Illustrazioni di Theodore de Bry pubblicate nella Brevissima relacion de la destruycion de las Indias de Bartolomé de las Casas, 1552 |
L'Impero Azteco non era molto dissimile rispetto agli imperi della storia europea.
Come molti imperi europei, infatti, era composto da molte etnie ma era un sistema di tribù più che un vero e proprio sistema di amministrazione.
Come molti imperi europei, infatti, era composto da molte etnie ma era un sistema di tribù più che un vero e proprio sistema di amministrazione.
...Malineli Tenepatl, Malinche, Malintzin o Doña Marina (Coatzacoalcos, 1502 – 1529), è famosa per essere stata l'interprete e, nel contesto di versioni diverse e contrastanti, l'amante di Hernán Cortés che ne parla al capo 56 della sua "Relazione". Viene conosciuta con i nomi Malinalli, Malintzin (trasposizione in spagnolo del nome originale; il suffisso tzin stava ad indicare uno stato di nobiltà), o meglio Malinche o La Malinche, nome con il quale è più comunemente ci si riferisce a lei, oppure usando il nome cristiano con il quale venne battezzata, Marina, quasi sempre con l'appellativo di doña Marina. Gli Aztechi chiamarono Cortes con lo stesso nome Malinche.
...Cortés ben sapeva che il suo esercito spagnolo di alcune centinaia di uomini, nonostante la superiorità tecnologica in campo bellico e l'artiglieria per quanto ancora bisognosa di evoluzioni che saranno assai considerevoli solo dal XVIII secolo, senza l'aiuto dei nemici storici degli Aztechi, in particolare degli abitanti della "Repubblica di Tlaxcala", che gli fornì un'armata di migliaia di combattenti rivelatisi basilari per la vittoria il suo destino a fronte dell'immenso esercito che Montezuma - peraltro, al pari dei suoi sacerdoti, sempre meno convinto della validità di una rovinosa profezia sulle sorti dell'Impero espressa da sua sorella - poteva mettere in campo sarebbe stato prima o poi segnato.
"...La principessa [sorella, non amata, di Montezuma II, in fama di religiosissima se non addirittura di sibilla e, cosa da lui oltremodo destastata, concorde coi Sacerdoti del culto tradizionale ] pregollo [l'uomo che, invocato dalla consorte, l'aveva trovata viva e sana dopo che la morte l'aveva poco prima sottratta] di far sapere a Montezuma [i nomi risentono dei fenomeni di spagnolizzazione e variano nella grafia: propriamente dovrebbe dirsi Moctezùma Sciocoyotzin, vale a dire Moctezùma il Minore per distinguerlo da Moctezùma il Grande, vale a dire Moctezùma I ] suo fratello ch'ella avea un affare dell'altro mondo da partecipargli. Montezuma, accompagnato dal re di Tescùco e da alcuni grandi della sua corte andò a vedere la pretesa resuscitata [oltre la "favola" di cui qui si parla, non si può escludere un qualche fatto reale e che, con il supporto dei sacerdoti avversi alla riforma teocratica dell'Imperatore, la donna avesse fatto ricorso per una sorte di catalessi alle svariate proprietà della medicina sciamanica] : trovolla in mezzo ad una folla di preti, mentre assicurava a tutta questa assemblea colla massima franchezza, ch'era veramente morta, ma che nel momento che passava il fiume dell'oblivione, un giovane l'arrestò, la prese per mano, e le fece comprendere che il regno dei cattivi era finito, che Topilcin era in via per tornare nel Messico e spandere una nuova luce sull'Anahuac; e che la consigliò a riedere nuovamente alla vita, per annunziare l'ultima risoluzione di Dio, e predicare che tutti si preparassero a ricever Topilcin rispettosamente e con gratitudine, siccome una celeste redenzione, e per ricevere ella la prima, devotamente, il divino liberatore [e il tutto innegabilmente risuonava come una condanna della riforma teocratica realizzata da Montezuma oltre che una formidabili riproposizione delle vicende degli antichi Aztechi, da secoli scesi nell'ombra, che, dopo tante vicissitudini e peregrinazioni, come imposto da un oracolo, più antico d'ogni cosa, si fermarono innanzi ad "un'Aquila assisa sur un Nopalo che venisse fuori dalle crepacciature di uno scoglio" = nel luogo donde che avrebbe segnato ed esteso i grandi destini dell'immenso Impero che da loro sarebbe derivato ]... "
