani

Genova: Chiesa di Nostra Signora della Consolazione - Foto: Wikipedia
Le opere di Sant'Agostino, "Dottor massimo", erano studiate dal clero genovese fin dai primi tempi e soprattutto in occasione delle grandi dispute teologiche; S. Prospero indirizza a due sacerdoti di Genova le sue opere contro il semipelagianesimo.
La tradizione continua a ripetere che a Genova Agostino, sua madre e tutti i familiari che già convivevano con lui a Milano, presero imbarcandosi la via di Ostia per l’Africa. Approdò a Genova la nave che trasportava dalla Sardegna le preziose spoglie di S. Agostino; il re Liutprando, accompagnato dai duchi e dai magistrati, venne ad accoglierle a Genova con parte del suo esercito e quel passaggio imperiale, pacifico e devoto lasciò profondi segni di storia e di devozione lungo tutto il tragitto fino a Pavia. Il convoglio imperiale risalì la valle Polcevera, la Val Secca e le colline di Voiré, poi in valle Scrivia attraversando Savignone, Mongiardino, Rocchetta ligure, S. Sebastiano Curone, Varzi, Voghera. Il convoglio imperiale si accampò a Casei Gerola per il guado del fiume Po’ ( Revello L. Enrico - Alfa ed Omega. Nel miraggio di Genova e dei suoi monti, Genova, 1928, pag. 21). A Genova Sampierdarena si conserva la Cella, piccola cappella dove fece tappa il feretro di Agostino e si attribuisce al re Liutprando la primitiva fondazione della Chiesa di S. Agostino in Sarzano.
Alcuni documenti storici attestano che alcune comunità agostiniane si insediarono a Genova dopo l’invasione vandalica dell’ Africa, e che la prima forma di vita di regola agostiniana è attestata con l’avvento dei Canonici regolari di S. Croce di Mortara (anno 1080) che officiarono le chiese di S. Teodoro, N.S. del Monte, S. Maria di Granarolo, S. Giovanni di Paverano, S. Maria del Prato in Albaro,, N. S. di Belvedere in Sampierdarena, e S. Maria del Priano, ora santuario Virgo Potens.
La prima dimora degli Agostiniani in Genova dopo la grande unione dell’ Ordine fatta dal Papa Alessandro IV il 9 aprile del 1256, risale al 1255 nella zona di Luccoli tra le Chiese di S. Domenico e Santa Caterina, ma, allontanati dalle Clarisse, presero dimora in Sarzano dove nel 1260-70 costruirono la Chiesa dedicandola a S. Tecla. La facciata fu terminata nel 1289 e il portale nel 1380. Nel 1477 fu intitolata a S. Agostino.
La Provincia di Lombardia possedeva in Liguria i seguenti conventi: 1. Genova , S. Agostino; 2. Sturla, La Nunziata; 3. Varese Ligure, S. Croce; 4. La Spezia, S. Agostino. Era costituita dunque dai Conventi che appartenevano alla Congregazione di S. Giovanni Bono, detti Giamboniti: ; negli antichi cataloghi era la prima dell'Ordine. A tale primato se ne aggiunse un altro di maggior dignità nel 1331, quale "custode" del Sepolcro del S. Padre Agostino in Pavia (unitamente e alla pari con i Canonici Lateranensi), per merito precipuo del grande Generale Fra Guglielmo Amidani di Cremona (1326-1342).
