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martedì 24 novembre 2015

Silfio, una pianta leggendaria, ormai estinta

 
Contro le tossicosi e quindi contro gli avvelenamenti, ma anche per le perfette cicatrizzazioni e contro i rischi di infezioni e cancrene delle ferite, un esercito di alchimisti, sulla scorta di Plinio (XIX, 39 e 43; XXII, 48-49) e di altri classici cercavano (ma anche se non soprattutto sulla scia di un probabile mito alimentato da narrazioni favolose) la leggendaria pianta del SILFIO della Cirenaica, da cui si distillava il Làsere dai tempi di Andrea (III sec. a.C), medico del re d'Egitto Tolomeo IV Filopatore ritenuto cura di molti mali, quello che Plinio definì uno "tra i doni più straordinari della natura...[che] entra in moltissimi preparati medicinali". 

Il Làsere di cui si disponeva nel XVI sec. era estratto dalla pianta del Laserpìzio ("Ombrellifere") di Siria, Parmenia, Media, Armenia (M. MONTIGIANO, Dioscoride Anazarbeo. Della materia medicinale, tradotto in lingua fiorentina, Firenze, 1546 o 1547, p.154) e, oltre a non essere facilmente reperibile, non aveva le qualità attribuitegli da Plinio.

Plinio, riferendosi a quello della Cirenaica, scrisse che il Làsere delle regioni orientali - estratto dal Laserpìzio del genere Ferula Asa foetida delle Ombrellifere - "è di qualità molto inferiore rispetto a quello della Cirenaica, e per di più spesso mescolato con gomma o sacopenio [gomma di ferulacea orientale ma anche di una specie italica], o fave tritate". E del resto in Italia delle 30 specie di Laserpìzio conosciute ne crescono 8 (importante soprattutto il Laserpizio sermontano [ma leggi anche Siler Montanum alias Seselis Massiliensis] di cui scrisse il medico Z.T. Bovio, ma senza le supposte proprietà citate da Plinio). 

Fra gli attributi medicamentosi del Làsere ottenuto dal Laserpìzio o Silfio della Cirenaica (che non è di sicura interpretazione e per cui si è anche supposta l'identificazione con la Ferula tingitana, a cui Catone attribuì alto valore terapeutico ) si attribuivano poteri cicatrizzanti e la qualità di antidoto sì forte da neutralizzare ogni veleno: possedere o realizzare tal prodotto avrebbe fatta la fortuna di qualsiasi alchimista, speziale o medico ed avrebbe risolto i problemi di intervento, che a volte imponevano l'amputazione dell'arto ferito ed avvelenato.
 
In effetti le ricerche non avrebbero poi confermato tutto quanto pur senza negare varie qualità al SILFIO. A prescindere dagli usi nella cucina greco-romana la pianta era utilizzata per molte applicazioni mediche: contro tosse, gola irritata, febbre, indigestione, dolori, verruche e vari tipi di malattie sì che sulla scorta di successivi medici ed erboristi si conferì al prodotto il titolo di vera e propria panacea.

Plinio il Vecchio in effetti ne segnalò soprattutto la qualità quale contraccettivo ed è oggi noto che molte specie appartenenti alla famiglia delle Apiaceae hanno proprietà estrogeniche mentre è stato realmente esperimentato come alcune (come la carota selvatica) possono fungere da abortivo; è quindi possibile che la pianta (vanamente ricercata assieme alla Mummia ed altre sostanze ritenute dotate di grandi proprietà terapeutiche anche nel Medioevo sulle tracce superstiti del Mercato aperto Imperiale Romano) fosse farmacologicamente attiva per la prevenzione o l'interruzione della gravidanza.
 
Da quanto si è scritto si potrebbe pensare che il SILFIO, dalle prodigiose qualità terapeutiche, sia stata solo una leggenda proveniente dal passato remoto: se però, trattando della pianta Ippocrate, Galeno, Dioscoride, Apicio, Plinio Seniore e tanti altri medici ed eruditi, nel campo delle reciproche competenze, parlarono sempre in termini entusiastici, alludendo soprattutto alle straordinarie qualità medicamentose, un fondo di verità nella "leggenda" deve pur esservi stato.
 
Tenendo in particolare conto del fatto che Nerone ne pagò a prezzo elevatissimo l'ultima spedizione e che reclamò per sè alla vigilia dell'estinzione della pianta, e valutando che, già da molto prima, il succo del Silfio veniva conservato, sotto stretta custodia, nel tesoro pubblico e nei templi.

