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sabato 23 gennaio 2016

La Via Francigena in Piemonte

Il tragitto della Francigena può essere utilmente analizzato, studiando gli insediamenti monastici, disseminati lungo il suo corso e nei quali i pellegrini trovavano riparo, cure e conforto.
Siffatti ricoveri monastici ascrivibili al Medioevo hanno attualmente perduta quasi del tutto l’originaria tipologia.

Alcuni sono stati purtroppo lasciati cadere in degrado; mentre altri, seguendo sorte migliore, essendo stati minati dal tempo e dall’uso, oltre che da calamità di varia natura, hanno usufruito di qualche recente restauro, che però in non rari casi ne ha alterato la primigenia architettura.
 
Tra i luoghi sacri sviluppatisi lungo il passaggio meridionale della Francigena, una volta scesi dal Moncenisio, i viandanti della fede incontravano per prima l’Abbazia di Novalesa.

Si tratta di un complesso di costruzioni, il cui nucleo centrale venne fondato nel 726 da Abbone, rector della Moriana e di Susa, e affidato alle cure dei Benedettini, sotto i quali divenne un importante centro di cultura. Seguendo la regola di San Benedetto, i monaci pregavano e lavoravano, mettendo a frutto le proprie capacità soprattutto in campo agronomico e quindi assistenziale.
Durante i tempi freddissimi della stagione invernale la caritatevole ospitalità, a favore di viandanti e pellegrini, era pressoché continua.
Per provvedere a tutto ciò il cenobio godeva di una specifica organizzazione intestina: in particolare due confratelli prestavano servizio nella cucina riservata, dotata di scorte proprie amministrate dal Cellerario, mentre altri due si occupavano delle camere da letto, dove gli ospiti dormivano su dei sacconi di foglie o di paglia.
Le persone più avanti nell'età e particolarmente quanti erano palesemente deboli, o per le avversità dell’improbo viaggio o per qualche malattia, erano più comodamente sistemati nell’infermeria, l’unico locale riscaldato del monastero.

I pellegrini che invece giungevano dalla variante del valico del Monginevro non raggiungevano la Novalesa (i due rami della via Francigena inferiore si riunivano soltanto a Susa), ma pervenivano senza soste a Susa e, poi, superata la località, sostavano in un altro celebre luogo di fede, la Sacra di San Michele.

La tappa seguente era Avigliana, dove i pellegrini si fermavano in devota preghiera dentro la chiesa di San Pietro, fondata dai Benedettini dell’Abbazia di Novalesa tra il X e l’XI secolo: questo edificio, di originario stile romanico, sarebbe poi stato modificato con l’intromissione di elementi architettonici di tradizione gotica.

Procedendo da Rivoli, i viandanti erano quindi in grado di accedere ad una delle chiese più significative del Medioevo piemontese, quella di Sant’Antonio di Ranverso, eretta da Umberto III detto il Beato ed affidata ai padri Antoniani di Vienne con l’incarico di gestirne l’annesso ospedale.
Il centro di accoglienza era uno dei più importanti del percorso: i padri Antoniani disponevano infatti di larghi mezzi ed esercitavano il loro ministero con profondo spirito di carità, tanto che molti pellegrini preferivano sostarvi senza neppure entrare in TORINO, e proseguire il viaggio direttamente per Asti ed Alessandria.

Ad Asti si stava nel contempo innalzando la cattedrale di S. Maria Assunta, dopo che era stata rasa al suolo una ormai insufficiente chiesa romanica, dirimpetto alla quale stava la chiesa di San Giovanni, edificata nell’VIII secolo, nella cui cripta accorrevano volentieri i pellegrini, visto che vi si custodivano reliquie ritenute eccezionali, tra cui, secondo la tradizione, un chiodo della “Santa Croce”.

Alessandria aveva già una sua cattedrale romanica attribuita al 1170: essa però nel pieno XIII secolo venne praticamente riedificata, ispirandosi al nuovo gusto architettonico dalle forme gotiche (la chiesa nuovamente venne demolita e quindi riedificata nel 1810).

Non molto a meridione di Alessandria stava poi il sito di Marengo, destinato ad imprevedibile fama per la straordinaria vittoria ottenutavi da Napoleone sugli Austriaci il 14-VI-1800.

Il percorso da questo punto procedeva ormai decisamente in direzione del Dominio genovese e quindi alla volta della grande città portuale ligure.

I pellegrini attraversavano ancora Stazzano, Gavi e Voltaggio prima della salita, che portava al passo della Bocchetta, da cui si scendeva al mare; a Gavi erano comunque usi sostare in meditata orazione nella chiesa romanica di San Giacomo, costruita in pietra arenaria fra l’XI ed il XII secolo ed a Voltaggio nel convento dei Cappuccini.

Anche la via Francigena superiore, che scendeva dal valico del Gran San Bernardo, offriva luoghi di preghiera e di raccoglimento; il primo centro che si incontrava, dopo aver superato il confine tra la regione aostana e quella piemontese, era IVREA, dove sorgeva il Duomo costruito nel IV secolo sulle rovine di un tempio romano. Proseguiva invece alla volta di Viverone, dove i pellegrini potevano sostare in orazione sulle tombe dei primi martiri cristiani.

Da Viverone la via superiore raggiungeva Cavaglià, dove i Romei (cioè i “pellegrini”, come anche si nominavano questi viandanti di fede, tesi a raggiungere i luoghi santi di Roma) si radunavano nel Santuario di Nostra Signora di Babilone, edificato sul relitto di una chiesa eretta nel V secolo da Teodolinda (la regina dei Longobardi che dopo la morte del re Autari sposò Agilulfo, duca di Torino, e tutelò contro l’arianesimo la fede cristiana pure in terra piemontese).

Altre tappe del viaggio erano poi Santhià, nella cui chiesa -poi parrocchiale- consacrata a Sant’Agata i pellegrini erano ricevuti da potenti canonici e Vercelli, la cui basilica di Sant’Andrea era illustre in tutta la Cristianità per le reliquie custoditeva e per la sua architettura innovativa, testimonianza importante di transizione tra romanico e gotico.

Da Vercelli la via Francigena volgeva quindi in direzione di Pavia o scendeva ad Alessandria, nuovamente fondendosi con il tratto della “via inferiore”, tesa a raggiungere Genova ed il mare ligustico.

da Cultura-Barocca