La sede della Provincia di Lombardia era presso il Convento di S. Marco di Milano, fondato nel 1254 dal Beato milanese Fra Lanfranco Settala, quand'era ancora Generale dei Giamboniti. Egli fu il primo Generale dell'Ordine, ed il principale promotore della "Grande Unione" del 1256, e del suo rapido incremento in tutta l'Europa. Morto nel 1268 a Milano, e sepolto nella sua chiesa di S. Marco, venne onorato con un monumento sepolcrale, che è attribuito al pisano Giovanni di Balduccio, lo stesso artefice, a quanto pare, dell'Arca monumentale di S. Pietro in Cieldoro a Pavia, datata 1362.
Dal convento della Cella di Sampierdarena uscì il Beato Fra Giovanni Rocco Porzio, pavese di origine, autore della riforma agostiniana in Lombardia col nome di " Congregazione dell'Osservanza di Lombardia", fondata a Crema, nel 1439. Aveva la sua sede nel Convento di S. Maria Incoronata di Milano.
Possedeva in Liguria i seguenti conventi: 1. Genova, S. Giacomo in Carignano; 2. Sampierdarena, La Cella; 3. Savona, S. Agostino; 4. Oneglia, La Nunziata.
Apparteneva a questa Congregazione il Beato genovese Fra Gian Battista Poggi, che ebbe il titolo di "Predicatore"; eletto "Socio del Vicario", Fra Agostino di Crema, nel Capitolo di Modena del 1468, essendo Priore del convento di S. Martino di Alessandria, nel 1471 partì con Padri e Professi per la fondazione in Pieve di Teco, dove aveva predicato la Quaresima, di una nuova Congregazione più austera, all’inizio osteggiata dall’ autorità ecclesiastica, e poi riconosciuta da Sisto IV e da Leone X, che sarà poi denominatà "Congregazione dell 'Osservanza di N.S. della Consolazione di Genova", con sede ufficiale nell'omonimo convento di Genova, ma che dal nome del suo fondatore era detta comunemente la "Congregazione dei Battistini".
La Consolazione dell’epoca era localizzata sul colle d’Artoria e abbattuta nel 1681 in quanto pericolosamente vicina alle mura cittadine.
Gli agostiniani acquistarono il palazzo, la casa e il terreno di Francesco Pinelli lungo la strada di Albaro (oggi via XX settembre).
Nel 1684 Mons. Giulio Vincenzo Gentile posò la prima pietra della nuova chiesa, aperta al culto nel 1693.
La fondazione di Pieve di Teco fu "autorizzata" da Sisto IV con la bolla "Devotionis constantia" del 18 settembre 1471, e "approvata" dal Priore Generale Fra Giacomo Dell'Aquila con Diploma del 22 maggio 1473, e "accettata" i1 1° giugno 1482 dal Capitolo generale di Perugia, al quale partecipava anche il Poggi come Vicario e Capitolare, essendo Generale Fra Ambrogio Coriolano.
Il titolo della Congregazione approvata dal Generale Fra Giacomo era: " Congregatio Sanctae Mariae de Consolatione, Ordinis Fratrum Eremitarum Sancti Augustini, de Observantia, de Pedemontis". Il decreto del Capitolo di Perugia diceva esattamente così: "Item, attenta, prompta, humili, ac devota voluntate venerabilis patris Fr. Ioannis Baptistae de Podio Genuensis, qua se, fratres, Congregationem, at con- ventus novem, per eum erectos, et Domino famulantes sub regulari Observantia auctoritae Smi D. N ., et Rmi bonae memoriae Magistri Iacobi de Aquila olim Generalis, obtulit, praesentavit, dedicavitque, ac in perpetuum pollicitus est obbedientam et obsequium. Idcirco ipsum Fr. Ioannem Baptistam, Congregationis S. Mariae de Consolatione Vicarium, fratres eius, et conventus in gremio nostrae Religionis suscipimus et amplectimur; ac praefatae Congregationi omnes et singulas gratias, privilegia, et exemptiones concedimus, quibus ceterae nostrae Religionis Congregationes de Observantia potiri et gaudere solent".
