...
giovedì 26 ottobre 2017
Genova nel “Viaggio nella Liguria Marittima” del Bertolotti (1834)
mercoledì 18 ottobre 2017
Alle origini del melodramma
Stampa d'epoca circa la prima rappresentazione, alla presenza di Luigi XIV, dell'Alcesti del Lulli (1674) - Dall'Archivio Fotografico del "Museo della Canzone" di Vallecrosia (IM) |
Nel contesto della sua lunga storia la MUSICA ha indubbiamente interagito con varie sorti di rappresentazioni teatrali.
In dettaglio nell'Ellade la tragedia e la commedia erano parzialmente musicate.
In Italia ci si valse in età medievale della musica onde accompagnare i drammi liturgici , scene di rievocazione della vita di Gesù mediamente allestite in chiese all'uopo addobbate, le laudi drammatiche, fiorite in Umbria dal XIII secolo e che erano azioni sceniche di argomento mistico improvvisate dai fedeli in lingua volgare, le sacre rappresentazioni, dal XV secolo trionfanti soprattutto a Firenze sotto l'auspicio dei Medici, parimenti redatte in lingua italiana.
Peraltro la musica partecipò vieppiù a rappresentazioni profane, come nel caso del Jeu de Robirz et Marion del Adamo de la Halle e soprattutto di tanti spettacoli di varia natura allestiti in Italia a partire dal Quattrocento.
Sul volgere del Cinquecento sul teatro prese ad affermarsi la grande tradizione del MADRIGALE.
I1 Vecchi, il Banchieri ed altri ancora realizzarono opere in stile madrigalesco (costituite cioè da un coro a più voci senza strumenti), in cui si davano per impliciti un fatto od un'azione non rappresentati in scena da attori, ma ricostruibili in forza del canto del coro, finalizzato a tracciare i lineamenti ora di questo, ora di quel personaggio.
Praticamente tutto ciò, per effetto di un ben congegnato meccanismo evocativo, andava a disegnare una sorta di spettacolo cui partecipare con l'orecchio e non con la vista.
L'Amphiparnaso di Orazio Vecchi fu con verisimiglianza il più famoso se non il migliore prodotto della tradizione dei MADRIGALI DRAMMATICI.
Anche alla moderna indagine tal prodotto musicale rivela la sua caratura di lavoro vivace e spiritoso nel cui contesto si assiste alle interazioni fra i due protagonisti, i giovani innamorati Lucio e Isabella, e il padre di lei Pantalone, interessato a maritar la fanciulla con il dottore bolognese Graziano.
Attraverso vicende che replicano le postulazioni della commedia classica, i due giovani riescono nell'intento di far trionfare il loro amore, coadiuvati da un servo astuto, Pedrolino e circondati da altri colorati personaggi tra cui spicca un capitano spagnolo spaccone e vanaglorioso.
Qui si individuano le origini del MELODRAMMA vale a dire uno spettacolo musicato nella sua interezza, in cui gli attori sono anche cantanti, il cui canto risulta accompagnato da un'orchestra più o meno numerosa dislocata, solitamente, nella zona anteriore della platea, fra gli spettatori e il palcoscenico.
Nel MELODRAMMA, di solito, gl'interpreti non cantavano contemporaneamente, ma alternatamente di modo che risultava opportuno abbandonare la forma polifonica per quella monodica, fatta eccezione dei cori e dei pezzi d'assieme, allorquando i personaggi cantavano in duo, in trio, in quartetto ecc.
Nello stesso momento in cui il contrappunto vocale conseguiva i suoi apici col Palestrina, con Orlando di Lasso, con Ludovico da Victoria, un gruppo d'artisti e di dotti, che tenevano riunioni nel palazzo del conte Giovanni Bardi di Vernio in Firenze, verso il crepuscolo del Cinquecento, andava muovendo severe osservazioni alla polifonia, cercando di proporre le potenzialità del canto monodico, di cui ci si intendeva avvalere allo scopo di realizzare delle rappresentazioni sullo stile delle tragedie greche.
Se in queste ultime la voce non fruiva di un accompagnamento strumentale vero e proprio, allo stato attuale delle cose, in forza dello sviluppo dell'arte musicale, esso poteva venire finalizzato: il canto sarebbe stato pertanto sostenuto da accordi, da poliedriche parti strumentali.
A simile compagine, nominata la CAMERATA FIORENTINA, risultarono ascritti musicisti di talento come Jacopo Peri (1561-1633), Giulio Caccini (1550-1618), Emilio del Cavaliere (1550 -1602), Vincenzo Galilei (1533- 1591), padre di Galileo, Ottavio Rinuccini (1562- 1621) ed altri ancora.
Dopo alcuni tentativi nel nuovo stile, denominato la morzodia accompagnata si ebbero alcune complete realizzazioni, di cui la prima risultò la Dafne, con poesia del Rinuccini e musica del Peri, che venne rappresentata nell'abitazione di Jacopo Corsi, nobile mecenate fiorentino.
Della musica della Dafne è rimasto assai poco mentre si è intieramente conservata l'Euridice, il cui libretto, composto dal Rinuccini, venne musicato dal Peri col contributo del Caccini.
L'Euridice, costruita sul mito classico del poeta Orfeo, venne nel 1600 rappresentata a Palazzo Pitti in ricorrendo gli sponsali di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia.
L'orchestra, , che si esibì alla presenza della corte e di molti nobili, stava nascosta dietro la scene: tra gli strumenti si contavano un liuto grosso, una lira grande, un chitarrone (specie di liuto utilizzato per i suoni gravi) ed ancora un clavicembalo.
Fu tuttavia CLAUDIO MONTEVERDI (Cremona, 1567 - Venezia, 1643), senza dubbio uno dei più significativi musicisti di tutti i tempi, colui che consentì al MELODRAMMA di affermarsi definitivamente.
In dettaglio nell'Ellade la tragedia e la commedia erano parzialmente musicate.
In Italia ci si valse in età medievale della musica onde accompagnare i drammi liturgici , scene di rievocazione della vita di Gesù mediamente allestite in chiese all'uopo addobbate, le laudi drammatiche, fiorite in Umbria dal XIII secolo e che erano azioni sceniche di argomento mistico improvvisate dai fedeli in lingua volgare, le sacre rappresentazioni, dal XV secolo trionfanti soprattutto a Firenze sotto l'auspicio dei Medici, parimenti redatte in lingua italiana.
Peraltro la musica partecipò vieppiù a rappresentazioni profane, come nel caso del Jeu de Robirz et Marion del Adamo de la Halle e soprattutto di tanti spettacoli di varia natura allestiti in Italia a partire dal Quattrocento.
Sul volgere del Cinquecento sul teatro prese ad affermarsi la grande tradizione del MADRIGALE.
