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giovedì 18 aprile 2019

Su Esiodo

Gustave Moreau, Esiodo e una Musa (1891) - Fonte: Wikipedia
Esiodo (in greco antico Esiodos, in latino Hesiodus), poeta greco, le cui opere sono fatte risalire al periodo tra la fine dell'VIII secolo e l'inizio del VII secolo a.C,  nacque ad Ascra, in Beozia. Per quanto riguarda la data di nascita, fin dall'antichità non si sa con precisione se porlo come precedente, contemporaneo o posteriore a Omero. Erodoto lo crede di 4 secoli più antico di lui, un'indicazione che riporterebbe la nascita di Esiodo intorno al VIII secolo prima di Cristo. Egli tuttavia partecipò alle feste in onore di Amfidamante, dove partecipò ad un agone in cui ottenne la vittoria ed un tripode in premio, la cui datazione oscilla di qualche decennio a cavallo del 700 a.C. È quindi riconosciuta dai critici moderni la collocazione di Esiodo intorno al principio del VII secolo a.C. Un Agone dà invece una testimonianza del tutto sospetta della contemporaneità con Omero.

I dati biografici ci vengono invece dati dalle sue stesse opere. Figlio di un commerciante marittimo, originario della Cuma eolica, costretto a trasferirsi in Beozia per la fallita attività, dice egli stesso di non intendersi di mare, perché fece una sola traversata nella sua vita, quella da Aulide a Calcide in Eubea per le feste di Amfidamante. Per questo motivo i critici ritengono impossibile la nascita nella città di origine del padre (non avendo fatto che quell'attraversata e non il passaggio da Cuma ad Ascra), e vedono come città natale Ascra stessa, anche se l'affermazione di Esiodo non sarebbe in contraddizione con una sua nascita nella Cuma eolica (la traversata infatti sarebbe stata fatta dall'Esiodo ancora bambino al seguito del padre).

Trasferitosi quindi in Beozia, il padre dovette diventare un agricoltore e sulle sue orme lo divenne pure Esiodo, tanto che la sua Le opere e i giorni da una dettagliata descrizione della vita contadina del tempo.

Alla morte del padre, il patrimonio viene diviso tra lui e il fratello, Perse, che dopo avere dilapidato tutta la sua parte riuscì tramite raggiro ad impossessarsi della parte di Esiodo (dopo un processo giudiziario in cui corruppe i giudici). Plutarco ci riporta della sua morte violenta, ucciso dai fratelli di una donna che sedusse o tentò di sedurre.

Si narra che alle feste in onore di Amfidamante, dove vinse, Esiodo avesse superato in bravura Omero stesso. Questo dato non è più di tanto attendibile, poiché il certamen che lo attesta sembra un invenzione del sofista Alcidamante .

Oltre alle Opere e giorni, Esiodo è sicuramente anche autore della Teogonia, il primo poema religioso greco che tenta di stabilire un ordine nella genealogia delle divinità adorate in Grecia (teogonia è esattamente questo, cioè la nascita delle divinità). Quest'opera nasce dall'esigenza da parte dell'autore di "definire" e riorganizzare la fluttuante materia mitologica che, a causa delle diverse tradizioni locali dell'Ellade, presentava differenti leggende o addirittura differenti "genealogie" per il medesimo dio o dea. Essa, inoltre, contiene numerose informazioni sulle origini dell'universo e sulle divinità primordiali, che contribuirono alla sua formazione e proprio per tale ragione si ritiene che la Teogonia fu il testo che garantì la vittoria di Esiodo alle feste Calcidiche, e che quindi vada ritenuto precedente alle Opere. Oltre alle due celeberrime opere a noi per intero arrivate, del corpus esiodeo dovevano far parte anche il Catalogo delle donne o Eoie, conservato in forma frammentaria, lo Scudo di Eracle e una serie di opere minori, tutte conservate gravemente frammentate e della cui autenticità gli stessi antichi già dubitavano. Non è per nulla chiaro cosa fossero le Grandi Eoie, di cui sono attestati a malapena il titolo e qualche frammento.

