In questa immagine "vintage" la Basilica di Superga, uno dei simboli di Torino |
Torino è entrata nella storia intorno al 27 a.C, con il nome di colonia Augusta Taurinorum , che, secondo le leggende che circondano sempre la nascita delle città, sorse sull'insediamento di Taurasia, mitica capitale dei Tauri, incendiata da Annibale nella lunga marcia di avvicinamento a Roma. La fondazione di Augusta Taurinorum rientrò nei piani romani di organizzazione amministrativa e logistica del Piemonte appena conquistato. La colonia, ai piedi dei principali valichi alpini e all'estremità occidentale della pianura Padana, doveva essere l'avamposto romano verso le Gallie e al centro delle principali vie di comunicazione dell'epoca verso il mondo transalpino. Alla città venne dato il tradizionale impianto ortogonale delle colonie romane, con isolati quadrati e una struttura muraria quasi quadrata.
Se nei primi secoli della sua storia Augusta Taurinorum prosperò nell'Italia pacificata da Roma, con la crisi dell'Impero la sua posizione strategica assunse maggiore importanza, causandole non pochi danni durante il conflitto tra Costantino e Massenzio e, alla caduta dell'Impero romano, al passaggio degli eserciti barbari. La crisi dell'Impero coincise con la cristianizzazione del territorio: il primo vescovo di Torino fu S. Massimo e la prima cattedrale, del IV secolo, sorse nei pressi dell'attuale Duomo ed al riguardo scavi recenti ne hanno portato in luce le fondamenta.
I secoli seguenti alla caduta dell'Impero furono durissimi per Torino e il suo territorio: primo centro urbano importante incontrato dai barbari nei loro spostamenti, la città fu più volte devastata. L'arrivo dei Longobardi portò relativa quiete: Torino fu capitale di uno dei quattro ducati dell'odierno Piemonte e visse un paio di secoli di sufficiente quiete. Poi l'inevitabile scontro tra Longobardi e Franchi ebbe in Torino uno dei suoi terreni di battaglia. Dopo la sconfitta dei Longobardi e l'ascesa dei Franchi la città divenne sede giudiziaria. In quel periodo la vita cittadina fu dominata dai monasteri e dalle figure carismatiche dei suoi vescovi, tra i quali Claudio, coinvolto anche in spedizioni contro le incursioni saracene che pochi anni dopo, nel X secolo, avrebbero decretato la rovina della potentissima Abbazia di Novalesa, in val di Susa.
Il X secolo determinò anche una delle trasformazioni più importanti del territorio piemontese e Torino divenne il centro principale della marca ceduta da re Berengario II ai conti di Auriate e comprendente la val di Lanzo, l'Astigiano e la costa compresa tra Finale Ligure e l'odierno Principato di Monaco. L'avvento al marchesato di Adelaide spostò gli interessi della famiglia verso la valle di Susa, facendo proprio di Susa il centro più importante del suo territorio. E lo spostamento degli interessi fu sottolineato dal matrimonio di Adelaide con Oddone di Moriana, appartenente alla dinastia che governava l'altro lato del Moncenisio e che avrebbe poi dato vita ai Savoia.
Mentre i Savoia rafforzavano il loro dominio nei territori tra Francia e Italia, Torino viveva l'ultima stagione di libero Comune raccolto intorno al suo vescovo, massima autorità cittadina, essendo Imperatore e marchesi entità piuttosto lontane. Nei conflitti tra Impero e Papato, che videro coinvolti Federico il Barbarossa e gli Ottoni, Torino si schierò via via con chi le garantiva l'indipendenza dal minaccioso potere dei Savoia e si trovò a subire l'egemonia della più ricca Asti. L'avvento degli Angiò e di Guglielmo VII del Monferrato non impedirono, nel 1280, il temuto passaggio della città ai Savoia: era la fine del libero Comune di Torino. L'annessione della città al territorio sabaudo non mutò per lungo tempo il clima politico torinese: le lotte tra i guelfi (filosabaudi) e i ghibellini (filomonferrini e astigiani) continuarono, determinando, con sconfitte e vittorie, le ascese sociali.
Il potere si manifestava attraverso i principi di Acaia, feudatari piemontesi, e il ramo principale della famiglia, quello dei conti di Savoia, ormai potenti sui due versanti delle Alpi. Il confitto tra i due rami raggiunse il culmine nel XIV secolo. Poi, nel 1418, gli Acaia furono costretti a cedere anche il controllo formale del loro territorio ai potenti cugini Savoia. Per la città non ci fu alcun cambiamento traumatico: da 50 anni infatti gli Acaia non avevano più indipendenza politica.
L'avvento dei Savoia coincise, nel Quattrocento, con la trasformazione di Torino da piccola città, al centro di uno dei più importanti crocevia dell'Italia occidentale, in città di dimensione regionale. Nel 1404 i Savoia fondarono l'Università e nel corso del secolo trasformarono la città nel polo amministrativo ed economico dei loro domini italiani. Alla fine del secolo Torino contava 10.000 abitanti, che vivevano in una delle principali città di un ducato in difficile equilibrio tra i due versanti delle Alpi.
Il fatto che i sudditi dei due versanti alpini non parlassero la stessa lingua non facilitò le cose ai Savoia, costretti, di fatto, a una bipartizione nell'organizzazione interna. Chambery, capitale del ducato dei Savoia, e Torino, rivaleggiarono per molto tempo, con quest'ultima che a poco a poco, si trasformò nel vero centro di potere sabaudo, concentrando mano a mano le varie funzioni di capitale dapprima esercitate esclusivamente da Chambery.