I1 Vecchi, il Banchieri ed altri ancora realizzarono opere in stile madrigalesco (costituite cioè da un coro a più voci senza strumenti), in cui si davano per impliciti un fatto od un'azione non rappresentati in scena da attori, ma ricostruibili in forza del canto del coro, finalizzato a tracciare i lineamenti ora di questo, ora di quel personaggio.
Praticamente tutto ciò, per effetto di un ben congegnato meccanismo evocativo, andava a disegnare una sorta di spettacolo cui partecipare con l'orecchio e non con la vista.
L'Amphiparnaso di Orazio Vecchi fu con verisimiglianza il più famoso se non il migliore prodotto della tradizione dei MADRIGALI DRAMMATICI.
Anche alla moderna indagine tal prodotto musicale rivela la sua caratura di lavoro vivace e spiritoso nel cui contesto si assiste alle interazioni fra i due protagonisti, i giovani innamorati Lucio e Isabella, e il padre di lei Pantalone, interessato a maritar la fanciulla con il dottore bolognese Graziano.
Attraverso vicende che replicano le postulazioni della commedia classica, i due giovani riescono nell'intento di far trionfare il loro amore, coadiuvati da un servo astuto, Pedrolino e circondati da altri colorati personaggi tra cui spicca un capitano spagnolo spaccone e vanaglorioso.
Qui si individuano le origini del MELODRAMMA vale a dire uno spettacolo musicato nella sua interezza, in cui gli attori sono anche cantanti, il cui canto risulta accompagnato da un'orchestra più o meno numerosa dislocata, solitamente, nella zona anteriore della platea, fra gli spettatori e il palcoscenico.
Nel MELODRAMMA, di solito, gl'interpreti non cantavano contemporaneamente, ma alternatamente di modo che risultava opportuno abbandonare la forma polifonica per quella monodica, fatta eccezione dei cori e dei pezzi d'assieme, allorquando i personaggi cantavano in duo, in trio, in quartetto ecc.
Nello stesso momento in cui il contrappunto vocale conseguiva i suoi apici col Palestrina, con Orlando di Lasso, con Ludovico da Victoria, un gruppo d'artisti e di dotti, che tenevano riunioni nel palazzo del conte Giovanni Bardi di Vernio in Firenze, verso il crepuscolo del Cinquecento, andava muovendo severe osservazioni alla polifonia, cercando di proporre le potenzialità del canto monodico, di cui ci si intendeva avvalere allo scopo di realizzare delle rappresentazioni sullo stile delle tragedie greche.
Se in queste ultime la voce non fruiva di un accompagnamento strumentale vero e proprio, allo stato attuale delle cose, in forza dello sviluppo dell'arte musicale, esso poteva venire finalizzato: il canto sarebbe stato pertanto sostenuto da accordi, da poliedriche parti strumentali.
A simile compagine, nominata la CAMERATA FIORENTINA, risultarono ascritti musicisti di talento come Jacopo Peri (1561-1633), Giulio Caccini (1550-1618), Emilio del Cavaliere (1550 -1602), Vincenzo Galilei (1533- 1591), padre di Galileo, Ottavio Rinuccini (1562- 1621) ed altri ancora.
Dopo alcuni tentativi nel nuovo stile, denominato la morzodia accompagnata si ebbero alcune complete realizzazioni, di cui la prima risultò la Dafne, con poesia del Rinuccini e musica del Peri, che venne rappresentata nell'abitazione di Jacopo Corsi, nobile mecenate fiorentino.
Della musica della Dafne è rimasto assai poco mentre si è intieramente conservata l'Euridice, il cui libretto, composto dal Rinuccini, venne musicato dal Peri col contributo del Caccini.
L'Euridice, costruita sul mito classico del poeta Orfeo, venne nel 1600 rappresentata a Palazzo Pitti in ricorrendo gli sponsali di Maria de' Medici con Enrico IV di Francia.
L'orchestra, , che si esibì alla presenza della corte e di molti nobili, stava nascosta dietro la scene: tra gli strumenti si contavano un liuto grosso, una lira grande, un chitarrone (specie di liuto utilizzato per i suoni gravi) ed ancora un clavicembalo.
Fu tuttavia CLAUDIO MONTEVERDI (Cremona, 1567 - Venezia, 1643), senza dubbio uno dei più significativi musicisti di tutti i tempi, colui che consentì al MELODRAMMA di affermarsi definitivamente.
Etichette:
Camerata,
Claudio Monteverdi,
Cultura-Barocca,
Firenze,
madrigale,
melodramma,
musica
mercoledì 11 ottobre 2017
Sugli esorcismi
Nell'immagine (incisione da Cultrivori Prussiaci curatio singularis di DANIEL BECKER
edito a Lione nel 1640) è riprodotto un singolare caso: l'asportazione
di un coltello ingoiato per un singulto da un contadino prussiano mentre
si cercava di aiutarlo a liberarsi col vomito del troppo cibo
ingurgitato: l'operazione chirurgica che lo salvò fu all'avanguardia per
l'epoca. All'epoca però si riteneva che il vomito di oggetti solidi e
insoliti fosse soprattutto una caratteristica di INDEMONIATI e POSSEDUTI
indotti a rigettare siffatti materiali incredibili e quindi DIABOLICI
in forza di un procedimento di ESORCISMO.
Sugli esorcismi scrive Antonio Zencovich (pp. 97 sgg.): "dalla Controriforma, in seguito all'inasprirsi della demonizzazione degli istinti, in particolare di quelli sessuali, cresceva in misura diretta il numero degli individui posseduti. Si sviluppò di conseguenza una significativa domanda di pubblico, da parte dei religiosi preposti a simili conforti; essa portò al proliferare di testi che, pur mantenendosi nel rispetto dell'ortodossia, proponevano formule inedite, delle quali gli autori vantavano una superiore efficacia rispetto a quelle già esistenti. Si parlava perciò di esorcismi terribili e potentissimi, scongiuri formidabili, rimedi efficacissimi per scacciare gli spiriti maligni, promettendo efferatezze varie ai danni del nemico, a base di fruste (o bastoni) e flagelli per diavoli, così come suonavano alcuni titoli dello specialista GIROLAMO MENGHI.
Tutto, peraltro, si esauriva nel campo della retorica: si trattava di orazioni di particolare veemenza in grado, talvolta, di conseguire un effetto suggestivo su chi veniva fatto oggetto dell'intervento.
L'esorcismo poteva costituire, per esprimersi secondo concetti moderni, una forma più o meno inconsapevole di psicoterapia.
Ma a quel tempo l'interpretazione era diversa e si riteneva che gli scongiuri agissero in maniera concreta sull'invasore il quale, terrorizzato dagli improperi e dalle minacce, decideva di sgomberare dal corpo della vittima."
Talvolta il rito serviva a risolvere sospetti casi di stregoneria.