La Congregazione di Genova raggiunse il suo massimo incremento nel sec. XVI; per merito del suo più grande figlio, il P. Fabiano Chiavari (m. 1559), Vicario della Congregazione, Procuratore dell'Ordine, Abate di S. Matteo, mantenne salda la disciplina e la sottomissione al Priore Generale, e i grandi Generali, Seripando di Napoli (1539-1551), e Cristoforo di Padova (1551-1569), le rilasciarono attestati pubblici di massimo gradimento.
La Congregazione di Genova, emanazione della Provincia agostiniana di Lombardia, e che si sviluppò per opera del Beato genovese Fra Gian Battista Poggi, possedeva nel ‘600 e ‘700 33 conventi, di cui 19 in Liguria, 6 in Piemonte, 5 in Emilia, 3 nel Lazio, e precisamente: 1. Genova, N.S. della Consolazione (anno di fondazione, 1475); 2. Genova, S. Agata (1531); 3. Genova-Promontorio, SS. Crocifisso (1608); 4. Genova-Sampierdarena, S. Antonio (1641 ); 5. Pieve di Teco (Imperia), N.S. della Consolazione (1471); 6. Savona. N.S. della Consolazione (1486); 7. Pegli (Genova), N.S. delle Grazie (1592); 8. Celle Ligure (Savona), N.S. della Consolazione (1609); 9. Loano (Savona), N.S. della Misericordia (1580); 10. Cervo (Imperia), N.S. delle Grazie (1600); Il. Oneglia, S. Maria degli Angeli (1472); 12. Pontedassio (Imperia), S. Caterina (1596); 13. S. Margherita (Genova), SS. Nunziata (1595); 14. Rapallo (Genova), S. Agostino (1474); 15. Chiavari (Genova), S. Nicola (1520); 16. Levanto (La Spezia), S. Antonio di Armisco (1495); 17. Ventimiglia, N.S. di Consolazione (1487); 18. Nizza Mar., S. Agostino (1489); 19. Montebruno (Genova), N.S. Assunta (1486); 20. Ceva (Cuneo), N.S. delle Grazie (1473); 21. Mondovì (Cuneo), SS. Annunziata (1474); 22. Cuneo, S.M. dell'Olmo (1594); 23. Fossano (Cuneo), S.M. di Cussanio (1627); 24. Alba (Cuneo), S. Giovanni Battista (1556); 25. Tenda (Francia), S. Dalmazzo (1490); 26. Parma, S. Luca (1498); 27. Borgo Taro (Parma), S. Rocco (1503 ); 28. Fidenza (Parma), S. Pietro (1552); 29. Chiavenna Sottana (Piacenza), SS. Nunziata (1513 ); 30. Piacenza, S. Margherita (1627); 31. Viterbo, SS. Trinità (1521); 32. Genzano (Roma), SS. Nunziata (1622); 33. Roma, S. Giorgio (1612).
Appartennero alla Congregazione di Genova, per periodi più o meno brevi: 1. Busalla (Genova), N.S. della Guardia (1492); 2. Borzonasca (Genova), S. Bartolomeo; 3. Millesimo (Savona), S. Nicola; 4. Bobbio (Piacenza), S. Nicola; 5. Ormea (Cuneo, 1597); 6. Sala (Parma).
Forte di quella tradizione, con i suoi numerosi conventi sparsi anche fuori dalla Liguria, fino a Viterbo e a Roma, arrivò abbastanza in buon ordine sino alla fine del sec. XVIll. La fine della Repubblica di Genova segnò anche la fine della Congregazione di Genova.
La Chiesa della Consolazione di Genova fu chiusa nel 1810.
Nel 1813 divenne parrocchia in luogo della vicina S. Vincenzo, con lo stesso parroco Don Alberti che la resse fino al 1816 quando rientrarono gli agostiniani. 