Ixtlilxochitil, re ma in qualche modo usurpatore di Texcuco, si alleò (non unico) con gli Spagnoli = la difesa, che ne fece un discendente, la "Memoria" di Don Ferdinando D'Alva Cortes Ixtlilxochitil fu validamente confutata dall'edizione critica del Bustamante (che la editò) con una feroce critica agli Spagnoli sotto titolo de Orribili Crudeltà dei conquistatori del Messico e degli Indiani che li aiutarono a sottomettere questo Impero alla Corona di Spagna, in cui tra altre considerazioni nella Conclusione del Bustamante avverso Ixtlilxochitil fattosi con migliaia e migliaia di uomini alleato dei Conquistatori Spagnoli, assieme agli storici nemici dell'Impero Azteco, vale a dire i componenti della potente "Repubblica di Tlaxcala" [un ruolo basilare ma spesso solo ombreggiato nella "Conquista" di Cortés la ebbe Malineli Tenepatl, Malinche, Malintzin o Doña Marina che fu interprete del condottiero spagnolo (il quale ne scrisse nelle sue Lettere) e che soprattutto svolse una funzione basilare per pacificare quest'ultimo con la Repubblica di Tlaxala = accerrima nemica dell'Impero azteco o meglio della federazione delle tre città Tenochtitlán, Texcoco e Tlacopán. Del resto Cortés giunse ad affrontare Tlaxala con l'appoggio di 12.000 Totonachi passati dalla sua parte: Cortés seppe sfruttare le divisioni esistenti all'interno dell'Impero, acuita dalla politica teocratica di "Montezuma II" entrato in contrasto coi suoi stessi sacerdoti e con la stessa sorella).
Tlaxala era accerrima nemica dell'Impero azteco o meglio della federazione delle tre città Tenochtitlán, Texcoco e Tlacopán e di conseguenza alleatasi con Cortes fornì enormi aiuti in vettovagliamento e soprattutto un esercito che giunse a superare le 70.000 unità aspirando il suo Senato in caso di un successo spagnolo di riconoscimenti peculiari, sin a poter egemonizzare il nuovo Messico, da parte di Carlo V: riconoscimenti che avvennero, seppur la città venne falciata, senza più risorgere, da un'epidemia di vaiolo portata dagli Spagnoli di maniera che Tlaxala non ebbe quanto sperato, vedendo accomunato il suo destino a quello di altre genti, nemici storici compresi = quello, cioè, che vien comunemente definito il genocidio mesoamericano dovuto all'avidità spagnola e sostenuto dall'imposizione coatta del cattolicesimo (pur non dovendosi dimenticare alcuni religiosi qui proposti elettisi, fra molti rischi, difensori dei nativi), tra non poche manifestazioni di superstizione, con relative devastazioni di patrimonio culturale e monumentale, diffusesi nel corso delle sovrapposizioni cultuali volute dai nuovi padroni del Messico (a livello di questo colossale degrado è comunque opportuno rammentare lo scempio demografico fu in buona parte anche alimentato dall'"importazione" dall'Europa nel "Nuovo Mondo" di malattie ignote e falcidianti, tra cui il vaiolo ma non solo, ebbero un ruolo catastrofico -
Resta quindi, per correttezza, da precisare che Cortés, consapevole delle tensioni storicamente interne all'Impero Azteco, e peraltro acuite dalla feroce teocrazia introdotta da "Montezuma II" contro il parere di sua sorella e dei suoi stessi sacerdoti, in effetti ebbe come primi alleati i Totonachi di "Cimpual" che gli fornirono un esercito di 12.000 uomini ). Senza queste varie forze, nonostante la superiorità delle armi (in dettaglio archibugi e cannoni), il piccolo contingente di Cortés (in contrasto con altri spagnoli con cui dovette combattere venendo giudicato ribelle come lui stesso scrisse parlando però non di ribellione sua di "mal'animo" altrui) senza tali aiuti sarebbe stato spazzato via dal monumentale esercito imperiale = e se a tutto ciò si aggiungono le diecine di migliaia di uomini che il ribelle