Infatti, sebbene il patto col demonio non implicasse automaticamente di esserne posseduti, la pratica delle arti magiche era una delle condizioni che favorivano l'ingresso dei diavoli nei corpi degli umani.
Perché, se qualche volta la causa di un infortunio del genere era involontaria, come nel caso di chi finiva vittima di un maleficio, più spesso si trattava di azioni deliberate, fatte con piena consapevolezza di rendere offesa a Dio.
Infatti, sebbene il patto col demonio non implicasse automaticamente di esserne posseduti, la pratica delle arti magiche era una delle condizioni che favorivano l'ingresso dei diavoli nei corpi degli umani.
Perché, se qualche volta la causa di un infortunio del genere era involontaria, come nel caso di chi finiva vittima di un maleficio, più spesso si trattava di azioni deliberate, fatte con piena consapevolezza di rendere offesa a Dio.
Henricus Lancelotz indicava al riguardo
tredici cause più frequenti: 1) infedeltà e apostasia; 2) abuso dei
sacramenti e in particolare dell'Eucarestia; 3) blasfemia contro Dio e i
Santi; 4) frequente invocazione del nome del demonio; 5) studio della
necromanzia, chiromanzia, idromanzia e altre arti proibite; 6) forte
perturbazione dovuta all'ira; 7) maledizione da parte dei genitori; 8)
ozio e accidia; 9) invidia; 10) tristezza; 11) superbia; 12) libidine
sfrenata; 13) curiosità eccessiva.
Per riconoscere gli indemoniati si doveva osservare la presenza di sintomi specifici, descritti nei manuali per esorcisti, come l'Exorcismarium in duos libros dispositum (1639) di Ilario Nicuesa.
Il principale consisteva nel possedere poteri che andavano oltre i limiti umani: essi mostravano perciò una forza prodigiosa, muovevano oggetti da lontano, parlavano lingue sconosciute, erano in grado di predire il futuro o interpretare alla perfezione brani musicali, pur essendo digiuni di quell'arte.
Inoltre rifuggivano da ciò che avesse a che vedere con la religione, come le chiese, le tombe dei Santi e le loro reliquie: facilmente, davanti a esse, erano colti da accessi d'ira e sudori freddi.
Accusavano inoltre dolori che cambiavano di posto, correndo lungo il corpo, quando si facevano il segno della Croce. Non pronunciavano i nomi aventi a che fare con la divinità o, tentando di farlo, balbettavano e non riuscivano a terminarli. Soffrivano nell'ascoltare discorsi di religione, funzioni sacre e letture dei Vangeli. Quando un sacerdote li toccava sul capo, avvertivano un gran senso di pesantezza e, sempre davanti a un ministro di Dio, erano colti da brividi e si muovevano come rane e serpenti. Erano oppressi da visioni orribili e turpi, accompagnate da sgomento e tremore.
Amavano i luoghi bui e solitari e rifuggivano dalla luce. Senza ragione si davano a fughe improvvise, si percuotevano coi sassi o si davano fuoco.
E ancora: battevano i denti, emettevano versi ferini e avevano la schiuma alla bocca come cani rabbiosi. Mostravano occhi lucidi e spaventati, erano colti da terrori repentini, spesso si strappavano le vesti e si laceravano la pelle. Facilmente perdevano i sensi o erano colti da profondo sopore, soprattutto davanti a oggetti sacri; pronunciavano frasi senza senso e deliravano. A volte si rifiutavano ostinatamente di mangiare e sopportavano inedie lunghissime; altre invece, erano colti da fame vorace. Opprimevano del proprio odio gli amici, soprattutto quando questi si dedicavano a pratiche religiose. Immotivatamente piangevano, spesso senza rendersene conto.
Quando, ricorrendo tali segni o almeno alcuni di essi, ci si convinceva di trovarsi davanti a un posseduto, l'esorcista lo interrogava, rivolgendosi allo spirito maligno che gli stava dentro.
Il principale consisteva nel possedere poteri che andavano oltre i limiti umani: essi mostravano perciò una forza prodigiosa, muovevano oggetti da lontano, parlavano lingue sconosciute, erano in grado di predire il futuro o interpretare alla perfezione brani musicali, pur essendo digiuni di quell'arte.
Inoltre rifuggivano da ciò che avesse a che vedere con la religione, come le chiese, le tombe dei Santi e le loro reliquie: facilmente, davanti a esse, erano colti da accessi d'ira e sudori freddi.
Accusavano inoltre dolori che cambiavano di posto, correndo lungo il corpo, quando si facevano il segno della Croce. Non pronunciavano i nomi aventi a che fare con la divinità o, tentando di farlo, balbettavano e non riuscivano a terminarli. Soffrivano nell'ascoltare discorsi di religione, funzioni sacre e letture dei Vangeli. Quando un sacerdote li toccava sul capo, avvertivano un gran senso di pesantezza e, sempre davanti a un ministro di Dio, erano colti da brividi e si muovevano come rane e serpenti. Erano oppressi da visioni orribili e turpi, accompagnate da sgomento e tremore.
Amavano i luoghi bui e solitari e rifuggivano dalla luce. Senza ragione si davano a fughe improvvise, si percuotevano coi sassi o si davano fuoco.
E ancora: battevano i denti, emettevano versi ferini e avevano la schiuma alla bocca come cani rabbiosi. Mostravano occhi lucidi e spaventati, erano colti da terrori repentini, spesso si strappavano le vesti e si laceravano la pelle. Facilmente perdevano i sensi o erano colti da profondo sopore, soprattutto davanti a oggetti sacri; pronunciavano frasi senza senso e deliravano. A volte si rifiutavano ostinatamente di mangiare e sopportavano inedie lunghissime; altre invece, erano colti da fame vorace. Opprimevano del proprio odio gli amici, soprattutto quando questi si dedicavano a pratiche religiose. Immotivatamente piangevano, spesso senza rendersene conto.
Quando, ricorrendo tali segni o almeno alcuni di essi, ci si convinceva di trovarsi davanti a un posseduto, l'esorcista lo interrogava, rivolgendosi allo spirito maligno che gli stava dentro.
Non era però consentito addentrarsi in particolari in merito alle
frequentazioni tra l'uomo e il maligno: il sacerdote doveva evitare di
indulgere alla curiosità e limitarsi a conoscere le cose indispensabili.
Il RITO PRELIMINARE [dell'ESORCISMO STRAORDINARIO] iniziava con questa FORMULA:
Ego indignus Sacerdos, et Minister Altissimi, auctoritate mihi tradita a Sancta Romana Ecclesia supra inferni Principes, praecipio tibi nomine Divinae Maiestatis, ac Domini nostri Jesu Christi...nec non imperio potentiae Throni Sanctissimae Trinitatis, ut statim, nulla mora interiecta et fallacia, patefacias mihi nomen tuum... ('Io, indegno sacerdote e ministro dell'Altissimo, in virtù dell' autorità conferitami dalla Santa Romana Chiesa contro i Principi dell' Inferno, in nome della Maestà di Dio e di nostro Signor Gesù Cristo, nonché della potenza del Trono della Santissima Trinità, ti ingiungo di rivelarmi subito il tuo nome, senza indugio né menzogna').