Sull'estinzione del silfio variano le ipotesi: una cita un aumento di pascoli di animali che si nutrivano della pianta in correlazione con un eccesso raccolta sì da determinarne l'estinzione. Per altri il clima del Maghreb inaridendosi avrebbe contribuito in maniera determinante alla scomparsa della pianta. Altri ancora dell'estinzione accusano l'avidità dei governatori di Creta e Cirene per lucro indotti a massimizzare i profitti facendo coltivare il silfio in modo intensivo, ma al punto di rendere il terreno inidoneo per la pianta selvatica, quella che avrebbe posseduto il massimo il valore medicinale (come sostenne Teofrasto - comunque utilizzando una fonte mediata - secondo cui il vero "Silfio" sarebbe potuto crescere solo allo stato selvatico. Recentemente J. S. Gilbert ha ipotizzato che il prodotto esportato - sotto forma di una sorta di gomma - non derivasse solo dalla pianta, ma che fosse il risultato di una miscelazione della pianta trattata con intestini di insetto contenenti cantaridina e con un espediente atto a rendere il gusto accettabile e minimizzare i rischi della cantaridina. 

Una volta però che i governatori romani presero il controllo della regione, per la produzione del silfio si sarebbero avvalsi di schiavi ignari del segreto di trattamento del prodotto al punto da non più ottenere la qualità di un tempo pensandosi così che la vera pianta del Silfio si fosse estinta = Plinio il Vecchio, Naturalis historia, XIX: 38-46 e XXII: 100-106 - vedi anche = Dalby, Andrew, Dangerous Tastes: The Story of Spices, University of California Press, 2002].

   

Fatto certo è che in merito al SILFIO esiste un solo modo per cercare di ricostruirne la struttura botanica, quello di visualizzarla sulle monete, i tetradrammi (come quello qui riprodotti) di CIRENE dove gli antichi incisori e zecchieri lo immortalarono nei suoi frutti, nei germogli e persino nelle dimensioni, che dovevano essere notevoli se la testa di un cavallo giungeva a malapena alla sua cima.

P.S.
CIRENE (colonia greca fondata forse nel 631 da coloni dori originari di Tera [Santorini] sulle coste settentrionali dell'Africa, donde la regione fu poi detta Cirenaica), a dimostrazione della grande quantità di tali piante così fiorenti nel suo territorio da caratterizzarlo come ne fossero un "simbolo", scelse, per oltre tre secoli (631-300 a.C.) di utilizzare l'immagine della pianta come "marchio della propria identità nazionale": alla stessa maniera di come fecero un pò tutte le altre città stato e colonie greche> celebre e splendido il caso di RODI e della rappresentazione della rosa, caratteristica della pianta, sulle sue monete a decorrere dal tempo (411-407 a.C.) dell'unione dei tre centri antichi dell'isola ("Lindos", "Jaliso" e "Camiro"). 




lunedì 16 novembre 2015

Sulla famosa ode “A Luigia Pallavicini …”