Esiodo è un poeta epico, e quindi la sua lingua è quella dell'epos, condizionata già dall'uso dell'esametro. Esiste tuttavia qualche eccezione, spesso forme che rimandano ai dialettismi locali, più presenti nelle Opere. Ovviamente, data la posizione eolica della Beozia (dove le opere esiodee sono composte), sono più presenti gli eolismi in confronto all'epos omerico. Da parte di quei critici che vogliono Esiodo come un rappresentante di una tradizione poetica indipendente, sono stati ipervalutati quegli aspetti linguistici estranei totalmente ad Omero, come alcuni infiniti brevi e accusativi plurali brevi della prima declinazione. Lo stile formulare invece, è variegato. Molte sono, difatti, le formule prettamente omeriche o costruite su di esse. Omero inoltre non poteva essere presente come modello (a differenza di quello che avvenne nell'epica più tarda) bensì come rappresentante di un genere letterario ancora vivo e attivo, e la cultura a cui apparteneva Esiodo, quella Beotica, era diversa da quella che aveva prodotto l'epos.

Esiodo occupò sempre il primo posto nella poesia epica insieme ad Omero, ed era una grandissima personalità, e come avvenne per Omero attirò a sé una quantità di opere non sue. Si riporta di seguito la lista completa delle opere minori, di cui però spesso girava il sospetto (o la certezza) che si trattassero di apocrifi.

Opere di Esiodo:
· Il catalogo delle donne o Eoie
· Lo scudo di Eracle
· I precetti di Chirone
· L'Astronomia
· L'Aigìmios
· La Melampodia
· La discesa nell'Ade di Pirìtoo
· Le nozze di Ceìce (forse appartente al Catalogo )
· Dattili Idei
· Le Grandi Opere
· L'Ornithomànteia

Le opere e i giorni è un poemetto di Esiodo, scritto nel metro (esametro dattilico) e nella lingua tradizionale dell'epopea.
Il contenuto non è narrativo, ma riflessivo e moraleggiante. Esiodo aveva fin lì scritto opere di contenuto mitologico ed erudito. Il cambiamento fu indotto da un fatto della sua vita personale, citato anche nei primi versi: un'ingiustizia subita nella divisione dell'eredità paterna che lo portò ad una lite con il fratello.
Nella prima parte esprime consigli al fratello, esponendo il pensiero del poeta sul problema della giustizia e del lavoro. La ricchezza è benefica per l'uomo, perché incita al lavoro, ma è facile cadere negli eccessi. C'è un peccato originale che grava sull'umanità, poco basterebbe alla felicità se gli dei non ne nascondessero il segreto. Dal giorno in cui Prometeo diede agli uomini il fuoco e le arti, la necessità del lavoro senza fine è ricaduta sull'umanità, insieme ai dolori e alle malattie. Il pessimismo di Esiodo si ritrova nel mito delle età del mondo, con un decadimento dall'età dell'oro a quella del ferro, e, per il futuro, prevede mali anche peggiori. La salvezza dell'uomo è nella giustizia, nell'onestà e nella prudenza, che possono dare una ricchezza benedetta dagli dei.
L'esortazione al lavoro, che chiude la prima parte, dà l'inizio ai temi della seconda parte: i precetti sull'economia domestica e sul lavoro dei campi in relazione alle stagioni. Successivamente tratta il commercio e la navigazione, anche se più brevemente. Una serie di sentenze morali e precetti pratici diversi segna il passaggio all'ultima parte.
La terza parte dell'opera, consiste in un calendario, suddiviso per mesi, nei quali sono indicati giorni più adatti per le diverse attività. Di questa parte non si ha la certezza che sia stata scritta dallo stesso Esiodo ma si pensa sia stata aggiunta successivamente.
Le opere e i giorni segnano un momento importante della letteratura greca. L'aedo, abituato a divertire le corti con le gesta leggendarie dell'aristocrazia, si rivolge alle attività dell'uomo comune. La coscienza di Esiodo è sorretta da un vivo senso religioso e cerca di elevarsi ad una concezione morale del mondo la saggezza e le superstizioni del tempo. I versi ci riportano una società che ha bisogno del lavoro per vivere: «Non il lavoro ma l'ozio è un disonore». Esiodo è stato chiamato poeta dei contadini, ma non è un poeta contadino: la vita dei campi è vista da uomo colto e la esprime con forme tradizionali. Taluni la considerano un'opera didascalica su lavoro dei campi, mentre deve essere considerata una meditazione sui problemi della vita sociale (in special modo quello della giustizia)