Proseguiva poi con l'interrogatorio, formulato in latino nel testo (ma poi, al lato pratico, pronunciato nella lingua dell'ossesso, perché se questi non era una persona di cultura, era poco probabile che rispondesse a tono).
'Qual è il tuo nome?' era la prima domanda rivolta all'occupante, il quale replicava per tramite della vittima.
Ovvero, a volte lo faceva, a volte no.
Nel secondo caso si riteneva che non volesse manifestarsi e ci fosse bisogno di speciali orazioni per indurlo ad ascendere in linguam.
Ma anche nella prima eventualitaà bisognava usar cautela, perché volentieri il demone declinava nomi falsi.
'In quanti siete là dentro?' chiedeva l'esorcista.
'A quale schiera dell' Inferno appartenete? Chi vi comanda? Chi sono i vostri complici (socii, ministri, fautores)? Da quanto tempo vi trovate lì? E come ci siete entrati? Forse per un incantesimo? E, se sì, di che tipo? E' ancora attivo? E' stato rinnovato? In quale esatto giorno siete entrati in questo corpo?'.
Per sapere se l'indiavolato era vittima di un maleficio, bisognava vedere se ricorrevano gli indizi caratteristici. Cioè se:
1) era di colorito pallido, giallo o verdastro;
2) aveva un senso di oppressione allo stomaco o di soffocamento;
3) vomitava dopo aver mangiato o sentiva il cibo indigesto;
4) avvertiva un dolore puntorio alla bocca dello stomaco;
5) accusava male ai reni o alla nuca;
6) era soggetto a sincope;
7) manifestava ottenebramento cerebrale;
8) pativa di oppressione di cuore e dei visceri;
9) aveva improvvisi dolori per il corpo;
10) provava una grande stanchezza;
11) si sentiva debole in ogni parte del corpo;
12) soffriva di gonfiore di ventre, con presenza di aria;
13) era malinconico e taciturno;
14) tutte le medicine che avrebbero potuto curare tali sintomi non avevano con lui alcun effetto.
Qualcuno potrebbe osservare come tali sintomi siano tutt'altro che rari anche ai nostri giorni, in vari malanni di origine psicosomatica ma quel tempo, pervaso di superstizione e soprattutto caratterizzato da una medicina che come si ricava dall'introduzione al Manoscritto Wenzel (vedi) era alquanto empirica e spesso incapace di determinare la causalità del male sussisteva la tendenza a reputare la malattia come una punizione divina avverso un individuo malvagio od al contrario, mutatis mutandis, quale la conseguenza di una possessione diabolica di individui psicologicamente e spiritualmente fragili.
Ego indignus Sacerdos, et Minister Altissimi, auctoritate mihi tradita a Sancta Romana Ecclesia supra inferni Principes, praecipio tibi nomine Divinae Maiestatis, ac Domini nostri Jesu Christi...nec non imperio potentiae Throni Sanctissimae Trinitatis, ut statim, nulla mora interiecta et fallacia, patefacias mihi nomen tuum... ('Io, indegno sacerdote e ministro dell'Altissimo, in virtù dell' autorità conferitami dalla Santa Romana Chiesa contro i Principi dell' Inferno, in nome della Maestà di Dio e di nostro Signor Gesù Cristo, nonché della potenza del Trono della Santissima Trinità, ti ingiungo di rivelarmi subito il tuo nome, senza indugio né menzogna').
Proseguiva poi con l'interrogatorio, formulato in latino nel testo (ma poi, al lato pratico, pronunciato nella lingua dell'ossesso, perché se questi non era una persona di cultura, era poco probabile che rispondesse a tono).
'Qual è il tuo nome?' era la prima domanda rivolta all'occupante, il quale replicava per tramite della vittima.
Ovvero, a volte lo faceva, a volte no.
Nel secondo caso si riteneva che non volesse manifestarsi e ci fosse bisogno di speciali orazioni per indurlo ad ascendere in linguam.
Ma anche nella prima eventualitaà bisognava usar cautela, perché volentieri il demone declinava nomi falsi.
'In quanti siete là dentro?' chiedeva l'esorcista.
'A quale schiera dell' Inferno appartenete? Chi vi comanda? Chi sono i vostri complici (socii, ministri, fautores)? Da quanto tempo vi trovate lì? E come ci siete entrati? Forse per un incantesimo? E, se sì, di che tipo? E' ancora attivo? E' stato rinnovato? In quale esatto giorno siete entrati in questo corpo?'.
Per sapere se l'indiavolato era vittima di un maleficio, bisognava vedere se ricorrevano gli indizi caratteristici. Cioè se:
1) era di colorito pallido, giallo o verdastro;
2) aveva un senso di oppressione allo stomaco o di soffocamento;
3) vomitava dopo aver mangiato o sentiva il cibo indigesto;
4) avvertiva un dolore puntorio alla bocca dello stomaco;
5) accusava male ai reni o alla nuca;
6) era soggetto a sincope;
7) manifestava ottenebramento cerebrale;
8) pativa di oppressione di cuore e dei visceri;
9) aveva improvvisi dolori per il corpo;
10) provava una grande stanchezza;
11) si sentiva debole in ogni parte del corpo;
12) soffriva di gonfiore di ventre, con presenza di aria;
13) era malinconico e taciturno;
14) tutte le medicine che avrebbero potuto curare tali sintomi non avevano con lui alcun effetto.
Qualcuno potrebbe osservare come tali sintomi siano tutt'altro che rari anche ai nostri giorni, in vari malanni di origine psicosomatica ma quel tempo, pervaso di superstizione e soprattutto caratterizzato da una medicina che come si ricava dall'introduzione al Manoscritto Wenzel (vedi) era alquanto empirica e spesso incapace di determinare la causalità del male sussisteva la tendenza a reputare la malattia come una punizione divina avverso un individuo malvagio od al contrario, mutatis mutandis, quale la conseguenza di una possessione diabolica di individui psicologicamente e spiritualmente fragili.
Ma proseguiamo col nostro Exorcismarium.
Se si stabiliva invece che maleficio non c'era, bisognava scoprire la causa per cui Dio aveva consentito che il diavolo (o i diavoli) fossero andati a cacciarsi pro prio 1ì.
A tal fine, proseguendo nell'indagine, si chiedeva agli spiriti:
1) a qual ordine angelico fossero appartenuti prima della loro ribellione a Dio;
2) in che regione del mondo Egli li avesse manda per punizione: se in quella orientale, occidentale, meridionale o settentrionale;
3) di che natura fossero: se ignea, aerea, acquatica o terrestre;
4) quale potenza angelica li avversasse;
5) quale Santo avessero in particolare antipatia.