Ixtlilxochitil sottrasse all'esercito azteco, cui apparteneva, si unì a Cortès si intende bene come la Conquista - che sarebbe certo avvenuta ma solo in virtù dell'arrivo di forze spagnole ben superiori - non sarebbe sopraggiunta nei termini noti, talora alimentati partendo dall'Ottocento da una certa retorica, menzionando pure l'oculato nordamericano Prescott]. on il crollo di Tenochtitlán e dell'impero azteco, la conquista spagnola non si fermò. Oltre a sottomettere il resto dell'attuale Messico e di gran parte dell'America centro-meridionale, compresi i popoli con i quali si erano in un primo tempo alleati, l'impero spagnolo negli anni seguenti attuò una seconda conquista, ossia nella sistematica repressione delle culture e delle religioni indigene. Il Cattolicesimo venne imposto con la forza (anche se, per correttezza, non bisogna dimenticare quei religiosi che rischiarono anche la vita per tutelare i precolombiani: citiamo qui, fra molti, i nomi di B. de Las Casas, di Fra Marco da Nizza, del Padre e Predicatore Gesuita Antonio Vieira ed ancora del domenicano Diego Duràn). Comunque nel sostanziale processo di imposta conversione dei nativi al Cattolicesimo le antiche divinità vennero rapidamente associate al demonio secondo un processo decisamente più severo di quello antichissimo intercorso in Europa nel passaggio dal Paganesimo al Cristianesimo. Del resto data la dominazione spagnola operava inizialmente la più intollerante Inquisizione Spagnola che, in correlazione con il serpeggiare della Superstizione, alimentava un clima di terrore avverso ogni diversità precolombiana, peraltro e spesso reso eclatante dalle novità ambientali oltre che culturali contro cui urtava la paura del diverso degli Europei alle prese con un Mondo davvero Nuovo. Dieci anni dopo la caduta del grande impero azteco e delle divinità della spiritualità tradizionale, nelle vicinanze del lago dell'antica Tenochtitlán si crede sia apparsa a un indio di nome Juan Diego una visione mistica. I cristiani la associarono immediatamente alla Madonna, chiamata Nostra Signora di Guadalupe e divenuta in seguito la patrona del Messico e dell'America Latina. L'apparizione tuttavia — come fa notare lo storico William Taylor — presentava le caratteristiche tipiche di alcune divinità locali, come il mantello blu e verde della coppia cosmica di Ometeotl e un'agave americana, pianta associata alla Dea Madre, un tempio alla quale sorgeva inoltre sulla stessa collina di Tepeyac, luogo della manifestazione. Gran parte dei codici e del patrimonio culturale azteco venne mandato al rogo dall'inquisizione, (assieme a molti indigeni), causando così la scomparsa quasi totale delle culture precolombiane. Esemplare quanto accaduto durante la costruzione della Cattedrale di Città del Messico: ci furono diversi cedimenti e le autorità religiose non tardarono a incolpare il terreno e le pietre usate per la costruzione. Infatti la nuova cattedrale stava sorgendo sopra le rovine del Templo Mayor di Tenochtitlán ed era edificato proprio con le pietre del tempio pagano. Si diffuse così, in un clima di paura e superstizione, la credenza che le divinità azteche fossero presenti nelle pietre della Cattedrale. Soltanto nel XIX secolo si iniziò a recuperare le antiche culture mesoamericane. Tutte queste sono considerazioni che possono descrivere in qualche maniera il quadro generale della situazione drammatica venuta a crearsi: comunque a prescindere da sottomissione religiosa e distruzione del patrimonio culturale precolombiano la conquista del Messico diede agli Spagnoli (ma poi e per altre contrade americane -sin ad occupare fra tutti l'intiero continente- a Portoghesi, Inglesi, Francesi) il quasi assoluto dominio per circa 300 anni (sino alla loro crisi e poi all'indipendenza delle popolazioni locali) di un territorio vastissimo e ricchissimo di materie prime e di minerali preziosi come l'oro e l'argento. Per gli aztechi