Durante il regno di Carlo II, padre di Emanuele Filiberto, Torino diventò, almeno informalmente, la capitale del ducato sabaudo: l'apparato amministrativo e giudiziario torinese avevano dimensioni molto più importanti di quello attivo nella capitale, i duchi, appena saliti al trono entravano a Torino e non a Chambery. Anche per numero di abitanti Torino superava Chambery. La scelta di Emanuele Filiberto di portare la capitale a Torino, nel 1563, dopo il trattato di Chateau-Chambresis, che gli ridava il possesso dei suoi domini, al termine della lunga guerra tra Francia e Spagna, aveva quindi radici antiche. Torino, al di qua delle Alpi, era meno esposta di Chambery agli attacchi della Francia, e rispondeva meglio all'intenzione di Emanuele Filiberto di spostare verso l'Italia gli interessi della dinastia.
Diventata capitale di uno dei più ambiziosi stati assoluti italiani, Torino fu radicalmente trasformata nel giro di pochi anni, per meglio rispondere alle esigenze dei Savoia. Emanuele Filiberto, principe guerriero e vincitore della battaglia di S. Quintino in nome degli alleati spagnoli, dotò immediatamente la sua capitale di una modernissima cittadella, realizzata nel giro di due anni, dal 1564 al 1566 su progetto di Francesco Paciotto. All'inizio degli anni '70 Torino appariva chiusa nel suo antico tracciato romano e protetta dalla formidabile Cittadella, una delle più ammirate dell'Europa del tempo. Emanuele Filiberto impose anche il trasferimento della sede del potere ducale: se negli anni precedenti era sempre stato l'attuale Palazzo Madama la sede dei duchi o di chi per loro esercitava il potere, con lui la corte si trasferì nel Palazzo del Vescovo, che doveva ospitarla solo temporaneamente e che invece fu col tempo trasformato nell'attuale Palazzo Reale.
Se Emanuele Filiberto pose le fondamenta di Torino capitale, fu suo figlio Carlo Emanuele I a dare il via alle trasformazioni urbanistiche: sotto il suo regno fu infatti realizzato il primo ampiamento cittadino, verso sud, con la costruzione dell'attuale via Roma, che conduceva da piazza Castello alla Porta Nuova. Il periodo di pace, dal 1601 al 1613, permise a Carlo Emanuele di trasformare anche il cuore della città, diventato il luogo del potere assolutistico-dinastico, con l'abbellimento del Palazzo Reale e la costruzione della nuova Galleria.
Il volto di Torino era dunque quello di una città in pieno fervore costruttivo, ma assolutamente controllata dal suo duca: chiunque volesse costruire nel nuovo ampliamento doveva obbedire alle indicazioni fornite da Carlo di Castellamonte, architetto di corte e autore delle splendide facciate di piazza S. Carlo. Nel nuovo ampliamento, a sottolineare la volontà razionalizzatrice del duca, era stato mantenuto l'antico impianto ortogonale romano. Ma l'ansia costruttiva di Carlo Emanuele si manifestò anche nel territorio, con la realizzazione delle prime deliciae, la splendida Mirafiori e Regio Parco.
Lo sviluppo di Torino conobbe una brusca frenata nel 1630, con la terribile peste che decimò gli abitanti. I regni dei successori di Carlo Emanuele furono deboli, funestati dalle morti precoci dei duchi e caratterizzati dalle reggenze delle Madame Reali, Cristina di Francia prima e Giovanna Battista di Savoia-Nemours poi. Cristina si appoggiò costantemente alla Francia per garantirsi la legittimità della Reggenza, contestata dai potenti cognati Maurizio e Tommaso di Savoia; il risultato del conflitto fu una larvata occupazione dell'esercito francese della città e le interferenze di Francia, accanto alla Madama Reale, e Spagna, accanto ai due fratelli Savoia, nella vita politica del ducato.
Il clima si rasserenò con l'ascesa al trono di Carlo Emanuele II nel 1663 e con la successiva reggenza di sua moglie Giovanna Battista di Savoia-Nempurs. In questi anni fu stabilito il secondo ampliamento cittadino, verso il Po, con la realizzazione dell'odierna via Po, unica via inclinata della perfetta scacchiera romana che continuava a caratterizzare l'urbanistica torinese. Sono di questo periodo altre splendide realizzazioni architettoniche. Nel 1659 iniziarono i lavori della Venaria Reale che, si disse, causò l'invidia dei Francesi, sempre pronti a distruggerla nelle guerre successive. Alla realizzazione della Reggia, nuova delicia extra-moenia, e degli arredi del Palazzo Ducale parteciparono numerosissimi artisti.
Di lì a poco, nel 1666, sarebbe arrivato in città Guarino Guarini, l'architetto che con Filippo Juvarra avrebbe caratterizzato il centro cittadino. La prima opera firmata dal Guarini è la Cappella della Sindone, negli anni seguenti avrebbe realizzato il Collegio dei Nobili (attuale sede del Museo Egizio), il Palazzo dei Savoia-Carignano (sede del primo Parlamento italiano) e la chiesa di S. Lorenzo con la sua splendida cupola.
Nel 1684 salì al trono Vittorio Amedeo II. La crisi economica e l'incertezza politica, dovuta ai conflitti sempre latenti tra Francia e Spagna, caratterizzarono i primi anni del suo regno. Tra il 1701 e il 1714 la guerra di successione spagnola mise a dura prova Torino, che si trovò a lungo assediata dai Francesi (fu in occasione di questo assedio che il duca promise alla Vergine la costruzione di una basilica sul colle di Superga se avesse liberato la città). L'assedio si protrasse dal 1705 al 1706 e fu tolto grazie all'intervento congiunto di Vittorio Amedeo e del cugino Eugenio di Savoia-Soissons, uno più brillanti generali del Settecento. Alle ultime fasi dell'assedio appartiene anche l'eroico gesto di Pietro Micca, che perse consapevolmente la vita per tagliare le strade della Torino sotterranea ai Francesi.