A questo punto colui che interrogava l'ossesso aveva in mano gli elementi per decidere in che momento era meglio intervenire, quale esorcista fosse più adatto al compito e dove convenisse procedere: se era il caso di scegliere una chiesa o la tomba di un Santo.
L'ESORCISMO era un RITO COMPLESSO che prevedeva, come nella Messa, PARTI FISSE e MOBILI, contemplando la lettura di testi sacri, orazioni, responsori e litanie, variabili a seconda del calendario liturgico.
Esisteva perciò, analogamente alle altre funzioni, un exorcismarium de tempore e uno de Sanctis: il primo ordinato nelle varie parti dell'anno, l'altro secondo i giorni in cui ricorrevano le feste dei Santi.
Dapprima si svolgeva una fase preparatoria, con l'aspersione del luogo, accompagnata dalla recita di preghiere, litanie e salmi.
Poi il sacerdote leggeva un'epistola, imponeva la mano sul capo dell'esorcizzando, lo aspergeva con acqua benedetta e attendeva che il demonio si manifestasse, come detto sopra, in linguam.
Lo cingeva quindi con una stola e, se si trattava di un maleficiato, recitava una speciale formula adatta alla circostanza.
Poi gli faceva mettere le mani sull'altare, sul Vangelo o sul Crocefisso, e costringeva il demonio a sottoscrivere un'impegnativa che, nella formula, era abbastanza simile a un atto notarile e, liberamente tradotto, suonava così: Io sottoscritto diavolo di nome Tale, di mia spontanea volontà, prometto a te, ministro di Cristo, di dire il vero e di obbedire a quello che Dio vorrà per mezzo tuo. Altrimenti invoco su di me l'ira di Dio stesso, che mandi contro di me l'arcangelo Michele, il quale mi faccia prigioniero e mi getti nel fuoco dell' Inferno, dove vedrò aumentate le mie pene di momento in momento, fino al giorno del Giudizio.
Solo a quel punto poteva aver luogo la procedura vera e propria, che cominciava ripetendo l'interrogatorio di cui abbiamo già parlato, continuando per diverse pagine di scongiuri e citazioni dall'antico e dal nuovo Testamento.
E' probabile che un'impresa del genere avesse come conseguenza l'estenuazione fisica tanto dell'esorcista quanto dell'esorcizzato: una circostanza utile senz'altro alla buona riuscita dell'intervento.
Però non era detto che ciò avvenisse.
C'erano infatti casi in cui i demoni si mostravano resistenti e ricorrevano a vari espedienti per evitare di venire scacciati: si rifiutavano con ostinazione di rispondere, o facevano in modo che la loro vittima perdesse i sensi, cadesse in preda a convulsioni, fingesse di addormentarsi, simulasse paura, bestemmiasse, invocasse Satana o insultasse il sacerdote.
Se si stabiliva invece che maleficio non c'era, bisognava scoprire la causa per cui Dio aveva consentito che il diavolo (o i diavoli) fossero andati a cacciarsi pro prio 1ì.
A tal fine, proseguendo nell'indagine, si chiedeva agli spiriti:
1) a qual ordine angelico fossero appartenuti prima della loro ribellione a Dio;
2) in che regione del mondo Egli li avesse manda per punizione: se in quella orientale, occidentale, meridionale o settentrionale;
3) di che natura fossero: se ignea, aerea, acquatica o terrestre;
4) quale potenza angelica li avversasse;
5) quale Santo avessero in particolare antipatia.
A questo punto colui che interrogava l'ossesso aveva in mano gli elementi per decidere in che momento era meglio intervenire, quale esorcista fosse più adatto al compito e dove convenisse procedere: se era il caso di scegliere una chiesa o la tomba di un Santo.
L'ESORCISMO era un RITO COMPLESSO che prevedeva, come nella Messa, PARTI FISSE e MOBILI, contemplando la lettura di testi sacri, orazioni, responsori e litanie, variabili a seconda del calendario liturgico.
Esisteva perciò, analogamente alle altre funzioni, un exorcismarium de tempore e uno de Sanctis: il primo ordinato nelle varie parti dell'anno, l'altro secondo i giorni in cui ricorrevano le feste dei Santi.
Dapprima si svolgeva una fase preparatoria, con l'aspersione del luogo, accompagnata dalla recita di preghiere, litanie e salmi.
Poi il sacerdote leggeva un'epistola, imponeva la mano sul capo dell'esorcizzando, lo aspergeva con acqua benedetta e attendeva che il demonio si manifestasse, come detto sopra, in linguam.
Lo cingeva quindi con una stola e, se si trattava di un maleficiato, recitava una speciale formula adatta alla circostanza.
Poi gli faceva mettere le mani sull'altare, sul Vangelo o sul Crocefisso, e costringeva il demonio a sottoscrivere un'impegnativa che, nella formula, era abbastanza simile a un atto notarile e, liberamente tradotto, suonava così: Io sottoscritto diavolo di nome Tale, di mia spontanea volontà, prometto a te, ministro di Cristo, di dire il vero e di obbedire a quello che Dio vorrà per mezzo tuo. Altrimenti invoco su di me l'ira di Dio stesso, che mandi contro di me l'arcangelo Michele, il quale mi faccia prigioniero e mi getti nel fuoco dell' Inferno, dove vedrò aumentate le mie pene di momento in momento, fino al giorno del Giudizio.
Solo a quel punto poteva aver luogo la procedura vera e propria, che cominciava ripetendo l'interrogatorio di cui abbiamo già parlato, continuando per diverse pagine di scongiuri e citazioni dall'antico e dal nuovo Testamento.
E' probabile che un'impresa del genere avesse come conseguenza l'estenuazione fisica tanto dell'esorcista quanto dell'esorcizzato: una circostanza utile senz'altro alla buona riuscita dell'intervento.
Però non era detto che ciò avvenisse.
C'erano infatti casi in cui i demoni si mostravano resistenti e ricorrevano a vari espedienti per evitare di venire scacciati: si rifiutavano con ostinazione di rispondere, o facevano in modo che la loro vittima perdesse i sensi, cadesse in preda a convulsioni, fingesse di addormentarsi, simulasse paura, bestemmiasse, invocasse Satana o insultasse il sacerdote.
Per ognuno di questi casi, nonché per altri su cui sorvoliamo, erano previsti supplementi di preghiere.
