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venerdì 12 gennaio 2018

Ovidio tra storia e leggenda

 

Publio Ovidio Nasone è il più importante personaggio di Sulmona (vedine sopra la mappa).
Nato nel 43 a.C in una famiglia benestante erede di un'antica gens equestre, Ovidio e il fratello Lucio furono mandati a Roma per studiare grammatica e retorica alla scuola di Arellio Fusco e Porcio Latrone.
Lucio, che morirà prematuramente, avrebbe voluto esercitare l'attività forense, mentre Ovidio eccelleva nello scrivere d'istinto versi ingegnosi e brillanti, che ne rispecchiavano il carattere passionale.
Così, dopo un lungo viaggio in Grecia, Asia Minore, Egitto e Sicilia, d'obbligo a quei tempi per perfezionare gli studi, tornò a Roma come poeta, entrando a far parte del circolo letterario di Valerio Messalla, in cui conobbe anche Tibullo e la cui morte lo commosse profondamente.

In poco tempo diventò il poeta preferito dai giovani e dagli ambienti eleganti.
Scrisse, come prima opera, una raccolta di elegie amorose intitolata Amores a cui seguì le Heroides, lettere d'amore in versi ad eroi degli antichi miti, scritte dalle loro amanti.
Ma il libro che lo rende in poco tempo famoso e chiacchierato è la scandalosa, per l'epoca, Ars Amatoria, scritta in distici elegiaci.
Nei primi due libri Ovidio suggerisce agli uomini come conquistare le donne, nell'ultimo insegna alle donne come sedurre gli uomini.
Insieme ai Remedia Amoris, ossia i consigli per guarire dall'ossessione dell'innamoramento, e ai Medicamina Faciei Foeminae, consigli al gentil sesso su come truccarsi, si chiude il primo periodo della produzione poetica di Ovidio.
La seconda parte, invece, è quella più impegnata e più aderente ai motivi cari all'imperatore Augusto, ossia la moralizzazione della società, l'idealizzazione della storia romana e la salvaguardia degli antichi costumi.

Nascerà così il poema capolavoro della produzione ovidiana: le Metamorfosi .
Composto da ben 15 libri scritti in esametro, raccoglie la gran parte dei miti di tradizione greco-romana attraverso un susseguirsi di racconti e vicende tutte intrecciate tra loro.
Si tratta di un'opera che ha influenzato gran parte della nostra letteratura, da Dante a D'Annunzio.
L'altra opera dedicata alla valorizzazione dei costumi romani si intitola I Fasti.
In sei libri di distici elegiaci, Ovidio voleva illustrare il calendario romano, con tutte le feste e i riti religiosi che venivano svolti nel corso dell'anno a Roma.
I libri dovevano essere dodici, uno per ogni mese, ma al sesto libro Ovidio decise di non continuare l'opera lasciandola interrotta.

Nel 8 d.C., infatti, l'imperatore Augusto emanò un editto col quale veniva ingiunto ad Ovidio di lasciare l'Italia per Tomi, l'odierna Costanza, alle foci del Danubio.
Le cause dell'esilio verranno accennate in un'elegia dallo stesso Ovidio: le due ipotesi riguardano un Carmen, forse l'Ars Amatoria che non era opera gradita all'imperatore, e un Error, ossia un episodio imprudente o riprovevole di cui fu protagonista.
L'editto, nonostante le numerose richieste da parte del poeta, non verrà mai ritirato, neanche da Tiberio.
Dal 9 al 18 d.C. Ovidio rimarrà a Costanza scrivendo elegie sulla nostalgia per Sulmona e sulla tristezza dell'esilio: saranno raccolte nei Tristia, in cinque libri, e nelle Epistulae ex Ponto, in quattro libri.
Opere minori sono l'Ibis, poemetto di invettive contro un amico che lo abbandonò in occasione dell'editto, il cui titolo allude ad un uccello egiziano che secondo gli antichi aveva immondi costumi (si cibava di rettili e di rifiuti) e Halieutica, poemetto sulla pesca e sui pesci del Mar Nero, di cui sono rimasti solo 135 esametri.
La morte lo colse a Tomi nel 18 d.C. e lì venne sepolto.

La gente di Sulmona, nel corso dei secoli, tramandò oralmente una serie di notizie sulla vita del poeta dell'amore che si mescolano fra realtà e fantasia.
Nel Medioevo si tramandava di Ovidio mago e della sua villa piena di trappole e meraviglie per allontanare i curiosi e al cui interno vi era un pozzo dentro cui Ovidio, dannato, parlava col demonio in persona.
Avendo scritto opere considerate licenziose se non scandalose, era considerato un donnaiolo e l'artefice di un infallibile filtro afrodisiaco (grazie ai suoi noti poteri magici), capace di risvegliare gli ardori, di unire o separare gli innamorati.

Tuttavia la grandezza e il prestigio di Ovidio presso la gente peligna erano così sentiti che si tramandava pure che, nell'ultima parte della sua vita, il poeta abbandonò la magia e fece penitenza sul Morrone, diventando un perfetto cristiano.

La Villa, come già detto, è stata da sempre al centro delle leggende popolari.
Il luogo in cui si pensava sorgesse è la zona di Fonte d'Amore, alle pendici del Morrone, dove sono stati scoperti i resti del Tempio di Ercole Curino.
Naturalmente all'interno di questa fantomatica villa era presente un immenso tesoro che sarebbe stato trovato, secoli dopo, da Celestino V.
Il Papa eremita lo avrebbe in parte utilizzato per la costruzione della Badia di Santo Spirito: il resto del tesoro sarebbe poi sprofondato sottoterra e nessuno l'avrebbe più ritrovato.
Infine si tramanda che Ovidio "leggeva con i piedi"! Nella statua del Cortile della S.S. Annunziata , infatti, il sommo poeta viene rappresentato con corona d'alloro, abito fratesco e un grosso libro sotto i piedi.
Si tratta della statua più antica, risale al 1474, e fu voluto da Polidoro Tiberti da Cesena, lo stesso capitano della città che fece realizzare la Fontana del Vecchio.

da Cultura-Barocca