La Teogonia è un poema mitologico di Esiodo , in cui si raccontano la storia e la genealogia degli dei greci. Si ritiene che sia stato scritto intorno all'anno 700 a.C. , ed è una fonte fondamentale per la mitografia. L'opera è composta da 1022 esametri e ripercorre gli avvenimenti mitologici dal Caos primordiale fino al momento in cui Zeus diviene re degli dei; sembra sia stata scritta verso l'anno 700 a.C. L'ordine introdotto dal poeta non è ben riconoscibile, tanto da far discutere i critici su trasposizione e interpolazioni. Il disegno generale è comunque quello del pensiero esiodeo, quale risulta anche ne Le opere e i giorni. In un ampio proemio iniziale, Esiodo parla delle Muse, citando anche sé stesso. Quindi racconta di come dal Caos si originarono l'Erebo e la Notte e il Giorno. Dalla Terra nacquero Urano (il cielo) e il Mare; da Urano la famiglia dei Titani, l'ultimo dei quali, Crono , mutilò il padre e regnò sugli altri dei, finché non venne sostituito da Zeus.
Il passaggio dalla signoria dei Titani alla monarchia di Zeus viene visto dal poeta come il passaggio dalla violenza e dal disordine all'ordine e alla giustizia. Segue una lunga ridistribuzione della potenza degli dei, con l'indicazione anche delle divinità minori, talora in elenchi che sembrano alberi genealogici. Alla fine viene fatto cenno alle unioni tra gli dei e degli dei con i mortali, che daranno origine alle schiere degli eroi della mitologia greca.
Sicuramente antecedente alle Opere , quest'opera non va probabilmente considerata teologica in senso stretto. La sua funzione non è quella di spiegare razionalmente (o giustificare) la natura del mondo divino, ma solo di descrivere tale mondo e la sua struttura. Esiodo propone quindi una dettagliata genealogia divina, simile a quella degli eroi, che però nell'epica si limita a scarne indicazioni, soprattutto formulari, che servono a integrare la visione complessiva dell'eroe con la sua discendenza. Per Esiodo, la genealogia divina non è un'integrazione, è il soggetto stesso dell'opera, un elemento cioè costitutivo.
Il poema si apre (come di consueto nell'epica greca) con una invocazione alle Muse; ma è una novità di quest'opera è l'"investitura personale" che Esiodo proclama per sé stesso. Non va trascurato che Esiodo è il primo autore occidentale di cui abbiamo una biografia (o almeno dei dati biografici) forniti dall'autore stesso, a differenza di quanto si può dire, per esempio, riguardo a Omero . Esiodo scrive di sé, sa di essere poeta, di inventare, di creare; a differenza dell'aedo tradizionale, egli non è più un mero tramite fra le Muse e gli ascoltatori. Per evidenziare questo, nella Teogonia compare quello che diverrà un importantissimo topos , appunto quello dell'investitura: le Muse, nate da Zeus e Mnemosine (la memoria) e dette eliconie poiché abitano il monte Elicona , si rivolgono a Esiodo stesso mentre pascolava vicino a quel luogo:
"Cominciamo il canto dalle Muse eliconie
che di Elicona possiedono il monte grande e divino
e intorno alla fonte scura, coi teneri piedi
danzano, e all'altare del forte figlio di Crono;
e bagnate le delicate membra nel Permesso
e nell'Ippocrene o nell'Olmeio divino