In ultimo, se tutto andava bene, veniva recitata la formula detta Gratiarum actio pro demoniaco ab immundo spiritu liberato che, dopo un Te Deum di ringraziamento, ulteriori letture dai Vangeli e responsori, si concludeva con l'invettiva finale contro il Nemico in rotta:
Fuge ab hac vita fur, serpens, Balial, scelus, mors, hiatus, draco, belua, nox, insidiae, rabies, chaos, invide, homicida... Christus te, cum assedis tuis nequissimis, vel in mare, vel in scopulos, vel denique in porcorum gregem... fugam corripere iubeat, absque ullius laesione. Proinde liget te, et vos omnes nequissimos, Deus Jehova, coerceat vos, Deus Sabaoth, confundat vos Deus Adonay, comprimat vos Deus Sother, conculcet vos Deus fortis, compellat vos Deus Tetragrammaton, maledicat vos Christus Jesus, imo et sancta, atque indivisa Trinitas Trina, atque indivisa Dei unitas, Patris et Filii et Spiritus Sancti Amen.('Esci da questo corpo, tu, ladro, serpente, Balial, crimine, morte, abisso, drago, belva, notte, inganno, furia, caos, invidioso, omicida. Cristo ti costringa a fuggire, assieme aituoi pessimi settatori, o in mare, o tra gli scogli, oppure in mezzo a un branco di porci, senza permetterti di provocare danno ad alcuno. Poi leghi te e tutti voialtri malvagi Dio onnipotente, vi domi Dio degli Eserciti, vi confonda Dio nostro Signore, vi comprima Dio Salvatore, vi calpesti Dio forte, vi imprigioni Dio del Tetragramma, vi maledica Cristo Gesù e così pure la santa e indivisa Trinità trina e l'indivisa unità di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen').
Fuge ab hac vita fur, serpens, Balial, scelus, mors, hiatus, draco, belua, nox, insidiae, rabies, chaos, invide, homicida... Christus te, cum assedis tuis nequissimis, vel in mare, vel in scopulos, vel denique in porcorum gregem... fugam corripere iubeat, absque ullius laesione. Proinde liget te, et vos omnes nequissimos, Deus Jehova, coerceat vos, Deus Sabaoth, confundat vos Deus Adonay, comprimat vos Deus Sother, conculcet vos Deus fortis, compellat vos Deus Tetragrammaton, maledicat vos Christus Jesus, imo et sancta, atque indivisa Trinitas Trina, atque indivisa Dei unitas, Patris et Filii et Spiritus Sancti Amen.('Esci da questo corpo, tu, ladro, serpente, Balial, crimine, morte, abisso, drago, belva, notte, inganno, furia, caos, invidioso, omicida. Cristo ti costringa a fuggire, assieme aituoi pessimi settatori, o in mare, o tra gli scogli, oppure in mezzo a un branco di porci, senza permetterti di provocare danno ad alcuno. Poi leghi te e tutti voialtri malvagi Dio onnipotente, vi domi Dio degli Eserciti, vi confonda Dio nostro Signore, vi comprima Dio Salvatore, vi calpesti Dio forte, vi imprigioni Dio del Tetragramma, vi maledica Cristo Gesù e così pure la santa e indivisa Trinità trina e l'indivisa unità di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo. Amen').
Etichette:
Antonio Zencovich,
contadino,
Cultura-Barocca,
Daniel Becker,
demoni,
esorcismo,
Exorcismarium,
Girolamo Menghi,
Henricus Lancelotz,
Ilario Nicuesa,
Lione,
Prussia,
rito
giovedì 5 ottobre 2017
I Carmelitani
Il Monte Carmelo |
I CARMELITANI in origine erano CROCIATI che, attirati dall’esempio di Elia, volevano consacrarsi al servizio della Madonna sul Monte Carmelo: proprio per questo motivo assunsero il nome originario di Eremiti del Carmelo (o Eremiti Latini).
Presero la prima dimora ufficiale, all’incirca tra il 1192 e il 1209, sulla via di pellegrinaggio che conduceva da Akko a Cesarea.
Non è peraltro noto in quale periodo S. Alberto Patriarca di Gerusalemme, abbia riunito in un gruppo gli Eremiti del Carmelo stendendo per loro la Regola di vita cioè quella che viene definita Regola primitiva: l’ipotesi più probabile è che tutto questo sia avvenuto anteriormente al 1214 quando Alberto ricoprì il suo patriarcato (1209?).
Successivamente i CARMELITANI istituirono monasteri in Palestina, in Siria, e quindi in Europa.
In Europa giunsero nel 1235, quando a due religiosi fu concesso di innalzare una Casa a Valencienne, in Francia.
L’immigrazione generale, però, ebbe luogo nel 1238, mentre nel 1241 due gentiluomini al seguito di Riccardo di Cornovaglia tornando in patria condussero con sé alcuni frati del Monte Carmelo e diedero loro due conventi: uno a Hulne, ai confini della Scozia, l’altro a Hylesford, nella contea di Kent. Anche S. Luigi, re di Francia, domandò nel 1245 al Priore del Monte Carmelo sei religiosi e diede loro una Casa vicino a Parigi.
Fu allora il momento di richiedere una superiore approvazione della Regola, che i Carmelitani ottennero da Papa Onorio III (30 gennaio 1226), riconfermata da Papa Gregorio IX (1229). Intanto la Terra Santa veniva progressivamente rioccupata dai Musulmani e l’esodo dei Carmelitani verso l’Europa, i loro paesi d’origine, divennetotale.
Qui, adeguandosi alle nuove condizioni di vita, si riavvicinarono alle città, sviluppando una certa vita comunitaria. Dovettero quindi appellarsi al Pontefice Innocenzo IV, per adattare la Regola alla loro mutata condizione sociale: da EREMITA, e l’Ordine si trasformò in MENDICANTE, sull’esempio dei Francescani e Domenicani.
Il primo ottobre 1247, Papa Innocenzo IV pubblicò la Regola Modificata dei Carmelitani.
Al crepuscolo del Medio Evo, specialmente dopo la grave crisi della Chiesa nel periodo in cui i Papi, lasciata Roma, si trasferirono ad Avignone e quindi durante lo Scisma d’Occidente, emerse in varie contrade una formidabile esigenza di riforme.
I Concili di Costanza (1414 - 1418), di Basilea (1431 - 1437) e di Ferrara-Firenze (1438 - 1442) furono essenziali tappe di questo processo di revisione: a tutto ciò si accostarono le imprese apostoliche di predicatori di penitenza, quali San Vincenzo Ferreri, SAN BERNARDINO DA SIENA (che tanto peso ebbe in ambito ligure ponentino) e San Giovanni di Capistrano.
Pure i CARMELITANI [ormai abbandonata la loro originaria e antichissima strutturazione di ORDINE CROCIATO] diedero stimolo ad una nuova generazione di monaci e monache estremamente operosi sul piano apostolico tra cui meritano di essere menzionati Bartolomeo Fanti, Angelo Mazzinghi, Giovanni Scopelli, Arcangela Ghirlani, Giovanni Soreth, e Beato Battista Mantovano che diede vita alla cosidetta Congregazione Mantovana.