e le altre popolazioni indigene significò l'annientamento quasi totale della propria cultura e identità, che sarebbero confluite solo nei secoli successivi in una nuova cultura meticcia e in una nuova grande nazione erede di due popoli. Un fattore decisivo: la catastrofe demografica causata dalle malattie. Secondo i ricercatori Cook e Borah [Cook, S. F. y W. W. Borah (1963), The indian population of Central Mexico, Berkeley (Cal.), University of California Press ], la popolazione azteca diminuì da 25 milioni a 6 milioni in 30 anni dalla conquista. La storiografia moderna ha determinato che uno dei fattori decisivi, se non quello definitivo, che rese possibile la conquista e la sottomissione delle culture e degli imperi dell'America Latina da parte degli europei, fu la catastrofe demografica causata dalle malattie portate dagli europei nel Nuovo Mondo. Naturalmente fu inevitabile che malattie, contro cui neppure in Europa la medicina possedeva rimedi, come il vaiolo e la peste abbiano costituito il vertice della rovina demografica ma è fuor di luogo che pure altre malattie nei cui confronti i nativi non avevano elaborato anticorbi svolsero un ruolo non da poco nel falcidiare la popolazione nativa. I citati Cook e Borah, dell'Università di Berkeley, dopo decenni di ricerche ed aver sostenuto che quando Cortés sbarcò in Messico, la popolazione della regione arrivava a circa 25,2 milioni di persone sostennero che 100 anni dopo ne rimanevano meno di un milione. Nella stessa epoca Spagna e Portogallo assieme non arrivavano a 10 milioni di abitanti e in tutta Europa vivevano circa 57,2 milioni di persone. Il Messico ha recuperato la popolazione del XV secolo solo negli anni sessanta del XX secolo.
Bernal Díaz del Castillo, conquistador, esploratore spagnolo e cronista della Conquista del Messico al seguito di Hernán Cortés nel suo libro Historia Verdadera de la Conquista de la Nueva España lasciò scritto che nella presa della grande provincia di Cempoal, trovarono nei templi, tra le altre cose, anche numerosi libri Con Codici Aztechi si indicano i manoscritti opera di autori aztechi nel periodo precolombiano e in quello della conquista spagnola.
Questi codici sono una delle principali fonti primarie per la conoscenza della cultura azteca.
I codici precolombiani differiscono da quelli europei in quanto sono in larga parte pittografici.
Le ipotesi che si fanno a proposito dei supporti sono proposte sulla scorta di poche notizie: dato che sappiamo che Aztechi e Maya hanno prodotto una grandissima quantità di libri, oggi chiamati comunemente codici, le cui pagine erano realizzate utilizzando pelle di daino, corteccia di ficus e fibre di agave, è probabile che anche le mappe fossero disegnate su fogli degli stessi materiali. Fermo restando un plausibile dibattito, effettivamente in corso, sulla reale o quantomeno più usuale tipologia di questi supporti, in merito a quanto qui si discute, giova rammentare che de visu pure lo stesso Cortès potè constatare l'importanza della scrittura anche solo per l'amministrazione del vasto dominio messicano e la contabilità e verosimilmente con la scrittura, per quanto estranea agli spagnoli, l'esigenza di biblioteche ed archivi ove conservare i tanti documenti rammentando che oltre a cio' Cortès -come si evince da un brano dalle lettere che costituiscono la "Relazione a Carlo V"- di rimpetto alla grandezza dell'impero e alla poca conoscenza spagnola delle coste ebbe occasione di chiedere a Montezuma, che lo soddisfece con incredibile rapidità come qui si legge, una mappa dettagliata di particolari approdi.
Non ci sono codici superstiti fatti con questo materiale, benchè Francisco Lopez de Gómara, cronista e compagno di Cortés durante la conquista, ce ne abbia lasciato testimonianza.
Di fatto, gli esemplari di mappe di epoca coloniale sono dipinti su stoffe di cotone o su carta di tipo europeo, molto raramente su pelle di animale.