Alceo

Alceo e Saffo in un vaso a figure rosse (470 a.C. circa, da Akragas) in Staatliche Antikensammlungen - Fonte: Wikipedia
Alceo nacque nel 630 a.C. a Lesbo da una famiglia aristocratica. La sua vita fu segnata dal vivo interesse politico e dalla lotta contro il potere assolutistico dei tiranni Melancro, Mirsilo e Pittaco. Questi scontri lo portarono più volte all'esilio, esperienza dolorosa che ricorre anche in un lungo frammento che si apre con il rimpianto del poeta per il suo allontanamento forzato dalle attività pubbliche che erano il prestigio della sua famiglia. 

La sua opera destò l'attenzione degli alessandrini che la sistemarono in dieci libri; oggi restano solo quattrocento frammenti per giunta molto lacunosi.

La politica costituisce un nucleo fondamentale della poesia alcaica: in un carme il poeta scaglia violente invettive contro Pittaco, accusandolo di aver tradito la solidarietà dei suoi alleati,in quanto la lealtà era il principio fondamentale dell'etica aristocratica. In un'altra poesia egli volge una feroce maledizione al "pancione" (Pittaco appunto) che calpestò i patti, la quale sfocia in un'esortazione a morire combattendo contro di lui o a vincerlo per liberare la città. Allorché muore Mirsilo, egli prorompe in un esultante invito a bere fino all'ubriachezza: la passione politica viene qui trattata all'interno del contesto conviviale; elemento politico e simposiaco convergono spesso nella sua opera, ma questo non significa che siano sempre legati: non si beve soltanto per parlare di politica: il vino é anche gioia ed esaltazione delle sensazioni corporee; la sua estasi é verità dei pensieri ed é proprio questo dolce unguento che lenisce l'animo e ristora la mente dall'assillante preoccupazione del dolore.
Altri temi trattati nelle liriche di Alceo sono l'argomento mitico-religioso (di cui mirabile esempio sono le tre strofe rimasteci dell'inno ai Dioscuri, che descrive la fulminea apparizione dei due gemelli divini durante una notte tempestosa sul mare, identificandoli nei fuochi di Sant'Elmo che indicano salvezza ai naviganti), e l'argomento epico, presente in vari carmi come quello che ricorda le nozze fra Peleo e Teti, o quello che descrive le sciagure provocate dalla follia amorosa di Elena; l'argomento mitico in qualche caso appare legato all'attualità, in particolare alla lotta contro il potere tirannico: l'attenzione al presente e la passione politica sono tratti peculiari della vita di Alceo che lo portano ad attribuire una funzione pragmatica alla sua poesia. Essa è inscindibile dal contesto e dall'occasione in cui viene cantata. L'eteria a cui il poeta si rivolge infatti corrisponde alla sua attività artistica.
La forte aderenza del poeta alla realtà e alla particolarità dell'occasione si riflette anche nel suo stile: esso è caratterizzato dall'alternanza di toni espressivi, ora più raffinati e simili alla prosa, ora più forti e potenti. La lingua eolica di cui si serve per comporre i carmi è arricchita inoltre di parole rare provenienti forse dal parlato, che solo un pubblico maschile aperto alla varietà dei rapporti sociali può comprendere e utilizzare.