La grande riforma dell’ORDINE, quella che diede vita ai CARMELITANI SCALZI, passò tuttavia attraverso il fervente operato di S. Teresa d’Avila sì che giustamente si può parlare di una Riforma Teresiana. Nel clima che caratterizzò il completamento della RICONQUISTA CRISTIANA DELLA SPAGNA nacque, il 28 marzo 1515, S. Teresa de Ahumada, che entrò fra le Carmelitane della sua città natale (Avila) a ventun anni, rimanendovi fino al 1562 presso il monastero dell'Incarnazione.
Con la fondazione del piccolo monastero di San Giuseppe ( 24 agosto 1562), Teresa iniziò alla sua riforma fra le monache.
Questa sarebbe poi stata estesa anche ai frati (Duruelo 1568) grazie al concorso di S. Giovanni della Croce.
L’ideale Carmelitano Teresiano era nello stesso tempo insieme contemplativo e apostolico.
Le caratteristiche fondamentali dei "mezzi" che la Santa considerava essenziali per il raggiungimento dei suoi ideali erano: orazione, zelo apostolico, solitudine (silenzio, ritiro, clausura), vita comunitaria (piccolo gruppo, vita fraterna, semplicità, libertà spirituale, umanesimo), spirito mariano, ascesi e lavoro.
Dopo la fondazione delle comunità femminili, l’idea di fondare alcune comunità maschili sullo stile del monastero di San Giuseppe, punto di partenza della Riforma Teresiana, si fece ben presto strada nella mente della Santa. Indubbiamente la sua formula di vita religiosa, che produceva così meravigliosi frutti di perfezione tra le donne, poteva ben essere realizzata anche tra gli uomini. Il 13 marzo 1566 il Padre Generale dei Carmelitani Giovanni Rossi, era sbarcato in Spagna, avendo ricevuto da Papa Pio V l’incarico di procedervi alla riforma dell’Ordine Carmelitano. Incontrò colà Santa Teresa e autorizzò la fondazione di due conventi di frati "riformati" o "scalzi". Fu in quel periodo che la Santa incontrò a Medina un giovane frate, allora venticinquenne: si chiamava fra Giovanni Della Croce ed era animato dallo stesso zelo; fu invitato a preparare il primo convento maschile a Duruelo (Avila) e a vestire, per primo, il nuovo saio che la stessa Teresa aveva ideato. La nuova vita di CARMELITANI SCALZI fu quivi inaugurata il 28 novembre del 1568 secondo le norme e le indicazioni di Teresa: ritorno alla Regola del 1247, spirito di mortificazione e di ritiro, perenne comunione orante con Dio, sforzi per rendere sempre più feconda l’azione apostolica. Nel 1570, dato il fiorire delle vocazioni, con l’autorizzazione del Padre Generale, si aprì ad Alcalà di Henares il primo Collegio della Riforma per favorire gli studi dei giovani religiosi.
Rettore ne fu, l’anno dopo, Padre Giovanni Della Croce.
Successivamente furono inaugurati il quarto convento ad Altomira, seguito da un altro a La Roda-Cuenea (1572).
Per quanto riguarda il perfezionamento delle strutture e dell’assetto giuridico dell’Ordine, importante RISULTO' l’opera di Padre Nicolò Doria, il quale ottenne da Papa Sisto V, nel 1587, l’erezione della Riforma Teresiana in Congregazione autonoma, con un proprio Vicario Generale. Non contento di questo, lavorò anche per la completa separazione dell’Antico Ordine Carmelitano, avvenuta nel 1593 con editto di Papa Clemente VIII: il superiore non si sarebbe più dovuto chiamare Vicario, ma Preposito Generale (nel 1594 venne eletto alla carica Padre Elia di San Martino). Se il 1600 segna l’inizio ufficiale della nuova Congregazione, già dall’anno prima i CARMELITANI D’ITALIA avevano redatto un testo di Costituzioni proprie, diverse da quelle spagnole, che rimasero in vigore con poche modifiche praticamente fino a oggi. Importante è ricordare il fatto che già nel 1605 il Capitolo Generale della Congregazione d’Italia decideva ufficialmente l’inizio di un’attività missionaria che prese il via nel 1620, sì che fu eretto in Roma un Seminario delle Missioni che si chiamò di San Pancrazio.
Le soppressioni dell’Ottocento segnarono la fine di un’istituzione che Papa Clemente XI, nel 1707, proponeva come esempio agli altri Ordini e che si era dimostrato centro così attivo di teologia e di pastorale missionaria. Il Seminario fu tuttavia restaurato in nuova sede, sempre accanto alla basilica di S. Pancrazio al Gianicolo, nel 1936; al presente sussiste praticamente incorporato al Teresianum, il collegio internazionale dell’Ordine: e se ogni Ordine religioso ha nella Chiesa la sua vocazione particolare, secondo la Regola del Carmelo e l’esempio dei suoi santi il nobile fine proposto è quello di mantenere, sviluppare e diffondere lo spirito di contemplazione.
Presero la prima dimora ufficiale, all’incirca tra il 1192 e il 1209, sulla via di pellegrinaggio che conduceva da Akko a Cesarea.
Non è peraltro noto in quale periodo S. Alberto Patriarca di Gerusalemme, abbia riunito in un gruppo gli Eremiti del Carmelo stendendo per loro la Regola di vita cioè quella che viene definita Regola primitiva: l’ipotesi più probabile è che tutto questo sia avvenuto anteriormente al 1214 quando Alberto ricoprì il suo patriarcato (1209?).
Successivamente i CARMELITANI istituirono monasteri in Palestina, in Siria, e quindi in Europa.
In Europa giunsero nel 1235, quando a due religiosi fu concesso di innalzare una Casa a Valencienne, in Francia.
L’immigrazione generale, però, ebbe luogo nel 1238, mentre nel 1241 due gentiluomini al seguito di Riccardo di Cornovaglia tornando in patria condussero con sé alcuni frati del Monte Carmelo e diedero loro due conventi: uno a Hulne, ai confini della Scozia, l’altro a Hylesford, nella contea di Kent. Anche S. Luigi, re di Francia, domandò nel 1245 al Priore del Monte Carmelo sei religiosi e diede loro una Casa vicino a Parigi.
Fu allora il momento di richiedere una superiore approvazione della Regola, che i Carmelitani ottennero da Papa Onorio III (30 gennaio 1226), riconfermata da Papa Gregorio IX (1229). Intanto la Terra Santa veniva progressivamente rioccupata dai Musulmani e l’esodo dei Carmelitani verso l’Europa, i loro paesi d’origine, divennetotale.