Dopo la conquista, taluni affermano che molte di queste mappe furono bruciate nei roghi di libri "eretici" organizzati dai monaci francescani, roghi nei quali vennero bruciati migliaia di libri = che ciò sia avvenuto o meno e che di ciò si siano occupati i francescani e non piuttosto i Conquistadores resta aperta la strada verso quei tanti religiosi che si adoprarono per la salvaguardia di prodotti librari aztechi e tra cui un ruolo notevole è da attribuire, tra altri, proprio ad un religioso francescano (il missionario Bernardino de Sahagún da cui dipese la salvezza del così detto "Codice fiorentino" ) che comprese molto della religiosità azteca, anche in forza della storia delle lingua, pervasa di una cosmogonia che aveva assai meno aspetti diabolici di quanti si supponevano.
I codici dell'era coloniale invece non contengono solamente pittogrammi, ma anche scritti in lingua Nahuatl (in caratteri latini), in spagnolo, e occasionalmente in latino.
Nonostante ci rimangano solamente pochissimi codici pre conquista, la tradizione dello tlacuilo (pittore di codici) sopravvisse alla transizione alla cultura coloniale; gli studiosi hanno accesso attualmente a circa 500 codici dell'epoca.
Questi codici sono una delle principali fonti primarie per la conoscenza della cultura azteca.
I codici precolombiani differiscono da quelli europei in quanto sono in larga parte pittografici.
Le ipotesi che si fanno a proposito dei supporti sono proposte sulla scorta di poche notizie: dato che sappiamo che Aztechi e Maya hanno prodotto una grandissima quantità di libri, oggi chiamati comunemente codici, le cui pagine erano realizzate utilizzando pelle di daino, corteccia di ficus e fibre di agave, è probabile che anche le mappe fossero disegnate su fogli degli stessi materiali. Fermo restando un plausibile dibattito, effettivamente in corso, sulla reale o quantomeno più usuale tipologia di questi supporti, in merito a quanto qui si discute, giova rammentare che de visu pure lo stesso Cortès potè constatare l'importanza della scrittura anche solo per l'amministrazione del vasto dominio messicano e la contabilità e verosimilmente con la scrittura, per quanto estranea agli spagnoli, l'esigenza di biblioteche ed archivi ove conservare i tanti documenti rammentando che oltre a cio' Cortès -come si evince da un brano dalle lettere che costituiscono la "Relazione a Carlo V"- di rimpetto alla grandezza dell'impero e alla poca conoscenza spagnola delle coste ebbe occasione di chiedere a Montezuma, che lo soddisfece con incredibile rapidità come qui si legge, una mappa dettagliata di particolari approdi.
Non ci sono codici superstiti fatti con questo materiale, benchè Francisco Lopez de Gómara, cronista e compagno di Cortés durante la conquista, ce ne abbia lasciato testimonianza.
Di fatto, gli esemplari di mappe di epoca coloniale sono dipinti su stoffe di cotone o su carta di tipo europeo, molto raramente su pelle di animale.
Dopo la conquista, taluni affermano che molte di queste mappe furono bruciate nei roghi di libri "eretici" organizzati dai monaci francescani, roghi nei quali vennero bruciati migliaia di libri = che ciò sia avvenuto o meno e che di ciò si siano occupati i francescani e non piuttosto i Conquistadores resta aperta la strada verso quei tanti religiosi che si adoprarono per la salvaguardia di prodotti librari aztechi e tra cui un ruolo notevole è da attribuire, tra altri, proprio ad un religioso francescano (il missionario Bernardino de Sahagún da cui dipese la salvezza del così detto "Codice fiorentino" ) che comprese molto della religiosità azteca, anche in forza della storia delle lingua, pervasa di una cosmogonia che aveva assai meno aspetti diabolici di quanti si supponevano.
I codici dell'era coloniale invece non contengono solamente pittogrammi, ma anche scritti in lingua Nahuatl (in caratteri latini), in spagnolo, e occasionalmente in latino.
Nonostante ci rimangano solamente pochissimi codici pre conquista, la tradizione dello tlacuilo (pittore di codici) sopravvisse alla transizione alla cultura coloniale; gli studiosi hanno accesso attualmente a circa 500 codici dell'epoca.