Il Trattato di Utrecht, nel 1713, trasformò il Ducato in Regno e assegnò ai nuovi re anche il dominio della Sicilia, pochi mesi dopo sostituita con la Sardegna: nasceva così quel Regno di Sardegna che tanta parte avrebbe avuto nella storia d'Italia. La capitale del nuovo Regno fu trasformata dal nuovo ambizioso re sotto la sapiente regia di Filippo Juvarra, uno dei maestri del Barocco italiano. L'architetto siciliano firmò alcuni dei capolavori dell'architettura torinese: la nuova facciata di Palazzo Madama, i Quartieri Militari, la Basilica di Superga, voluta dal Re per rispettare il voto fatto alla Vergine, le chiese di S. Filippo Neri e del Carmine, la splendida palazzina di caccia di Stupinigi, insuperato capolavoro del Barocco europeo.
Vittorio Amedeo II e i suoi successori misero mano a una serie di riforme in senso assolutistico che dovevano esautorare i poteri delle autorità cittadine e che furono accolte con grande resistenza dalla città.
L'avventura di Napoleone Bonaparte in Italia lasciò sul trono Vittorio Amedeo III, ma, all'ascesa di Carlo Emanuele IV, debole e inetto, portò all'annessione dei territori sabaudi alla Francia. Nel 1799 l'intervento della coalizione austro-russa cacciò provvisoriamente i Francesi, ma, nel 1800, dopo la vittoria di Marengo, le truppe napoleoniche rientrarono a Torino per rimanervi 14 anni. La città fu spogliata della sua cinta muraria e i beni ecclesiastici furono incamerati dallo Stato. La trasformazione urbanistica imposta dai Francesi comportò l'abbattimento dell'antica galleria che, in piazza Castello, univa il Palazzo delle Segreterie a Palazzo Madama.
Nel 1802 il Piemonte fu annesso alla Francia e Torino divenne una delle 25 principali città della Repubblica francese. L'anessione comportò l'adozione dell'organizzazione politico-amministrativa francese e il riordino delle finanze pubbliche.
Il Congresso di Vienna restituì Torino e il Piemonte ai Savoia e con il ritorno di Vittorio Emanuele I la città ritrovò il suo status di capitale. Per salutare la Restaurazione e l'antico regime il re fece costruire la chiesa della Gran Madre di Dio, sull'altro lato del Po, di fronte all'odierna piazza Vittorio Veneto. Ma l'ancien regime non poteva essere più quello di prima: le inquietudini romantiche, le aspirazioni all'unità d'Italia, i movimenti carbonari e poi mazziniani erano i primi segni del Risorgimento.
E alla morte di Carlo Felice, con l'estinzione del ramo principale dei Savoia, il trono passò al ramo cadetto dei Savoia-Carignano: divenne re Carlo Alberto, che in gioventù aveva acceso le speranze di patroti e liberali. Negli anni '30 il re si dedicò allo svecchiamento dello Stato: la sua azione riformatrice si muoveva però nel solco della tradizione. Nel 1848 concesse la libertà di culto ai valdesi e, finalmente, lo Statuto. Ma il 1848 fu soprattutto l'anno in cui la dinastia sabauda si pose alla testa del movimento unitario italiano: Carlo Alberto, spinto dall'entusiasmo popolare e per controbilanciare le aspirazioni repubblicane presenti in settori influenti dei patrioti, dichiarò guerra all'Austria. La sconfitta di Novara, nel 1849, pose fine al suo regno.
Salì al trono il figlio, Vittorio Emanuele II, e con lui iniziò la stagione risorgimentale. Il suo primo ministro, Camillo Benso di Cavour, grazie a un'astuta tela di rapporti diplomatici seppe avvicinare la Francia alla causa italiana, contro l'Austria asburgica. Torino divenne il faro e il porto di tutti gli esuli e i liberali italiani, che anteposero alla causa repubblicana quella dell'unità d'Italia, da ottenere con la collaborazione del Re di Sardegna. La Seconda Guerra d'Indipendenza, e la Spedizione dei Mille permisero, nel 1861, di inaugurare a Torino il primo Parlamento italiano: vi sedevano gli eroi dell'Unità d'Italia, da Giuseppe Garibaldi a Giuseppe Mazzini, da Alessandro Manzoni a Giuseppe Verdi. Torino, ornata a festa, accolse le genti di ogni parte d'Italia, accorse a celebrare la conquistata unità.
Nel 1864, in vista del definitivo trasferimento a Roma, la capitale del Regno d'Italia fu portata da Torino a Firenze. La notizia non fu accolta bene dai torinesi, che si riversarono per le strade dando vita a giorni di disordini. Dopo quattro secoli Torino perdeva il suo status di capitale dei Savoia ed era costretta a cercarsi una nuova identità. Il trasferimento della corte e di tutto l'apparato amministrativo aveva provocato una depressione dell'economia locale.
Nel 1884 l'Esposizione Generale, al Valentino, costituì l'occasione per far risvegliare la città dal torpore in cui era caduta: fu costruito il Borgo Medioevale e fu risistemato il Parco del Valentino. Nel 1897, in seguito alla grave crisi economico-finanziaria dei governi Crispi, entrarono nel Consiglio comunale torinese i socialisti. Fu una novità importante: il Comune ebbe una parte di primo piano nella trasformazione dell'ex capitale in città industriale. L'amministrazione locale di quegli anni fu impegnata nel miglioramento dei collegamenti ferroviari, dell'istruzione, dell'assistenza sociale. In quegli anni nasceva anche l'industria automobilistica: la FIAT sorgeva sulla tradizione del piccolo artigianato piemontese, ma con forti spinte innovative, grazie alle intuizioni di Giovanni Agnelli. Accanto alla FIAT nacquero anche la Lancia e l'Itala. La municipalizzazione dei trasporti urbani e la statalizzazione delle ferrovie contribuirono alla nascita di un'industria meccanica torinese.