sabato 6 maggio 2017

Guerra in occidente tra Bizantini e Longobardi

Un tratto dell'Ubaye - Foto: /www.provence7.com
Il significato strategico del territorio dell'estremo ponente ligure - dell'attuale Ventimiglia (IM), in modo particolare - nella strutturazione difensiva eretta dai bizantini risentiva di distinte finalità. 
In primo luogo siffatta postazione difensiva disegnava in maniera tangibile il confine marittimo dell'Italia di nord ovest.
In seconda istanza la località, e tutto il territorio a lei soggetto, rappresentava la retroguardia delle stazioni difensive di prima linea costituite dai centri di AURIATE e di BREDULO (Il Comitato di Auriate -Valloriate, Roccavione o Caraglio - occupava il territorio compreso tra il Po, le Alpi, lo spartiacque Stura-Gesso, la Stura, il Tanaro fino a Pollenzo incluso e una linea che da qui tornava al Po, passando a sud di Savigliano, appartenente al Comitato di Torino. Il Comitato di Bredulo - Breo o Breolungi - si estendeva a sud-est del primo, tra le Alpi, il Tanaro oppure il Tanaro-Corsaglia-Casotto e la Stura. Al pari del Comitato di Auriate anche questo reava la sua origine da organismi castrensi del tardo impero, se non già bizantini, che sin erano sovrapposti alle realtà amministrative dei decaduti municipi di Forum Germa[nici], di Pollentia, di Pedo e Augusta Bagiennorum. Sul territorio era peraltro ancora funzionale il percorso della via moneta che da Caburrum (Cavour) raggiungeva Pedo, passando per Barge, Envie, Busca e San Lorenzo di Caraglio donde una seconda si dirigeva verso Pollentia, passando per Centallo, Levaldigi, Genola, Savigliano, Marene e Roreto, oppure, secondo l'ipotesi del Coccoluto, per Centallo e Pilone Santa Lucia; più a nord un itinerario secondario metteva poi in relazione Pollentia con la via moneta Caburrum-Pedo, attraversando Savigliano e forse Saluzzo).
Verso il biennio 569-71 i Longobardi si valevano della Valle della Stura per spingersi a far saccheggi nelle Gallie: Una momentanea battuta d'arresto a questo loro espansionismo fu determinata dalla sconfitta che patirono a MUSTIAE CALMES alla confluenza dell'Ubayette nell'Ubaye.
Nel 571 i Longobardi avevano superato il Colle della Maddalena, seguendo cioè un tracciato viario analogo a quello di cui nel 572 si valsero i Sassoni  per giungere a Estoublon donde si spinsero a saccheggiare Riez ed ulteriori centri. Questo percorso si individua analizzando sì la conformazione geografica della zona ma altresì analizzando quanto sancito da Gregorio di Tours (573) per agevolare il ritorno di queste genti alla sede di provenienza passando attraverso le Gallie: “Fecerunt ex se duos, ut aiunt, cunios, et unus quidem per Niceam urbem, alius vero per Ebredunensim venit, illam re vera tenentes viam, quam anno superiore tenuerant; coniunctique sunt in Avennico terreturio”. Essi procedettero con probabilità su due colonne ed una di queste risalì il corso della Stura, presso Pratolungo, e, per la Valle di Sant'Anna, il Colle della Lombarda e la Tinea-Varo, raggiungendo Nizza.
A tale centro pervennero anche, con le loro forze, vari duchi longobardi il cui arrivo è conosciuto in forza dell’episodio di Sant'Ospizio.
Precisare la data dell’evento non è sicuro la data, ma dovette verificarsi tra il 569-571 visto che Mario di Avenches scrisse che nel 569 i Longobardi "in finitima loca Galliarum ingredi praesumpserunt, ubi multitudo captivorum gentis ipsius venundati sunt": lo stesso autore tramandò anche, più o meno direttamente, la notizia della morte del patrizio Celso annotando che Amato, “qui nuper Celsi successor extiterat”, venne ucciso quando a capo delle sue forze aveva cercato di ricacciare i Longobardi invasori.
Il fatto d’armi è verisimilmente da collocare al 570 dato che nel 571 i Burgundi, a servizio militare del nuovo patrizio Mammolo, ottennero sui Longobardi proprio la significativa vittoria di Mustiae Calmes.
Dopo che nel 572 e nel 573 si ebbe un’ulteriore incursione barbarica, dei Sassoni, ancora nel 574 tre duchi longobardi avanzarono decisamente per queste contrade in profondità ed Amo attraversando il territorio Embrun, raggiunse addirittura la villa di Macha sita nell’agro avignonese.
Egli saccheggiò con decisione anche il territorio di Aries fissando quindi una taglia di 22 libbre d'argento alla città di Aix.
L’altro duca Zaban attraverso Die piombò su Valence sottoponendo la località ad un pesante assedio.