sul più alto dell'Elicona intrecciavano danze
belle e soavi, e si muovevano con piedi veloci.
Di lì levatesi, nascoste da molta nebbia, notturne andavano, levando la loro bella voce
celebrando l'egioco Zeus e Era signora,
argiva, dagli aurei calzari,
e la figlia dell'egioco Zeus, Atena occhi-azzurri,
e Febo Apollo, e Artemide saettatrice,
e Posidone, signore della terra, scuotitore del suolo,
e Temi veneranda, e Afrodite dagli occhi guizzanti,
e Ebe dall'aurea corona, e la bella Dione,
e Leto e Iapeto e Crono dai torti pensieri,
e Aurora, e Sole grande e Luna splendente,
e Gaia, e il grande Oceano, e la nera Notte,
e degli altri immortali, sempre viventi, la sacra stirpe.
Esse una volta a Esiodo insegnarono un canto bello,
mentre pasceva gli armenti sotto il divino Elicona;
questo mythos, per primo, a me dissero le dee,
le Muse d'Olimpo, figlie dell'egioco Zeus:
"O pastori, cui la campagna è casa, mala genia, solo ventre,
noi sappiamo dire molte menzogne simili al vero,
ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare".
Così dissero le figlie del grande Zeus, abili nel parlare
e come scettro mi diedero un ramo d'alloro fiorito,
dopo averlo staccato, meraviglioso; e mi ispirarono il canto
divino, perché cantassi ciò che sarà e ciò che è,
e mi ordinarono di cantare le stirpi dei beati, sempre viventi;
ma esse per prime, e alla fine, sempre.
Ma a che tali discorsi sulla quercia e la roccia?
Orsù, dalle Muse iniziamo, che a Zeus padre
inneggiano col canto rallegrano la mente grande in Olimpo,
dicendo ciò che è, ciò che sarà, ciò che fu,
con voce concorde; e instancabile scorre la voce
dalle loro bocche, dolce. Ride la casa del padre,
Zeus tonante, delle dee alla voce delicata,
che si diffonde; e risuona la cima dell'Olimpo nevoso
e la dimora degli immortali; esse la divina voce levando
degli dei la venerata stirpe per prima celebrano col canto
fin dall'inizio: quelli che Gaia e Urano ampio generarono
e quegli dei che da loro nacquero, dispensatori di beni,
e dopo, come secondo, Zeus, degli dei padre e degli uomini,
che le dee celebrano cominciando e terminando il canto,
quanto sia il migliore degli dei e per forza il più grande;
poi degli umani la stirpe e dei possenti Giganti,
cantando rallegrano in Olimpo la mente di Zeus,
le Muse olimpie, figlie di Zeus egioco.
Le partorì nella Pieria, unitasi al padre Cronide,
Mnemosyne, dei clivi d'Eleutere regina,
che fossero oblio dei mali e tregua alle cure.
Per nove notti ad essa si unì il prudente Zeus,
lungi dagli immortali, il sacro letto ascendendo;
ma quando fu un anno e si volsero le stagioni,
al decrescer dei mesi, e molti giorni furono compiuti,
allora lei partorì nove fanciulle di uguale sentire, a cui il canto
è caro nel petto, e intatto da cura hanno il thymos,
poco lontano dalla più alta vetta dell'Olimpo nevoso;
e là sono i loro splendidi cori e la bella dimora;
vicino a loro stanno le Grazie e Desiderio
nelle feste; e loro dalla bocca l'amabile voce levando
cantano i nomous e i saggi ethea
degli immortali celebrano, l'amabile voce levando.
Esse allora andarono all'Olimpo, fiere della bella voce,
con l'immortale canto; e attorno risuonava la terra nera