Qui, adeguandosi alle nuove condizioni di vita, si riavvicinarono alle città, sviluppando una certa vita comunitaria. Dovettero quindi appellarsi al Pontefice Innocenzo IV, per adattare la Regola alla loro mutata condizione sociale: da EREMITA, e l’Ordine si trasformò in MENDICANTE, sull’esempio dei Francescani e Domenicani.
Il primo ottobre 1247, Papa Innocenzo IV pubblicò la Regola Modificata dei Carmelitani.
Al crepuscolo del Medio Evo, specialmente dopo la grave crisi della Chiesa nel periodo in cui i Papi, lasciata Roma, si trasferirono ad Avignone e quindi durante lo Scisma d’Occidente, emerse in varie contrade una formidabile esigenza di riforme.
I Concili di Costanza (1414 - 1418), di Basilea (1431 - 1437) e di Ferrara-Firenze (1438 - 1442) furono essenziali tappe di questo processo di revisione: a tutto ciò si accostarono le imprese apostoliche di predicatori di penitenza, quali San Vincenzo Ferreri, SAN BERNARDINO DA SIENA (che tanto peso ebbe in ambito ligure ponentino) e San Giovanni di Capistrano.
Pure i CARMELITANI [ormai abbandonata la loro originaria e antichissima strutturazione di ORDINE CROCIATO] diedero stimolo ad una nuova generazione di monaci e monache estremamente operosi sul piano apostolico tra cui meritano di essere menzionati Bartolomeo Fanti, Angelo Mazzinghi, Giovanni Scopelli, Arcangela Ghirlani, Giovanni Soreth, e Beato Battista Mantovano che diede vita alla cosidetta Congregazione Mantovana.
La grande riforma dell’ORDINE, quella che diede vita ai CARMELITANI SCALZI, passò tuttavia attraverso il fervente operato di S. Teresa d’Avila sì che giustamente si può parlare di una Riforma Teresiana. Nel clima che caratterizzò il completamento della RICONQUISTA CRISTIANA DELLA SPAGNA nacque, il 28 marzo 1515, S. Teresa de Ahumada, che entrò fra le Carmelitane della sua città natale (Avila) a ventun anni, rimanendovi fino al 1562 presso il monastero dell'Incarnazione.
Con la fondazione del piccolo monastero di San Giuseppe ( 24 agosto 1562), Teresa iniziò alla sua riforma fra le monache.
Questa sarebbe poi stata estesa anche ai frati (Duruelo 1568) grazie al concorso di S. Giovanni della Croce.
L’ideale Carmelitano Teresiano era nello stesso tempo insieme contemplativo e apostolico.
Le caratteristiche fondamentali dei "mezzi" che la Santa considerava essenziali per il raggiungimento dei suoi ideali erano: orazione, zelo apostolico, solitudine (silenzio, ritiro, clausura), vita comunitaria (piccolo gruppo, vita fraterna, semplicità, libertà spirituale, umanesimo), spirito mariano, ascesi e lavoro.
Dopo la fondazione delle comunità femminili, l’idea di fondare alcune comunità maschili sullo stile del monastero di San Giuseppe, punto di partenza della Riforma Teresiana, si fece ben presto strada nella mente della Santa. Indubbiamente la sua formula di vita religiosa, che produceva così meravigliosi frutti di perfezione tra le donne, poteva ben essere realizzata anche tra gli uomini. Il 13 marzo 1566 il Padre Generale dei Carmelitani Giovanni Rossi, era sbarcato in Spagna, avendo ricevuto da Papa Pio V l’incarico di procedervi alla riforma dell’Ordine Carmelitano. Incontrò colà Santa Teresa e autorizzò la fondazione di due conventi di frati "riformati" o "scalzi". Fu in quel periodo che la Santa incontrò a Medina un giovane frate, allora venticinquenne: si chiamava fra Giovanni Della Croce ed era animato dallo stesso zelo; fu invitato a preparare il primo convento maschile a Duruelo (Avila) e a vestire, per primo, il nuovo saio che la stessa Teresa aveva ideato. La nuova vita di CARMELITANI SCALZI fu quivi inaugurata il 28 novembre del 1568 secondo le norme e le indicazioni di Teresa: ritorno alla Regola del 1247, spirito di mortificazione e di ritiro, perenne comunione orante con Dio, sforzi per rendere sempre più feconda l’azione apostolica. Nel 1570, dato il fiorire delle vocazioni, con l’autorizzazione del Padre Generale, si aprì ad Alcalà di Henares il primo Collegio della Riforma per favorire gli studi dei giovani religiosi.
Rettore ne fu, l’anno dopo, Padre Giovanni Della Croce.
Successivamente furono inaugurati il quarto convento ad Altomira, seguito da un altro a La Roda-Cuenea (1572).
Per quanto riguarda il perfezionamento delle strutture e dell’assetto giuridico dell’Ordine, importante RISULTO' l’opera di Padre Nicolò Doria, il quale ottenne da Papa Sisto V, nel 1587, l’erezione della Riforma Teresiana in Congregazione autonoma, con un proprio Vicario Generale. Non contento di questo, lavorò anche per la completa separazione dell’Antico Ordine Carmelitano, avvenuta nel 1593 con editto di Papa Clemente VIII: il superiore non si sarebbe più dovuto chiamare Vicario, ma Preposito Generale (nel 1594 venne eletto alla carica Padre Elia di San Martino). Se il 1600 segna l’inizio ufficiale della nuova Congregazione, già dall’anno prima i CARMELITANI D’ITALIA avevano redatto un testo di Costituzioni proprie, diverse da quelle spagnole, che rimasero in vigore con poche modifiche praticamente fino a oggi. Importante è ricordare il fatto che già nel 1605 il Capitolo Generale della Congregazione d’Italia decideva ufficialmente l’inizio di un’attività missionaria che prese il via nel 1620, sì che fu eretto in Roma un Seminario delle Missioni che si chiamò di San Pancrazio.
Le soppressioni dell’Ottocento segnarono la fine di un’istituzione che Papa Clemente XI, nel 1707, proponeva come esempio agli altri Ordini e che si era dimostrato centro così attivo di teologia e di pastorale missionaria. Il Seminario fu tuttavia restaurato in nuova sede, sempre accanto alla basilica di S. Pancrazio al Gianicolo, nel 1936; al presente sussiste praticamente incorporato al Teresianum, il collegio internazionale dell’Ordine: e se ogni Ordine religioso ha nella Chiesa la sua vocazione particolare, secondo la Regola del Carmelo e l’esempio dei suoi santi il nobile fine proposto è quello di mantenere, sviluppare e diffondere lo spirito di contemplazione.
Etichette:
Alberto,
Carmelitani,
Concili,
Crociati,
Cultura-Barocca,
Gerusalemme,
Madonna,
Nicolò Doria,
Padre,
Palestina,
Patriarca,
regola,
Siria
Iscriviti a:
Post (Atom)