Il terzo duca longobardo Rodano pose il campo contro Grenoble che accerchiò in assedio, tuttavia ebbe sorte meno favorevole dei "colleghi" subendo una decisiva sconfitta sull'Isere ad opera del patrizio Mummolo sì che, gravemente ferito per via di un colpo di lancia, lasciò il luogo di battagli con poco più di 500 superstiti e si rifugiò presso Zaban, a Valence.
Dopo il ristabilimento di Rodano, i due duchi, con le forze congiunte, si mossero alla volta di Embrun, ma qui furono gravemente sconfitti da Mammolo, che invano avevano cercato di sfuggire, e dovettero ricoverarsi in Italia.
Esistono solo delle ipotesi sulla via della ritirata seguita dai longobardi.
Circa le vie seguite in questa circostanza sono possibili solo ipotesi e nemmeno del tutto confortate da osservazioni assolutamente serie: l’unica certezza è forse costituita dal fatto che la ritirata del duca Amo dovette procedere per il Colle della Lombarda visto che la Valle dell'Ubaye era quasi certamente bloccata dalle forze di Mummolo.
Dalla registrazione di queste invasioni, pressoché annualmente ripetute, si evince che i Longobardi, nonostante la sconfitta di Mustiae Calmes, godevano oramai del controllo del Colle della Maddalena se non del Monginevro e del Gran San Bernardo: la disfatta di Mustiae Calmes aveva quindi rappresentato un episodio, per quanto disastroso, ma non aveva potuto alterare né le strategie né le dinamiche di questi barbari.
Secondo quanto scrive il Pavoni la dislocazione arretrata dello difensive franco-burgunde, solo parzialmente sarebbe da collegare all'opportunità militare di mantenere compatta la massa delle loro forze onde spingerle, volta per volta, contro la principale direttrice d'attacco dei Longobardi.
L’anno 574 l'armata agli ordini di Mummolo era dislocata oltre l'Isere, superata non senza problemi nelle vicinanze di Grenoble posta sotto assedio: peraltro nel medesimo anno i duchi longobardi Taloardo e Nuccio raggiunsero il Vallese, risalendo fino a Bex, ove patirono una sconfitta rilevante.
Non è detto che in funzione di tutto ciò si sia verificata la caduta del castrum di Auriate: in maniera analoga a quanto avvenuto per Susa il centro, di rilevante peso strategico, poteva essere rimasto sotto controllo bizantino.
Senza dubbio i pochi soldati greci ivi di stanza non sarebbero stati in grado di bloccare il passaggio delle forze longobarde, però il fatto che a Susa si sia avuto un abboccamento fra il magister militum Sisinnio e il duca Zaban, davanti ai quali venne introdotto un falso messaggero di Mummolo, pare essere una testimonianza degli accordi che non raramente intercorrevano fra Bizantini e Longobardi.
Sisinnio non cercò affatto di interdire militarmente la marcia Longobardi in ritirata: piuttosto al fine di agevolare la loro dispersione si valse del ben orchestrato stratagemma del falso messaggero.
All’Impero non sconvenivano per nulla le incursioni longobarde nelle Gallie: da un lato infatti esse tenevano impegnati altrove i Longobardi stornando la loro pressioni dal sistema difensivo dei bizantini, sempre più logorato, dall’altro lato mantenevano viva l'ostilità fra Franchi e Longobardi.
A nessun diplomatico greco sfuggiva infatti che un’eventuale accordo tra questi due gruppi di barbari avrebbe costituito un evento calamitoso per l’Impero cui era già arduo mantenere le proprie posizioni a fronte dei soli Longobardi: alla politica imperiale semmai convenivano accordi coi Franchi al fine di valersi di questo forte popolo quale deterrente contro i nemici naturali di Ravenna, appunto i Longobardi ed in simile contesto sembra davvero sia stato un evento grave per l’Impero quella sanzione di pace intercorsa tra Franchi e Longobardi che determinò il passaggio a re Guntramo di Agusta et Siusio civitates cum integro illorum territurio et populo .
E’ plausibile che un mutamento di politica, susseguente a questa pace, abbia determinato la caduta del castrum di Auriate, cioè di una POSTAZIONE AVANZATA CONTRO I LONGOBARDI, nelle mani dei Longobardi .
Tale evento influì probabilmente sulla politica militare dei Bizantini che, di fronte a siffatta situazione, dovettero rivistare l’organizzazione del loro sistema strategico: non a caso il distretto di Bredulo, fra Gesso, Stura e Tanaro, risulta appoggiato sulla destra ai rilievi delle Langhe, sì da indurre a credere che sia stato pensato e quindi portato a compimento quale un ulteriore sbarramento delle vie marittime dopo la crisi del castrum di Auriate: e tale fatto induce a pensare che la resistenza greca si dovesse concretare, da questa data, prioritariamente sulla destra della Stura.