ai loro inni, e amabile sotto i loro piedi un suono si alzava
all'incendere verso il padre che regna in cielo,
lui, signore del tuono e della folgore fiammeggiante
che con la forza vinse il padre Chronos, e bene ogni cosa
fra gli immortali divise ugualmente e distribuì gli onori.
Ciò dunque le Muse cantavano, che abitano le olimpie dimore,
le nove figlie dal grande Zeus generate,
Clio e Euterpe e Talia e Melpomene,
Tersicore e Erato e Polimnia e Urania,
e Calliope, che è la più illustre di tutte.
Ella infatti i re venerati accompagna:
quello che onorano le figlie di Zeus grande.
e quando nasce lo guardano, fra i re nutriti da Zeus,
a lui sulla lingua versano dolce rugiada,
e dalla sua bocca scorrono dolci parole; le genti
tutte guardano a lui che giustizia amministra
con retti giudizi; mentre lui parla sicuro,
subito, anche una grande contesa, placa sapientemente;
perché è per questo che i re sono saggi, perché alle genti
offese nell'assemblea danno riparazione
facilmente, con le dolci parole placandole;
quando giunge nell'assemblea come un dio lo rispettano
con dolce reverenza, ed egli splende fra i convenuti.
Tale è delle Muse il sacro dono per gli uomini.
Dalle Muse infatti e da Apollo lungisaettante
sono gli aedi sulla terra e i citaristi,
da Zeus i re; beato colui che le Muse
amano; dolce dalla sua bocca scorre la voce
se c'è qualcuno che per gli affanni nel thymos recente di lutto
dissecca nel dolore il suo cuore, se un aedo
delle Muse ministro le glorie degli uomini antichi
celebra, e gli dei beati signori d'Olimpo,
subito scorda i dolori , né i lutti
rammenta, perché presto lo distolgono i doni delle dee
".
(traduzione di G. Arrighetti)
Verso la fine di questo passaggio viene introdotto un tema molto importante nell'opera di Esiodo: la verità. Nell'epos, la distinzione tra vero e falso avveniva solo nei rapporti fra i personaggi (un esempio è il verso omerico da cui è ricavato il v. 27, in cui si definisce il comportamento menzognero di Odisseo nei confronti di Penelope : ...fingeva e diceva molte menzogne simili al vero.... "Dire la verità" non era però mai stato citato in precedenza come un dovere dei cantori epici, poiché quello che cantavano non era cantato perché vero, ma vero perché cantato. Questo nuovo atteggiamento distacca Esiodo dall'epos omerico, e forse è anche inteso a chiarire che l'opera si rivolge solo a quel pubblico che non crede alle Muse anche quando dicono cose simili al vero. Esiodo fu anche il primo poeta a specificare il numero delle Muse, e dare un nome ad ognuna.
È al v. 112 che inizia la trattazione effettiva del testo. Esiodo dice: ...e come i beni si divisero e gli onori si spartirono..., ad indicare come le divinità effettivamente si dividano i compiti; cioè comincia una certa differenziazione fra gli dei, che sarà infatti poi il tema centrale del testo.
La fede in un ordine universale e lo sforzo di trovare nella volontà divina una giustificazione profonda a tutte le ingiustizie e le contraddizioni del mondo umano, conferiscono al pessimismo uno sfondo religioso, che lo limita e lo riscatta. Esiodo ha dato espressione di pensiero che diverrà fondamentale negli autori delle età successive.