 
Ritratto di LUIGIA PALLAVICINI, Genova, Civica Galleria d’Arte Moderna

La stesura dell’Ode “A LUIGIA PALLAVICINI CADUTA DA CAVALLO” di Ugo Foscolo sarebbe avvenuta in una locanda dove il poeta di Zante, capitano dei volontari cisalpini, stava degente a a causa di una ferita subita durante il fatto d’armi del 30 aprile 1800 comunemente noto come BATTAGLIA DI FORTE DIAMANTE. 
L’ODE, contrariamente a quanto si crede, non nacque come un omaggio estemporaneo e personalissimo ma era destinata, secondo l’uso tipico del ‘600 e del ‘700, a far parte di una “corona di composizioni poetiche consolatorie” destinate a celebrare, con il titolo di “OMAGGIO”, la giovane e bellissima marchesa genovese cui la rovinosa caduta da cavallo, con la conseguenza di un irrimediabile sfregio al volto, compromise il fascino sì da indurla a presentarsi in pubblico velata per il resto della sua esistenza.
L'”OMAGGIO A LUIGIA PALLAVICINI” fu stampato dal tipografo genovese FRUGONI nell’anno VIII della Repubblica Ligure e, oltre all’Ode del Foscolo, conteneva composizioni di altri ufficiali ed amici quali Giovanni Fantuzzi (Belluno 1762 – Genova 1800 [cadde nella difesa della “postazione genovese della Coronata”]), Giuseppe Giulio Ceroni (S. Giovanni Lupatoto [Verona] 1774 – Governolo 1813) e Antonio Gasparinetti (Ponte di Piave [Treviso] 1777 – Milano 1824).
X.P. Fabre, Ugo Foscolo
La “CADUTA NEL DESERTO (SPIAGGIA) DI SESTRI” di LUIGIA FERRARI PALLAVICINI (Varese Ligure 1771 – Genova 1841), sposa diciassettenne del marchese Domenico Pallavicini (morto nel 1805) [nel 1818 passata a seconde nozze col segretario del locale consolato francese Stefano Prier] sarebbe avvenuta tra la fine di giugno e l’inizio di luglio dell’anno 1799: una notizia dell’evento comparve nella “GALLERIA LIGURE” di Angelo Petracchi (citata dalla “Gazzetta ligure” del 14 dicembre 1799) e quindi nell’apologo del Ceroni intitolato “IL PAPPAGALLETTO” ed ancora menzionato dalla “Gazzetta”, numero dell’8 marzo 1800.
Tra leggenda e false attestazioni di completa guarigione è difficile sostenere l’esatta sequenza delle procedure editoriali: al Carrer, che parla di una Pallavici “riavutasi” (contrariamente poi alla realtà di una donna che si presentava velata in pubblico per nascondere i segni sul volto della ferita susseguente alla caduta), sembrano credibili solo per la parte letteraria, che cioè la composizione del Foscolo fosse, come è, di gran lunga la migliore (“Vita di Ugo Foscolo”, p.XXXI, in “Prose e Poesie edite ed inedite di Ugo Foscolo ordinate da Luigi Carrer e corredate della vita dell’Autore, Venezia, co’ tipi del Gondoliere, 1842). Più che un augurio per un COMPLETO RISTABILIMENTO DELLA BELLEZZA della donna, secondo noi si deve intendere l’OMAGGIO, dai testimoni interni redatto nel maggio del 1800, ma evidentemente pubblicato nella II metà di quell’anno, solo come una CONSOLAZIONE ed un AUSPICIO DI COMPLETA GUARIGIONE.


martedì 10 novembre 2015

Massena e l'assedio di Genova del 1800

Una lettera di Massena al Direttorio della Repubblica Ligure circa gli spostamenti delle truppe di Melas poco prima dell'assedio di Genova
MASSENA non fu in grado di risalire sin nella piana dello SCRIVIA e partecipare alla vittoriosa battaglia di MARENGO del 14 giugno 1800. 

Egli si trovò infatti praticamente bloccato in GENOVA ASSEDIATA da preponderanti forze nemiche. Gli imperiali eseguirono peraltro le operazioni belliche con ordine. Mentre da Recco era avanzato il generale Ott, con circa 10.000 soldati, allo scopo, riuscito, di cacciare i francesi dalle difese del torrente BISAGNO verso altri siti del Ponente ligure, il Melas con il grosso delle forze austriache, disposte su più colonne, procedette dal retroterra di Savona verso il mare e quindi prese a risalire verso Genova sempre sulla linea di costa. Per questa manovra le forze repubblicane vennero separate e in particolare restò esposta la divisione al comando del generale francese Suchet, che stava rientrando in territorio francese. 
   
MASSENA in effetti tentò di forzare quella sorta di blocco strategico, ma i suoi sforzi non approdarono a nulla nonostante le perdite consistenti (circa 5000 uomini, quasi un terzo di quanti egli direttamente comandava). Lasciata la divisione Suchet al suo destino, Massena non poté far altro che ripiegare su GENOVA e, approfittando delle sue fortificazioni, resistervi in attesa dell'arrivo di Napoleone o quantomeno della svolta nuova che questo avrebbe potuto dare alla guerra. 

Le FORTIFICAZIONI di cui Genova disponeva (ed alla cui difesa partecipava un giovane italiano che sarebbe diventato un grande della letteratura: UGO FOSCOLO) garantivano questo progetto, ma nello stesso tempo Massena, i suoi uomini e la stessa popolazione restarono prigionieri di quelle stesse difese, visto il grande spiegamento di forze nemiche operato dal Melas (circa 60.000 uomini) che crearono una sorta di invalicabile cordone intorno alla città fortificata...  anche il porto patì presto il blocco navale ad opera della flotta inglese, che peraltro avrebbe cannoneggiato sulla città. 