Torino divenne, al tramonto del secolo, il primo centro italiano in cui si sviluppò la nuova arte: il cinema. Qui furono infatti prodotti i primi film italiani e, nei primi vent'anni del Novecento, il cinema fu una risorsa di grande importanza. Il cinema a Torino coincise infatti con il primo divismo (tra le star lanciate Lydia De Robertis, Maria Jacobini, Lydia Quaranta; tra i film prodotti quelli tratti da Gabriele D'Annunzio) e i primi film di grande successo nazionale e internazionale.
La nuova città industriale attraeva popolazione dalle campagne e, nei primi anni del secolo cresceva al ritmo di 9.000 persone l'anno. Vennero realizzati quartieri operai, fu estesa la rete viaria, furono avviati corsi di formazione professionale. La prima guerra mondiale sorprese una Torino in pieno sviluppo e causò prima una depressione e quindi una ripresa economica. Ma gli unici settori che trovarono reale vantaggio alla fine della guerra furono il siderurgico e l'automobilistico. Gli anni che portarono al fascismo furono anche per Torino anni di crisi sociali: le agitazioni operaie erano seguite dalle repressioni. Nel 1919 furono fondati i Fasci torinesi, nel 1922 fu bruciata la sede di Ordine Nuovo la rivista diretta da Antonio Gramsci; poco dopo Mussolini prendeva il potere e a Torino, a dicembre del 1922, ci fu un ulteriore violento scontro tra fascisti e operai, che terminò con una caccia all'uomo nei quartieri di Nizza e S. Paolo.
Durante il fascismo Torino continuò la sua espansione industriale e accolse immigrati veneti e meridionali. La politica coloniale del regime favorì lo sviluppo della FIAT, che seppe così superare la depressione causata dal crollo di Wall Street. Nacquero, in questi anni, la moda, dalla tradizione delle "sartine" torinesi, e, soprattutto, la radio italiana, che da Torino trasmetteva i suoi programmi. Allo scoppio della seconda guerra mondiale l'industria torinese si convertì in industria bellica e scoprì il lavoro femminile. I bombardamenti del 1942 causarono una drastica riduzione della produzione; la riduzione del potere d'acquisto degli operai causò, nel 1943, una rivolta. A settembre dello stesso anno ci fu l'occupazione tedesca. La crisi del regime e l'occupazione nazista spinsero molti giovani verso le montagne, per la Resistenza. Il 18 aprile 1945 un grande sciopero paralizzò la città, il 26 aprile i partigiani iniziarono la liberazione di Torino, conclusasi il 30. Il 3 maggio gli Alleati entravano in una città già liberata.
I primi anni del dopoguerra furono drammatici: patrimonio edilizio e fabbriche erano duramente danneggiati. Il Comune divenne costruttore realizzando, primo in Italia, nuove case popolari. La FIAT divenne un vero e proprio centro di potere con cui la città fu costretta a confrontarsi sin dai primi anni '50: la presenza del gigante dell'automobile aveva su Torino grandi ricadute di reddito e ricchezza, ma determinò anche conflitti che solo negli anni seguenti avrebbero trovato soluzione. Negli anni '50, grazie al potente richiamo della FIAT si verificò una nuova ondata di immigrazione, sia dalle altre regioni settentrionali (soprattutto Veneto) che dal Meridione.
La presenza degli immigrati meridionali determinò una serie di drammatici problemi, dall'abitazione ai servizi, a cui Torino era impreparata. Nel giro di un decennio Torino si trovò ad essere la terza città italiana meridionale, subito dopo Napoli e Palermo; l'arrivo disordinato e incontrollato dei nuovi residenti causò a lungo conflitti di mentalità e cultura, che la città ha superato nei decenni successivi, solo con grande difficoltà.
Nel 1961, anno del centenario dell'unità, Torino era una città irriconoscibile. L'antica capitale dei Savoia superava il milione di abitanti, era uno dei maggiori poli d'attrazione industriale d'Italia ed era una vera metropoli economica. Gli anni '60 non sarebbero però stati facili. Al boom economico seguirono infatti tensioni sociali che sfociarono nele proteste sessantottine e nell'autunno caldo degli operai.
All'inizio degli anni '70 i sindacati, che avevano ottenuto dopo l'autunno caldo importanti vittorie contrattuali, si trovavano ad avere posizioni di grande forza nelle fabbriche: nel 1972 l'occupazione di Mirafiori spinse la Confindustria ad accettare le richieste dei sindacati. Nel 1975 salì per la prima volta al potere una Giunta di sinistra, contemporaneamente la crisi petrolifera costrinse la FIAT alle prime cassa integrazioni. Gli anni di piombo costarono a Torino numerose vittime, tra queste, oltre a dirigenti e operai FIAT, Carlo Casalegno, vicedirettore de La Stampa. La crisi economica degli anni '70 ebbe il punto di svolta con la marcia dei 40.000 che chiedeva a gran voce la riapertura dei cancelli di Mirafiori, paralizzati da 35 giorni di sciopero.
Gli anni '80 e '90, in cui si sono avvicendate giunte di sinistra, pentapartitiche e di centro-sinistra, sono stati anni di pacificazione sociale: ai conflitti degli anni '70 ha fatto seguito la ripresa della FIAT, arrivata negli anni '80 a utili record grazie anche al lancio di nuovi modelli. Il volto di Torino è ulteriormente cambiato: i processi di ristrutturazione industriale hanno ridimensionato l'impiego nelle industrie a favore del terziario. Le dimensioni delle imprese sono diminuite, la ricerca, i servizi alle imprese, la finanza e la cultura sono i settori in cui Torino sta cercando nuove opportunità di crescita. La popolazione è diminuita: il censimento del 1991 segnala che i torinesi sono oggi meno di un milione.