da Cultura-Barocca


giovedì 11 aprile 2019

Su Èze, dipartimento delle Alpi Marittime della regione francese della Provenza-Alpi-Costa Azzurra

Antichità di Esa [Èze], stampa tratta da M. Paroletti, Viaggio romantico delle province dell'italia antica e moderna Italia, Torino, 1824, Tav. 4, lib. IV

EZE HA DAVVERO L'ASPETTO DI UN PAESE FORTIFICATO, A NIDO D'AQUILA CHE, DALL'ALTO DEI SUOI 472 M. E CIRCONDATO DALLE ROVINE DEL CASTELLO DOMINA IL MARE, QUASI IN POSIZIONE STRATEGICA TRA LA PIAZZA PORTUALE DI NIZZA E LA FONDAMENTALE BASE MILITARE-FORTIFICATA DI VILLAFRANCA


Fonte: Wikipedia

Fonte: Wikipedia
LA CHIESA DI NOTRE-DAME DE-L'ASSUMPTION (1764 - 1772) A EZE SI EVIDENZIA NEL CONTESTO DEL PAESE ARROCCATO IN FUNZIONE DI UNA SUA POSITURA ABBASTANZA DEFILATA OLTRE CHE PER LA FACCIATA CLASSICA. LA PIANTA E' AD UNA SOLA NAVATA CON CAPPELLE LATERALI, UN CAMPANILE QUADRATO A DUE PIANI ED UN CORO. MENTRE LA DISPOSIZIONE ARCHITETTONICA ESTERNA RISPONDE FACILMENTE ALLA TRADIZIONE RINASCIMENTALE E CLASSICA L'INTERNO HA UNA SUA CONFORMAZIONE APPARENTEMENTE CONTRADDITTORIA SI' CHE VI SPICCA SOPRATTUTTO UN ARCO DI TRIONFO, ELEMENTO ISTITUZIONALE DELLE SCELTE STILISTICHE BAROCCHE, CUI E' SOSTANZIALMENTE DEMANDATA LA FINALITA' TIPICAMENTE SEICENTESCA DI OPERARE UNA CONTRAZIONE DI VOLUME ONDE RIDURRE LO SPAZIO PER SUGGERIRE UN PIU' INTIMO RAPPORTO COL DIO, FATTO PERALTRO ESORCIZZATO DA UN RESTRINGIMENTO LATERALE CHE, ESALTANDO LA VERTICALITA', EVOCA L'EMOZIONE DI UN'ASCESA VERSO IL DIVINO, PERALTRO RAFFORZATA DALL'ESISTENZA DI UNA VOLTA A CALOTTA CHE, DILATANDO L'AMBIENTE, ACUISCE QUESTO EFFETTO SENSORIALE.


Fonte: Wikipedia
Fonte: Wikipedia
Fonte: Wikipedia

 da Viaggio da Genova a Nizza, ossia Descrizione con notizie … / scritta da un ligure nel 1865 (Firenze, tip. Calasanziana, 1871) [in effetti l’anonimo era Padre Luigi Ricca (1836-1881) da Civezza (IM)]

da  Cultura-Barocca

domenica 7 aprile 2019

I primi giornali


In Europa il primo giornale a stampa apparve all'inizio del XVII secolo - proposto nell'immagine di cui sopra - ed intitolato Relation aller Fürnemmen und gedenckwürdigen Historien vale a dire "Resoconto di tutte le notizie importanti e memorabili" che vide la luce a Strasburgo (al tempo città di lingua tedesca) nel 1609 ad opera dell'alsaziano Johann Carolus. Si distingueva dai contemporanei fogli d'informazione in quanto era editato ad intervalli regolari, in genere una o due volte alla settimana. Il primo periodico a riportare però la numerazione progressiva fu Alle de Nieuwe Tijdinghen ("Tutte le notizie recenti") di Abraham Verhoeven, stampatore di Anversa che nel 1605 aveva ottenuto il privilegio di stampare e diffondere tutte le future imprese degli arciduchi Alberto VII e Isabella. Si può supporre che nei primi tempi uscisse a intervalli irregolari, anche se solo a partire dal 1620 si conoscono pubblicazioni periodicamente regolari. 

Fu invece La Gazette di Parigi del 1631 il primo giornale a proporre avvisi pubblicitari. 

Il formato dei giornali del Seicento era piccolo, le pagine da 4 a 8 (in maniera conforme ai Fogli Volanti): li si editava mediamente stampandoli su una sola facciata, divisa al massimo in due colonne e senza titolazione.
Generalmente erano stampati su fogli grossolani, grigi con caratteri che rimanevano impressi a rilievo forte.
 
Il primo vero e proprio quotidiano risultò essere la Einkommende Zeitungen il cui sottotitolo dettava Resoconto degli affari di guerra e del mondo. Siffatta pubblicazione a dire il vero quando fu inaugurata nel 1650 a Lipsia ad opera del libraio Timothäus Ritzsch era solo settimanale evolvendosi nel corso di un decennio sin alla tipologia del quotidiano. 