mercoledì 3 maggio 2017

Motolinia, Frate Toribio de Benavente

Fonte: Wikipedia
Frate Toribio de Benavente, noto anche come Motolinia (Benavente, 1482 – Città del Messico, 1568), è stato un missionario francescano, uno dei primi 12 missionari a giungere in Nuova Spagna nel maggio del 1524. 

Entrò nell'ordine francescano da giovane, modificando il proprio cognome Paredes con il nome della città in cui nacque, Benavente, come era tradizione fare tra i francescani. Nel 1523 fu scelto tra i primi dodici missionari ad essere inviati nel Nuovo Mondo. 

Dopo un duro viaggio giunse in Messico, dove fu accolto da Hernán Cortés. Dopo aver attraversato il Tlaxcala, gli indiani commentarono le sue misere vesti francescane definendolo "Motolinia", che in lingua nahuatl significa "Colui che si affligge" o "Egli è povero". Fu la prima parola che imparò in lingua nahuatl, e lo adottò come proprio nome. 

Fu nominato guardiano del convento di San Francesco a Città del Messico, dove risiedette dal 1524 al 1527. Dal 1527 al 1529 visse in Guatemala e Nicaragua, esaminando le nuove missioni sorte in quella zona. Tornato in Messico rimase presso il convento di Huejotzinco, nei pressi di Tlaxcala, dove aiutò i nativi a combattere gli abusi e le atrocità commesse da Nuño Beltrán de Guzmán. Suggerì ai capi dei nativi di protestare presso il vescovo Juan de Zumárraga per il comportamento di Guzmán, ma quest'ultimo lo accusò di aver tentato di fomentare una rivolta tra gli indiani contro la corona spagnola. 

Nel 1530 si trasferì presso il convento di Tlaxcala e contribuì alla fondazione della città di Puebla de Los angeles. Con alcuni colleghi francescani viaggiò fino a Tehuantepec, al Guatemala ed allo Yucatán per svolgere altri compiti missionari. Anche se Motolinia protesse gli indiani dagli abusi di Guzmán, non condivise le opinioni del domenicano Bartolomé de Las Casas, il quale vedeva nella conquista e nella sottomissione degli indiani un crimine contrario alla moralità cristiana. 

Motolinia era convinto che Dio avrebbe protetto gli indiani una volta convertiti, e che l'opera missionaria fosse quindi più importante della lotta al sistema delle encomienda. Per questo motivo continuò a difendere la conquista, le encomienda e l'evangelizzazione. 

In una famosa lettera indirizzata a Carlo V sostenne un duro attacco al vescovo Bartolomé de las Casas, con l'intenzione di screditarlo completamente. Lo definì "un uomo grave, irrequieto, importuno, turbolento, ingiurioso e pregiudiziale", ed anche un apostata in quanto aveva rinunciato alla carica di vescovo del Chiapas. 

Nel 1545 gli encomenderos del Chiapas gli chiesero di presentarsi e difenderli contro Las Casas, ma egli declinò la richiesta, ed allo stesso modo rifiutò l'offerta della carica di vescovo avanzata dal re. 

Dopo aver fondato numerosi chiostri e conventi in tutto il Messico, ed aver battezzato oltre 400.000 indiani, si ritirò presso il convento di San Francesco a Città del Messico, dove morì nel 1568. Viene ricordato in Messico come uno dei più importanti evangelisti. Motolinia è famoso per le sue due opere incentrate sul mondo azteco, Historia de los Indios de la Nueva España, non pubblicata prima del 1858, da Joaquín García Icazbalceta e Memoriales, pubblicati la prima volta nel 1903.