Tra i nuovi torinesi figurano, nei primi anni del nuovo millennio, decine di migliaia di immigrati provenienti dall'estero, soprattutto Marocco, Senegal, Nigeria, Albania. La loro presenza ha sconvolto la società pacificata degli anni '80 e ha cambiato il volto di interi quartieri come S. Salvario e Porta Palazzo. La sfida di Torino, impegnata a diventare polo d'attrazione culturale, turistico e del terziario, è l'integrazione dei suoi nuovi abitanti, diversi per lingua e religione, ma probabilmente nuova fonte di ricchezza e di scambio. Ed è una sfida che l'antica colonia romana, crocevia di strade e di persone, intende vincere in questo suo terzo millennio di storia.
Se nei primi secoli della sua storia Augusta Taurinorum prosperò nell'Italia pacificata da Roma, con la crisi dell'Impero la sua posizione strategica assunse maggiore importanza, causandole non pochi danni durante il conflitto tra Costantino e Massenzio e, alla caduta dell'Impero romano, al passaggio degli eserciti barbari. La crisi dell'Impero coincise con la cristianizzazione del territorio: il primo vescovo di Torino fu S. Massimo e la prima cattedrale, del IV secolo, sorse nei pressi dell'attuale Duomo ed al riguardo scavi recenti ne hanno portato in luce le fondamenta.
I secoli seguenti alla caduta dell'Impero furono durissimi per Torino e il suo territorio: primo centro urbano importante incontrato dai barbari nei loro spostamenti, la città fu più volte devastata. L'arrivo dei Longobardi portò relativa quiete: Torino fu capitale di uno dei quattro ducati dell'odierno Piemonte e visse un paio di secoli di sufficiente quiete. Poi l'inevitabile scontro tra Longobardi e Franchi ebbe in Torino uno dei suoi terreni di battaglia. Dopo la sconfitta dei Longobardi e l'ascesa dei Franchi la città divenne sede giudiziaria. In quel periodo la vita cittadina fu dominata dai monasteri e dalle figure carismatiche dei suoi vescovi, tra i quali Claudio, coinvolto anche in spedizioni contro le incursioni saracene che pochi anni dopo, nel X secolo, avrebbero decretato la rovina della potentissima Abbazia di Novalesa, in val di Susa.
Il X secolo determinò anche una delle trasformazioni più importanti del territorio piemontese e Torino divenne il centro principale della marca ceduta da re Berengario II ai conti di Auriate e comprendente la val di Lanzo, l'Astigiano e la costa compresa tra Finale Ligure e l'odierno Principato di Monaco. L'avvento al marchesato di Adelaide spostò gli interessi della famiglia verso la valle di Susa, facendo proprio di Susa il centro più importante del suo territorio. E lo spostamento degli interessi fu sottolineato dal matrimonio di Adelaide con Oddone di Moriana, appartenente alla dinastia che governava l'altro lato del Moncenisio e che avrebbe poi dato vita ai Savoia.
Mentre i Savoia rafforzavano il loro dominio nei territori tra Francia e Italia, Torino viveva l'ultima stagione di libero Comune raccolto intorno al suo vescovo, massima autorità cittadina, essendo Imperatore e marchesi entità piuttosto lontane. Nei conflitti tra Impero e Papato, che videro coinvolti Federico il Barbarossa e gli Ottoni, Torino si schierò via via con chi le garantiva l'indipendenza dal minaccioso potere dei Savoia e si trovò a subire l'egemonia della più ricca Asti. L'avvento degli Angiò e di Guglielmo VII del Monferrato non impedirono, nel 1280, il temuto passaggio della città ai Savoia: era la fine del libero Comune di Torino. L'annessione della città al territorio sabaudo non mutò per lungo tempo il clima politico torinese: le lotte tra i guelfi (filosabaudi) e i ghibellini (filomonferrini e astigiani) continuarono, determinando, con sconfitte e vittorie, le ascese sociali.
Il potere si manifestava attraverso i principi di Acaia, feudatari piemontesi, e il ramo principale della famiglia, quello dei conti di Savoia, ormai potenti sui due versanti delle Alpi. Il confitto tra i due rami raggiunse il culmine nel XIV secolo. Poi, nel 1418, gli Acaia furono costretti a cedere anche il controllo formale del loro territorio ai potenti cugini Savoia. Per la città non ci fu alcun cambiamento traumatico: da 50 anni infatti gli Acaia non avevano più indipendenza politica.
L'avvento dei Savoia coincise, nel Quattrocento, con la trasformazione di Torino da piccola città, al centro di uno dei più importanti crocevia dell'Italia occidentale, in città di dimensione regionale. Nel 1404 i Savoia fondarono l'Università e nel corso del secolo trasformarono la città nel polo amministrativo ed economico dei loro domini italiani. Alla fine del secolo Torino contava 10.000 abitanti, che vivevano in una delle principali città di un ducato in difficile equilibrio tra i due versanti delle Alpi.
Il fatto che i sudditi dei due versanti alpini non parlassero la stessa lingua non facilitò le cose ai Savoia, costretti, di fatto, a una bipartizione nell'organizzazione interna. Chambery, capitale del ducato dei Savoia, e Torino, rivaleggiarono per molto tempo, con quest'ultima che a poco a poco, si trasformò nel vero centro di potere sabaudo, concentrando mano a mano le varie funzioni di capitale dapprima esercitate esclusivamente da Chambery.
Durante il regno di Carlo II, padre di Emanuele Filiberto, Torino diventò, almeno informalmente, la capitale del ducato sabaudo: l'apparato amministrativo e giudiziario torinese avevano dimensioni molto più importanti di quello attivo nella capitale, i duchi, appena saliti al trono entravano a Torino e non a Chambery. Anche per numero di abitanti Torino superava Chambery. La scelta di Emanuele Filiberto di portare la capitale a Torino, nel 1563, dopo il trattato di Chateau-Chambresis, che gli ridava il possesso dei suoi domini, al termine della lunga guerra tra Francia e Spagna, aveva quindi radici antiche. Torino, al di qua delle Alpi, era meno esposta di Chambery agli attacchi della Francia, e rispondeva meglio all'intenzione di Emanuele Filiberto di spostare verso l'Italia gli interessi della dinastia.