Il primo giornale con un'impaginazione a colonne, alla maniera dei giornali moderni, risultò essere l'Oxford Gazette nel 1665 successivamente destinato ad assumere l'intitolazione di London Gazette.
 
Il giornale più antico tuttora esistente è la Gazzetta di Mantova, fondata nel 1664. 

Questi nuovi giornali avevano formato maggiore, “in folio”, di maniera che per essi si ebbe una nuova impaginazione. Tuttavia il progresso non era uniforme ed ancora nel XVII secolo alcuni fogli di notizie erano pubblicati e diffusi senza un nome proprio.
 
Il generalizzato uso di una testata si affermò gradualmente attraverso il passar del tempo e nel contesto di nominazioni abbastanza ripetitive seppur connesse ai contesti geoolitici:  "Gazzetta" in Italia e in Francia, "Mercurio" (anche "Araldo") in Inghilterra, "Corriere" nelle Fiandre.
 
Da fine '700 e per tutto il XIX secolo i quotidiani divennero un fenomeno epocale dati anche gli eventi che presupponevano le trasformazioni che avrebbero condotto dal Vecchio al Nuovo Regime ovvero dalla Vecchia alla Nuova Europa.
 
Il giornalismo raggiunse comunque l'acme in Inghilterra e la periodicità delle pubblicazioni si può tuttora notare anche nei titoli delle riviste nate in quegli anni, come il Daily Courant del 1702, il Daily Post del 1719 e il Daily Journal del 1720. 

E fu ancora in Inghilterra che videro la luce i primi giornali della sera che in effetti originariamente erano pubblicazioni trisettimanali destinate alle zone lontane dalla capitale londinese accanto a cui si affermarono le prime forme di giornalismo leggero come nel caso del periodico The Tatler e lo Spectator di Joseph Addison. I primi esempi di stampa periodica a carattere non informativo compaiono intorno a metà del Seicento: si trattava soprattutto di pubblicazioni a carattere letterario o scientifico.

da  Cultura-Barocca

martedì 2 aprile 2019

Picasso tra ferro e fuoco nella fucina di Vallauris



Antonio Aniante (1900-1983) nelle Memorie di Francia scrive:

