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sabato 12 novembre 2016

Ignazio di Loyola

Peter Paul Rubens (1577-1640), St. Ignatius of Loyola - Fonte: Wikipedia
Alla fine della sua vita, Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore dell'ordine dei GESUITI, dettò il Racconto del Pellegrino, ovvero la sua autobiografia, nella quale così si esprime a proposito della sua giovinezza: "Fino a ventisei anni, fu un uomo dedito alle vanità del mondo, con grande e vano desiderio di conquistarvisi onore".
Il distacco di questo passo non deve trarci in inganno: quella giovinezza di dissipazione fu per Ignazio motivo di profonde crisi di coscienza ed anche lui, come già Lutero, giunse a disperare del perdono divino.

Ignazio di Loyola era nato nei Paesi Baschi, da una famiglia di nobili proprietari terrieri.
Nel 1517, intraprese la carriera delle armi, entrando nella compagnia militare del vicerè di Navarra; nel 1521, partecipando alla difesa di Pamplona, un episodio del conflitto franco-asburgico, fu ferito ad una gamba e costretto ad un lungo periodo di degenza.
La convalescenza fu per lui occasione di una profonda meditazione, stimolata da letture spirituali che lo infiammarono agli ideali ascetici, conducendolo a ripudiare la sua esistenza precedente.

Tra il 1522 e il 1523 è a Manresa, nei pressi del monastero benedettino di Monserrat, in Catalogna, dove soggiornerà per circa un anno, dandosi interamente ai rigori della vita ascetica.
Lo storico Delumeau così ricorda questo periodo:"Egli si alza a mezzanotte e dedica sette ore al giorno alla preghiera; vive solo di elemosine e non consuma neppure tutto ciò che riceve. Quel regime lo indebolisce ed egli cade più volte gravemente ammalato [...]. Nel medesimo tempo è in preda ad orribili angosce a causa del ricordo degli errori passati, nè gli restituiscono la pace molte confessioni generali. [...] Tali orrori cessarono quando Ignazio ebbe acquistato la certezza che gli venivano dal demonio: da quel momento decise di cacciare la preoccupazione per gli errori passati, persuaso di averne ottenuto il perdono, e cosi rinunciare alle macerazioni che erano state il mezzo per ottenerlo. Comprese invece che era suo dovere aiutare le anime, e decise di recarsi in Palestina per convertire i musulmani."

Le convinzioni cui approdò Ignazio erano dunque ben diverse da quelle di Lutero: dalla tempesta delle sue angosce, egli trasse un certo ottimismo circa la possibilità dell'uomo di ottenere il perdono divino e la salvezza, valorizzando, in questa prospettiva, il ruolo della volontà umana e quindi della predicazione e dell'impegno per salvare le anime.
Egli si rappresentava ora la santità non tanto come umiliazione della carne, quanto come acquisizione di un completo autocontrollo; non come evasione ascetica dal mondo, ma come milizia nel mondo al servizio del Signore: santo, cioè, è chi sa conformarsi completamente ai piani divini, facendosi strumento della gloria di Dio.

E' questa l'impostazione che caratterizza gli "Esercizi Spirituali", un'opera di cui Ignazio avviò la composizione ai tempi di Manresa e di cui continuò la revisione anche dopo l'approvazione pontificia (1548).
Come dice il titolo stesso, si tratta di un vero e proprio Manuale di spiritualità: l'approdo della crisi del santo non si condensa, dunque, in un testo di riflessioni teologiche, ma in un insieme di regole ed esercizi spirituali volte a rafforzare la volontà di consacrarsi al Signore.
Gli esercizi fanno ampiamente ricorso alla fantasia, all'immaginazione, alla sensibilità, sollecitando ad arricchire la meditazione sulle Scritture anche attraverso rappresentazioni mentali dei luoghi delle scene bibliche, dei personaggi.
L'eccitazione del sentimento e della sensibilità sono infatti tratti caratteristici di quella mistica spagnola che avrebbe conquistato tutto il mondo cattolico nell'epoca barocca. Lo sfarzo dei riti e della struttura architettonica delle chiese è appunto finalizzato a dare un sostegno, anche emotivo, alla fede. Una fede che, come dicevamo, anima sempre piu frequentemente quella religiosità militante, di cui Ignazio si fece interprete intraprendendo l'opera missionaria in Palestina (1523).
Varie difficoltà, però, ostacolarono i suoi propositi: da un lato c'era l'opposizione dei francescani al suo intento di fermarsi in Terra Santa, dall'altro Ignazio stesso comprese che, per affrontare l'opera di predicazione alla quale intendeva votarsi, gli era necessaria un'adeguata preparazione teologica.

All'età di trentaquattro anni, così, tornò sui banchi di scuola per studiare il latino, frequentando poi le università di Alcalà, di Salamanca e infine di Parigi, dove completò i propri studi (1533).
In questo decennio in effetti, non rinunciò all'apostolato, suscitando ripetutamente i sospetti dell'Inquisizione spagnola che riteneva di ravvisare in quella singolare figura di predicatore laico, un eretico, magari legato alla corrente degli "alumbrados".

Probabilmente, proprio per questo a Parigi decise di condurre un'opera di predicazione ristretta alla cerchia dei suoi compagni di studi, un'opera da cui nacque un sodalizio che può essere considerato la radice della Compagnia di Gesù.
Il 15 agosto 1534, infatti S. Ignazio di Loyola e otto suoi compagni (tra cui ricordiamo San Francesco Saverio, poi celebre per la sua opera missionaria in Asia [presto rivelatasi difficilissima e rischiosa: ed a tal riguardo un ruolo di rilievo spetta anche ad un missionario gesuita di Taggia (IM), il dottissimo G. F. De Marini un tempo celebre e venerato quanto ora poco ricordato anche nel luogo natale]) fecero voto di castità e di povertà, impegnandosi a riprendere l'opera missionaria in Palestina, o, qualora questo non fosse stato possibile, a porsi a disposizione del papa.
Svanita la prospettiva del viaggio in Terra Santa e ottenuta da Paolo III l'autorizzazione a farsi ordinare sacerdoti, Loyola e suoi compagni decisero di dar vita ad un ordine di chierici regolari, completamente uotato all'apostolato: nacque così la Compagnia di Gesù, la cui istituzione venne approvata dal papa con la bolla "Regimini Militantis Ecclesia" (1540).