Diventata capitale di uno dei più ambiziosi stati assoluti italiani, Torino fu radicalmente trasformata nel giro di pochi anni, per meglio rispondere alle esigenze dei Savoia. Emanuele Filiberto, principe guerriero e vincitore della battaglia di S. Quintino in nome degli alleati spagnoli, dotò immediatamente la sua capitale di una modernissima cittadella, realizzata nel giro di due anni, dal 1564 al 1566 su progetto di Francesco Paciotto. All'inizio degli anni '70 Torino appariva chiusa nel suo antico tracciato romano e protetta dalla formidabile Cittadella, una delle più ammirate dell'Europa del tempo. Emanuele Filiberto impose anche il trasferimento della sede del potere ducale: se negli anni precedenti era sempre stato l'attuale Palazzo Madama la sede dei duchi o di chi per loro esercitava il potere, con lui la corte si trasferì nel Palazzo del Vescovo, che doveva ospitarla solo temporaneamente e che invece fu col tempo trasformato nell'attuale Palazzo Reale.
Se Emanuele Filiberto pose le fondamenta di Torino capitale, fu suo figlio Carlo Emanuele I a dare il via alle trasformazioni urbanistiche: sotto il suo regno fu infatti realizzato il primo ampiamento cittadino, verso sud, con la costruzione dell'attuale via Roma, che conduceva da piazza Castello alla Porta Nuova. Il periodo di pace, dal 1601 al 1613, permise a Carlo Emanuele di trasformare anche il cuore della città, diventato il luogo del potere assolutistico-dinastico, con l'abbellimento del Palazzo Reale e la costruzione della nuova Galleria.
Il volto di Torino era dunque quello di una città in pieno fervore costruttivo, ma assolutamente controllata dal suo duca: chiunque volesse costruire nel nuovo ampliamento doveva obbedire alle indicazioni fornite da Carlo di Castellamonte, architetto di corte e autore delle splendide facciate di piazza S. Carlo. Nel nuovo ampliamento, a sottolineare la volontà razionalizzatrice del duca, era stato mantenuto l'antico impianto ortogonale romano. Ma l'ansia costruttiva di Carlo Emanuele si manifestò anche nel territorio, con la realizzazione delle prime deliciae, la splendida Mirafiori e Regio Parco.
Lo sviluppo di Torino conobbe una brusca frenata nel 1630, con la terribile peste che decimò gli abitanti. I regni dei successori di Carlo Emanuele furono deboli, funestati dalle morti precoci dei duchi e caratterizzati dalle reggenze delle Madame Reali, Cristina di Francia prima e Giovanna Battista di Savoia-Nemours poi. Cristina si appoggiò costantemente alla Francia per garantirsi la legittimità della Reggenza, contestata dai potenti cognati Maurizio e Tommaso di Savoia; il risultato del conflitto fu una larvata occupazione dell'esercito francese della città e le interferenze di Francia, accanto alla Madama Reale, e Spagna, accanto ai due fratelli Savoia, nella vita politica del ducato.
Il clima si rasserenò con l'ascesa al trono di Carlo Emanuele II nel 1663 e con la successiva reggenza di sua moglie Giovanna Battista di Savoia-Nempurs. In questi anni fu stabilito il secondo ampliamento cittadino, verso il Po, con la realizzazione dell'odierna via Po, unica via inclinata della perfetta scacchiera romana che continuava a caratterizzare l'urbanistica torinese. Sono di questo periodo altre splendide realizzazioni architettoniche. Nel 1659 iniziarono i lavori della Venaria Reale che, si disse, causò l'invidia dei Francesi, sempre pronti a distruggerla nelle guerre successive. Alla realizzazione della Reggia, nuova delicia extra-moenia, e degli arredi del Palazzo Ducale parteciparono numerosissimi artisti.
Di lì a poco, nel 1666, sarebbe arrivato in città Guarino Guarini, l'architetto che con Filippo Juvarra avrebbe caratterizzato il centro cittadino. La prima opera firmata dal Guarini è la Cappella della Sindone, negli anni seguenti avrebbe realizzato il Collegio dei Nobili (attuale sede del Museo Egizio), il Palazzo dei Savoia-Carignano (sede del primo Parlamento italiano) e la chiesa di S. Lorenzo con la sua splendida cupola.
Nel 1684 salì al trono Vittorio Amedeo II. La crisi economica e l'incertezza politica, dovuta ai conflitti sempre latenti tra Francia e Spagna, caratterizzarono i primi anni del suo regno. Tra il 1701 e il 1714 la guerra di successione spagnola mise a dura prova Torino, che si trovò a lungo assediata dai Francesi (fu in occasione di questo assedio che il duca promise alla Vergine la costruzione di una basilica sul colle di Superga se avesse liberato la città). L'assedio si protrasse dal 1705 al 1706 e fu tolto grazie all'intervento congiunto di Vittorio Amedeo e del cugino Eugenio di Savoia-Soissons, uno più brillanti generali del Settecento. Alle ultime fasi dell'assedio appartiene anche l'eroico gesto di Pietro Micca, che perse consapevolmente la vita per tagliare le strade della Torino sotterranea ai Francesi.
Il Trattato di Utrecht, nel 1713, trasformò il Ducato in Regno e assegnò ai nuovi re anche il dominio della Sicilia, pochi mesi dopo sostituita con la Sardegna: nasceva così quel Regno di Sardegna che tanta parte avrebbe avuto nella storia d'Italia. La capitale del nuovo Regno fu trasformata dal nuovo ambizioso re sotto la sapiente regia di Filippo Juvarra, uno dei maestri del Barocco italiano. L'architetto siciliano firmò alcuni dei capolavori dell'architettura torinese: la nuova facciata di Palazzo Madama, i Quartieri Militari, la Basilica di Superga, voluta dal Re per rispettare il voto fatto alla Vergine, le chiese di S. Filippo Neri e del Carmine, la splendida palazzina di caccia di Stupinigi, insuperato capolavoro del Barocco europeo.