"In un ritaglio della stampa francese (che molto gentilmente mi ha fatto avere un grande amico degli scrittori e giornalisti quale è Umberto Frugiuele), trovo notizie poco liete sulla salute di Picasso.
Dopo di aver subito la delicata operazione della cistifellea, non gode più della sua leggendaria salute di ferro. Sono i polmoni e i bronchi che gli dan serio fastidio.
- Ha, probabilmente, fumate troppe sigarette "Gauloises", - mi fa un collega della Costa Azzurra, che lo ha avvicinato spesso. Non sono interamente del suo parere; io penso che non è tanto il fumo, quanto il fuoco del suo forno di Vallauris che, in venti anni di quotidiana presenza, gli è stato nocivo.
Subito dopo la guerra, Picasso, sessantacinquenne, lasciava la brumosa Parigi per l'assolata Provenza; e si stabiliva sull'amena collina di Vallauris, fra Nizza e Cannes. Qui entrava in rapporti d'affari con la giovane coppia Ramiez, proprietaria della fabbrica di ceramiche "Madoura".
Picasso si consacrava alla terracotta. La mattina presto, eccolo al forno, al suo forno, in compagnia di alcuni operai italiani, fino a tardi la sera, la notte, non smettendo di lavorare. Il risultato del suo sforzo non tarda a ottenerlo. Vallauris, che deperiva a vista d'occhio, che si spopolava e impoveriva, ora, grazie alle originali ceramiche di Picasso ritrovava gloria e prosperità; conquistava un primato mondiale nell'arte e nell'industria della terracotta.
Un uomo solo, un solo uomo ha compiuto il prodigio: la popolazione è aumentata; il paese si è fatto più grande e più bello; le fabbriche di ceramiche si sono moltiplicate.
I turisti si ritrovano sulla piazza del paese, dinnanzi al monumento dell' "Homme au mouton", l'uomo con il piccolo montone in braccio, firmato da Picasso; di là si recheranno ad ammirare l'immenso "Affresco della Pace", anch'esso di Picasso, cittadino onorario di Vallauris. Ignorano che l'idolo, il guerriero, il genio, l'artigiano, l'operaio ha deposto armi e strumenti del mestiere, forse per sempre.
Senza alcuna speranza di poterlo vedere, mi sono inoltrato fin sotto le mura del suo castello di Mougins. Non ho insistito presso il guardiano; e son ritronato sui miei passi, con l'anima oppressa da sinistri presentimenti.
Cammin facendo, rivedo Picasso a torso nudo, in calzonicini da spiaggia, sudato e acceso in viso, dinnanzi al suo forno, che sta cuocendo la terra. Il ricordo non è di ieri ma di un passato che si può dire ormai remoto; e mi vien da pensare che la sua immane fatica di artigiano, di operaio, di manimpasta, è maggiormente ammirevole del fatto che egli, al pari di Matisse, alla fine della seconda guerra mondiale era pittore celeberrimo e miliardario; le sue mani non erano callose, oscure, sciupate.
Non è più, per lui, a Vallauris, sotto il sole, la vita sedentaria di Parigi, direi quasi la sua vita artificiale. Fra le vigne, gli ulivi e i fichi d'India, l'esule ritrova il vero se stesso, ritorna alle sue origini: si ritempra sotto lo stesso limpido cielo della nativa Malaga.
Se fosse rimasto a Parigi, la sua fibra di lottatore si sarebbe logorata anzi tempo, minata come era dalle insidie dell'avverso clima; allora, Picasso, obbedendo all'istinto di conservazione, fuggì dalla nebbia al sole; e pur di riconquistare la sua natura mediterranea, non esitò a liberarsi, a spogliarsi d'ogni ricchezza, d'ogni gloria e di ogni piacere; a ritornare a un'esistenza solare e primitiva: nel mare, a Golfe-Juan; dinnanzi al rustico forno, sulla collina patriarcale di Vallauris.
Pur di poter dominare la nostalgia importa in Provenza un pezzo di Spagna; è lo spettacolo della corrida, che trova in lui un impresario modello.
Ho visto Picasso, sulla spiaggia, esibire al sole il suo corpo di gladiatore; ho visto Picasso dinanzi al suo forno ardente, fondersi nel sudore; fuoco del cielo, fuoco della terra; ho visto Picasso al riposo, dopo la fatica d'artigiano, seduto sulla soglia della fabbrica dividersi con i suoi operai il pane bigio, le olive, il vino, le sigarette.
L'umiltà, la semplicità del ceramista Picasso a Vallauris sono proverbiali. Non è stato sempre umile e semplice; egli è, invero, di carattere fiero e scontroso; cosciente del suo genio, del suo "role" di caposcuola, della sua audacia, della sua temerità di avanguardista estremo, della sua potenza finanziaria, rifugge dai facili contatti; difficile è la sua scelta nelle frequentazioni e nelle amicizie; è un solitario per volontà.
Il pittore Picasso, a Montparnasse, fa dire dal suo maggiordomo all'illustre critico d'arte Lionello Venturi, che era andato a trovarlo:
- Il maestro dipinge e si scusa di non potervi ricevere -.
Venti anni dopo, l'artigiano Picasso, a Vallauris, lo attenderà, a sua volta, circa un'ora, e invano, scusandolo, nei primi trenta minuti, con indulgenza e pazienza, da certosino. Il Venturi, nel frattempo, era rimasto come invischiato nella vicina collinetta di Vence-la Jolie, nello studio del suo beniamino, del suo pittore preferito, Marc Chagall.
Picasso l'aspettava, non per mostrargli le sue più recenti opere di pittore, ma i suoi piatti, i suoi boccali, le sue anfore, i suoi vasi, le sue giare, il suo forno, che stava acceso; il suo forno che ora è spento
."

da Cultura-Barocca