Genova, che mediamente contava su una popolazione di 85.000 persone, risentì di un notevole incremento demografico per il sopraggiungere dei profughi dei distretti sì che in breve tempo giunse a contare ben 120.000 residenti. A questi si dovettero poi aggiungere i 10.000 soldati di Massena che, tra l'altro, avevano diritto a priorità del vettovagliamento razionato dalla Commissione degli edili. I magazzini pubblici di derrate alimentari non erano peraltro particolarmente riforniti ... il principale nemico di GENOVA ASSEDIATA non fu costituito dell'armata nemica ma dalla CARESTIA. 

Per quanto non gli riuscì di impedire il bombardamento navale inglese, Massena ottenne di tenere lontani dalle muraglie e dalle colline di Albaro e della Madonna del Monte le forze nemiche e soprattutto le loro artiglierie. 

Massena onde porre un argine alla carestia fece allestire all'aperto delle cucine che rifornivano di zuppe di vegetali in particolare per chi non possedeva nemmeno un fornello. Molta gente, soprattutto gli sfollati delle Riviere, non disponeva neppure di un qualsiasi riparo e così si permise alla folla di ammassarsi nei porticati, sui sagrati delle chiese, lungo le "muragliette" che circondavano il porto. Per aiutare i poveri si pensò di stampigliare a loro vantaggio dei "buoni"... Anche i ricchi erano ormai in crisi e parecchi di loro dovettero adattarsi a ricercare il cibo dove fosse possibile, raccogliendo nei campi erbe commestibili o acquistando dai contadini a carissimo prezzo quei prodotti che in tempi recenti avrebbero invece considerato scarti degni solo di animali da allevamento. Ben presto, dai luoghi soliti della città assediata, svanirono cani e gatti, usati per l'alimentazione, ma la caccia si estese anche ad animali ben ripugnanti come ratti e topi: anche i pipistrelli "caddero vittime" dell'assedio e della conseguente carestia. La crusca, il miglio, lo stesso mangime degli uccelli gelosamente custoditi nelle voliere, e finalmente divorati, divennero una nuova forma di cibo: nelle case signorili i macinini d'argento soliti una volta a triturare le preziose spezie furono adibiti a rendere minute le granaglie che, qualche previdente, nell'ipotesi di un simile cataclisma, aveva messo da parte. 

La mortalità prese a dilagare: nell'ospedale di Pammatone i morti passarono dalla quota delle 197 unità nella settimana finale di marzo ai 590 della seconda settimana di luglio, quando l'assedio ebbe fine. Peraltro, quando giunsero i primi rifornimenti, si ebbe un fenomeno inverso: morirono di indigestione ben 1700 persone in quanto, anziché mangiare moderatamente per riadattare all'alimentazione ordinario un corpo emaciato con le interiora inaridite, si ingozzarono di cibo sì da pagarne conseguenze disastrose. 

E' difficile, vista la carenza dei documenti archivistici, calcolare con precisione il numero dei decessi: per esaltare la gravità dell'evento può in qualche modo contribuire il dato secondo cui lungo le rive del Bisagno vennero sepolti 9.850 cadaveri. 

Vista la latitanza dell'Armata di Riserva Massena si vide costretto a trattare ed accettare la resa. Le operazioni furono rapidissime e si svolsero ad un tavolo sistemato in una cappelletta sita in una cappelletta che al tempo esisteva circa a metà del ponte di Cornigliano. Vi "presero posto" il ministro Luigi Crovetto per la Repubblica Ligure, il generale Ott e l'ammiraglio inglese a rappresentanza delle forze alleate, lo stesso Massena che riservò a Genova e ai genovesi PAROLE DI ENCOMIO. Le condizioni furono favorevolissime e a Massena fu concesso quasi tutto quello che chiedeva. Non sapevano i francesi che tanta accondiscendenza dei vincitori dipendeva da notizie non ancora giunte a Genova, che cioé Napoleone si stava effettivamente avvicinando con l'Armata di Riserva e che Melas insisteva presso i suoi rappresentanti perché chiudessero al più presto la trattativa sì da poter disporre contro il Bonaparte di tutte le sue forze. 

Gli imperiali entrarono quindi a Genova pochi giorni dopo l'inizio delle trattative e cioè il 5 giugno 1800: le loro truppe marciarono sotto archi di trionfo innalzati dai conservatori sostenitaori degli austriaci. Non sarebbero trascorsi 20 giorni che, dopo la vittoria di Marengo, in un identico proscenio di vittoria sarebbero invece entrate nella capitale ligure le truppe francesi al seguito del generale Suchet...