Vittorio Amedeo II e i suoi successori misero mano a una serie di riforme in senso assolutistico che dovevano esautorare i poteri delle autorità cittadine e che furono accolte con grande resistenza dalla città.
L'avventura di Napoleone Bonaparte in Italia lasciò sul trono Vittorio Amedeo III, ma, all'ascesa di Carlo Emanuele IV, debole e inetto, portò all'annessione dei territori sabaudi alla Francia. Nel 1799 l'intervento della coalizione austro-russa cacciò provvisoriamente i Francesi, ma, nel 1800, dopo la vittoria di Marengo, le truppe napoleoniche rientrarono a Torino per rimanervi 14 anni. La città fu spogliata della sua cinta muraria e i beni ecclesiastici furono incamerati dallo Stato. La trasformazione urbanistica imposta dai Francesi comportò l'abbattimento dell'antica galleria che, in piazza Castello, univa il Palazzo delle Segreterie a Palazzo Madama.
Nel 1802 il Piemonte fu annesso alla Francia e Torino divenne una delle 25 principali città della Repubblica francese. L'anessione comportò l'adozione dell'organizzazione politico-amministrativa francese e il riordino delle finanze pubbliche.
Il Congresso di Vienna restituì Torino e il Piemonte ai Savoia e con il ritorno di Vittorio Emanuele I la città ritrovò il suo status di capitale. Per salutare la Restaurazione e l'antico regime il re fece costruire la chiesa della Gran Madre di Dio, sull'altro lato del Po, di fronte all'odierna piazza Vittorio Veneto. Ma l'ancien regime non poteva essere più quello di prima: le inquietudini romantiche, le aspirazioni all'unità d'Italia, i movimenti carbonari e poi mazziniani erano i primi segni del Risorgimento.
E alla morte di Carlo Felice, con l'estinzione del ramo principale dei Savoia, il trono passò al ramo cadetto dei Savoia-Carignano: divenne re Carlo Alberto, che in gioventù aveva acceso le speranze di patroti e liberali. Negli anni '30 il re si dedicò allo svecchiamento dello Stato: la sua azione riformatrice si muoveva però nel solco della tradizione. Nel 1848 concesse la libertà di culto ai valdesi e, finalmente, lo Statuto. Ma il 1848 fu soprattutto l'anno in cui la dinastia sabauda si pose alla testa del movimento unitario italiano: Carlo Alberto, spinto dall'entusiasmo popolare e per controbilanciare le aspirazioni repubblicane presenti in settori influenti dei patrioti, dichiarò guerra all'Austria. La sconfitta di Novara, nel 1849, pose fine al suo regno.
Salì al trono il figlio, Vittorio Emanuele II, e con lui iniziò la stagione risorgimentale. Il suo primo ministro, Camillo Benso di Cavour, grazie a un'astuta tela di rapporti diplomatici seppe avvicinare la Francia alla causa italiana, contro l'Austria asburgica. Torino divenne il faro e il porto di tutti gli esuli e i liberali italiani, che anteposero alla causa repubblicana quella dell'unità d'Italia, da ottenere con la collaborazione del Re di Sardegna. La Seconda Guerra d'Indipendenza, e la Spedizione dei Mille permisero, nel 1861, di inaugurare a Torino il primo Parlamento italiano: vi sedevano gli eroi dell'Unità d'Italia, da Giuseppe Garibaldi a Giuseppe Mazzini, da Alessandro Manzoni a Giuseppe Verdi. Torino, ornata a festa, accolse le genti di ogni parte d'Italia, accorse a celebrare la conquistata unità.
Nel 1864, in vista del definitivo trasferimento a Roma, la capitale del Regno d'Italia fu portata da Torino a Firenze. La notizia non fu accolta bene dai torinesi, che si riversarono per le strade dando vita a giorni di disordini. Dopo quattro secoli Torino perdeva il suo status di capitale dei Savoia ed era costretta a cercarsi una nuova identità. Il trasferimento della corte e di tutto l'apparato amministrativo aveva provocato una depressione dell'economia locale.
Nel 1884 l'Esposizione Generale, al Valentino, costituì l'occasione per far risvegliare la città dal torpore in cui era caduta: fu costruito il Borgo Medioevale e fu risistemato il Parco del Valentino. Nel 1897, in seguito alla grave crisi economico-finanziaria dei governi Crispi, entrarono nel Consiglio comunale torinese i socialisti. Fu una novità importante: il Comune ebbe una parte di primo piano nella trasformazione dell'ex capitale in città industriale. L'amministrazione locale di quegli anni fu impegnata nel miglioramento dei collegamenti ferroviari, dell'istruzione, dell'assistenza sociale. In quegli anni nasceva anche l'industria automobilistica: la FIAT sorgeva sulla tradizione del piccolo artigianato piemontese, ma con forti spinte innovative, grazie alle intuizioni di Giovanni Agnelli. Accanto alla FIAT nacquero anche la Lancia e l'Itala. La municipalizzazione dei trasporti urbani e la statalizzazione delle ferrovie contribuirono alla nascita di un'industria meccanica torinese.
Torino divenne, al tramonto del secolo, il primo centro italiano in cui si sviluppò la nuova arte: il cinema. Qui furono infatti prodotti i primi film italiani e, nei primi vent'anni del Novecento, il cinema fu una risorsa di grande importanza. Il cinema a Torino coincise infatti con il primo divismo (tra le star lanciate Lydia De Robertis, Maria Jacobini, Lydia Quaranta; tra i film prodotti quelli tratti da Gabriele D'Annunzio) e i primi film di grande successo nazionale e internazionale.