Le regole del nuovo ordine vennero delineate nella Formula Instituti (1539) che costituisce una bozza della redazione definitiva delle Costituzioni, a cui Ignazio giunse solo dopo molti anni di lavoro (1551).

Queste sono le principali caratteristiche dell'Ordine:
1. Ia Compagnia è completamente consacrata all'apostolato, il gesuita ricerca la propria santità attraverso la santificazione dei fedeli; ciò comporta una totale disponibilità ad intraprendere l'attività missionaria in qualsiasi parte del mondo; 2. alla Compagnia di Gesù venivano cosi a mancare gli elementi di stabilità e di coesione propri degli altri ordini; la solidità della Compagnia venne pertanto garantita da una rigida organizzazione gerarchica e dal ruolo del Preposto generale, detentore di un'autorità pressochè assoluta su ogni membro.
Ai voti ordinari, inoltre, venne aggiunto uno speciale voto di obbedienza al papa, che incise in modo decisivo sulla storia della Compagnia e su quella della Controriforma, di cui in breve l'Ordine divenne l'espressione più determinata: l'obbedienza, d'altronde, costituisce per il gesuita una forrna di adesione alla volontà di Dio; 3) peculiare dell'ordine è, infine, il lungo periodo di formazione che prevede approfonditi studi teologici, una preparazione allora poco diffusa anche tra i religiosi.

Da tutto ciò si evince l'intento di Loyola di fare del nuovo Ordine una compagnia di uomini scelti, pronti ad affrontare con dedizione assoluta tuttu i compiti cui la Chiesa, identificata immediatamente nel pontefice, li avesse chiamati.
I gesuiti, dunque, non nacquero con una particolare vocazione controriformistica, non vennero costituiti cioè per reagire al protestantesimo, ma le caratteristiche dell'Ordine erano pienamente rispondenti alle esigenze del Papato, nell'ora in cui questo si preparava a guidare la Chiesa nello scontro con le nuove confessioni.
La straordinaria disponibilità e versatilità dei gesuiti li fece infatti protagonisti della riscossa della Chiesa, impegnandoli, ben al di là delle loro iniziali ambizioni missionarie, ora come influenti confessori nelle corti, ora come insegnanti, ora come dotti ed intransigenti controversisti: severi e flessibili, sempre pronti a coniugare l'intransigenza verso se stessi con una concezione realistica della natura umana, il rigore con la tolleranza verso la debolezza dell'uomo; il che, se li faceva graditi direttori spirituali, ben presto valse loro critiche di lassismo da parte degli avversari.
Insomma, i gesuiti mostravano di avere consapevolezza dell'eccezionalità dei loro voti e, mentre si facevano alfieri di una rigida difesa dell'ortodossia e dell'autorità della Chiesa, sapevano anche, con fine psicologia, valorizzare gli sforzi dell'uomo comune, mantenendo una spregiudicata disponibilità al nuovo, alle esigenze e ai comportamenti che s'andavano diffondendo nel mondo moderno.

A partire dalla fine degli anni Cinquanta, comunque, le iniziative nell'Ordine si concentrarono per lo più nel campo dell'istruzione: la Controriforma, d'altronde, era totalmente pervasa da propositi di carattere pedagogico, che si presentavano come il necessario completamento della repressione del protestantesimo: i Gesuiti risultavano alquanto raffinati e competenti nella gestione di un SISTEMA EDUCATIVO svolto con la TECNICA DELLA LEZIONE FRONTALE (EX CATHEDRA) e stutturato sulla base di precisi PROGRAMMI SCOLASTICI la cui DIDATTICA era omologata dall'UTILIZZAZIONE DI SPECIFICI TESTI SCOLASTICI E PROPEDEUTICI.
Su entrambe le questioni, Ignazio aveva idee molto chiare.
Egli non esitava ad invocare i provvedimenti più drastici per i sospetti di eresia; era, a suo avviso, necessario mostrare assoluta determinazione anche dando "qualche esempio, condannando qualcuno a morte o all'esilio con confisca dei suoi beni".
Egli era però consapevole che, oltre alla repressione, era necessario impegnarsi nella rieducazione dei fedeli e che, a tal fine, il primo problema era quello di predisporre educatori davvero adeguati al loro ruolo: si trattava cioè di colmare le gravi lacune nella formazione del clero.
La Compagnia fu immediatamente in prima linea nell'adempimento di questo compito. Nel 1551, Ignazio di Loyola fondò il Collegio Romano e l'anno seguente aprì il Collegio Germanico, destinato ai sacerdoti che avrebbero dovuto esercitare il ministero pastorale nella patria del protestantesimo.
Ben presto, però, ai collegi gesuitici furono ammessi anche i laici; l'insegnamento era gratuito e quindi, almeno formalmente, le scuole erano aperte a tutti; di fatto esse erano frequentate soprattutto da aristocratici e da borghesi e non è difficile immaginare i frutti che i gesuiti si ripromettevano di trarre dal controllo della formazione della classe dirigente.
I risultati non si fecero attendere: nell'Europa cattolica della fine del Cinquecento, erano veramente poche le istituzioni d'istruzione superiore maschile non gestite dall'Ordine".