La nuova città industriale attraeva popolazione dalle campagne e, nei primi anni del secolo cresceva al ritmo di 9.000 persone l'anno. Vennero realizzati quartieri operai, fu estesa la rete viaria, furono avviati corsi di formazione professionale. La prima guerra mondiale sorprese una Torino in pieno sviluppo e causò prima una depressione e quindi una ripresa economica. Ma gli unici settori che trovarono reale vantaggio alla fine della guerra furono il siderurgico e l'automobilistico. Gli anni che portarono al fascismo furono anche per Torino anni di crisi sociali: le agitazioni operaie erano seguite dalle repressioni. Nel 1919 furono fondati i Fasci torinesi, nel 1922 fu bruciata la sede di Ordine Nuovo la rivista diretta da Antonio Gramsci; poco dopo Mussolini prendeva il potere e a Torino, a dicembre del 1922, ci fu un ulteriore violento scontro tra fascisti e operai, che terminò con una caccia all'uomo nei quartieri di Nizza e S. Paolo.
Durante il fascismo Torino continuò la sua espansione industriale e accolse immigrati veneti e meridionali. La politica coloniale del regime favorì lo sviluppo della FIAT, che seppe così superare la depressione causata dal crollo di Wall Street. Nacquero, in questi anni, la moda, dalla tradizione delle "sartine" torinesi, e, soprattutto, la radio italiana, che da Torino trasmetteva i suoi programmi. Allo scoppio della seconda guerra mondiale l'industria torinese si convertì in industria bellica e scoprì il lavoro femminile. I bombardamenti del 1942 causarono una drastica riduzione della produzione; la riduzione del potere d'acquisto degli operai causò, nel 1943, una rivolta. A settembre dello stesso anno ci fu l'occupazione tedesca. La crisi del regime e l'occupazione nazista spinsero molti giovani verso le montagne, per la Resistenza. Il 18 aprile 1945 un grande sciopero paralizzò la città, il 26 aprile i partigiani iniziarono la liberazione di Torino, conclusasi il 30. Il 3 maggio gli Alleati entravano in una città già liberata.
I primi anni del dopoguerra furono drammatici: patrimonio edilizio e fabbriche erano duramente danneggiati. Il Comune divenne costruttore realizzando, primo in Italia, nuove case popolari. La FIAT divenne un vero e proprio centro di potere con cui la città fu costretta a confrontarsi sin dai primi anni '50: la presenza del gigante dell'automobile aveva su Torino grandi ricadute di reddito e ricchezza, ma determinò anche conflitti che solo negli anni seguenti avrebbero trovato soluzione. Negli anni '50, grazie al potente richiamo della FIAT si verificò una nuova ondata di immigrazione, sia dalle altre regioni settentrionali (soprattutto Veneto) che dal Meridione.
La presenza degli immigrati meridionali determinò una serie di drammatici problemi, dall'abitazione ai servizi, a cui Torino era impreparata. Nel giro di un decennio Torino si trovò ad essere la terza città italiana meridionale, subito dopo Napoli e Palermo; l'arrivo disordinato e incontrollato dei nuovi residenti causò a lungo conflitti di mentalità e cultura, che la città ha superato nei decenni successivi, solo con grande difficoltà.
Nel 1961, anno del centenario dell'unità, Torino era una città irriconoscibile. L'antica capitale dei Savoia superava il milione di abitanti, era uno dei maggiori poli d'attrazione industriale d'Italia ed era una vera metropoli economica. Gli anni '60 non sarebbero però stati facili. Al boom economico seguirono infatti tensioni sociali che sfociarono nele proteste sessantottine e nell'autunno caldo degli operai.
All'inizio degli anni '70 i sindacati, che avevano ottenuto dopo l'autunno caldo importanti vittorie contrattuali, si trovavano ad avere posizioni di grande forza nelle fabbriche: nel 1972 l'occupazione di Mirafiori spinse la Confindustria ad accettare le richieste dei sindacati. Nel 1975 salì per la prima volta al potere una Giunta di sinistra, contemporaneamente la crisi petrolifera costrinse la FIAT alle prime cassa integrazioni. Gli anni di piombo costarono a Torino numerose vittime, tra queste, oltre a dirigenti e operai FIAT, Carlo Casalegno, vicedirettore de La Stampa. La crisi economica degli anni '70 ebbe il punto di svolta con la marcia dei 40.000 che chiedeva a gran voce la riapertura dei cancelli di Mirafiori, paralizzati da 35 giorni di sciopero.
Gli anni '80 e '90, in cui si sono avvicendate giunte di sinistra, pentapartitiche e di centro-sinistra, sono stati anni di pacificazione sociale: ai conflitti degli anni '70 ha fatto seguito la ripresa della FIAT, arrivata negli anni '80 a utili record grazie anche al lancio di nuovi modelli. Il volto di Torino è ulteriormente cambiato: i processi di ristrutturazione industriale hanno ridimensionato l'impiego nelle industrie a favore del terziario. Le dimensioni delle imprese sono diminuite, la ricerca, i servizi alle imprese, la finanza e la cultura sono i settori in cui Torino sta cercando nuove opportunità di crescita. La popolazione è diminuita: il censimento del 1991 segnala che i torinesi sono oggi meno di un milione.
Tra i nuovi torinesi figurano, nei primi anni del nuovo millennio, decine di migliaia di immigrati provenienti dall'estero, soprattutto Marocco, Senegal, Nigeria, Albania. La loro presenza ha sconvolto la società pacificata degli anni '80 e ha cambiato il volto di interi quartieri come S. Salvario e Porta Palazzo. La sfida di Torino, impegnata a diventare polo d'attrazione culturale, turistico e del terziario, è l'integrazione dei suoi nuovi abitanti, diversi per lingua e religione, ma probabilmente nuova fonte di ricchezza e di scambio. Ed è una sfida che l'antica colonia romana, crocevia di strade e di persone, intende vincere in questo suo terzo millennio di storia.