
Scrive Antonio Zencovich: "
Il nome della dea cacciatrice DIANA (nell'immagine l'incisione di ISIDE dea della LUNA identificata in DIANA dal
De veteribus aegyptorum ritibus
di Giovanni Battista Casalius edito a Roma, per A. Phaei, nel 1644)
ricompare, in pieno Medioevo, al centro di un culto estatico (quello
delle COMPAGNE DI DIANA) che contiene quasi tutte le componenti delle
imprese successivamente attribuite alle streghe."
Ne parla il famoso
Canon Episcopi, citato continuamente dagli scrittori di religione nell'epoca della
caccia alle streghe:
il testo, noto già verso l'inizio del X secolo a Reginone di Prum,
veniva riesumato circa cent'anni dopo da Burcardo di Worms, il quale lo
riportava in un passo dei suoi
Decretorum Libri, attribuendolo,
con un equivoco destinato a durare a lungo, al Concilio di Ancira del
314 d.C., mentre in realtà era stato scritto almeno mezzo millennio più
tardi. Ne riportiamo uno stralcio:
Pretendono e dichiarano di cavalcare nelle ore della notte piu
profonda, esse con un'innumerevole folla di altre donne, insieme con la
dea pagana Diana, a cavalcioni su certi animali e di percorrere col
favore del silenzio notturno spazi immensi e di obbedire al comandi
della dea come loro signora e di stare al suo servizio in ore ben
determinate... Molte persone, indotte in errore, credono che queste cose
siano vere e in tal modo si allontanano dalla vera fede e ricadono
nell'errore pagano, stimando che possa esistere qualche altra divinità o
potenza divina oltre l'Unico Iddio. E' invece il diavolo che assume
ogni sorta di apparenze e figure umane e, ingannando per mezzo dei sogni
le anime che tiene prigioniere, mostra loro cose ora allegre ora
tristi, ora persone sconosciute: in tal modo induce in errore e, mentre
impegna con le sue nenzogne soltanto lo spirito, fa sì che il
superstizioso ahbia l'impressione che quel che vede non accada solo
nella sua mente, bensì nella realta concreta.
E' difficile stabilire se vi fosse una continuità tra simili
manifestazioni e il CULTO PRECRISTIANO DI DIANA; il fatto di ascriverle a
quella dea costituiva senz'altro un tentativo di sistemazione
dottrinale da parte dei teologi, più che di coloro i quali le
praticavano.
Tuttavia non è improbabile che una DEVOZIONE NASCOSTA
ALLE DIVINITA' PAGANE abbia potuto conservarsi a lungo dopo l'avvento
della Cristianità, soprattutto dove le sue radici erano più profonde.
Essa dovette rimanere confinata, in generale, nell'ambito popolare,
legandosi a un complesso di riti eterodossi al quali la Chiesa non si
opponeva seriamente, non ritenendoli
una vera e propria minnaccia al proprio primato.
Una reminiscenza in tal senso veniva descritta, nel secolo VI, da
Cesario di Aries: a quei tempi, in Francia, durante la notte delle
CALENDE DI GENNAIO, i contadini allestivano tavolate per propiziare la
prosperita e in tali occasioni si mascheravano da animali,
gaudentes et exsultantes, si taliter se in ferinas species transformaverint, ut homines non esse videantur.
Anche in una simile tradizione, antenata dell'uso di festeggiare il CAPODANNO
con cene e libagioni, si proponevano dunque degli elementi che in un
secondo tempo sarebbero stati qualificati come diabolici, per via di
quel trasformarsi in bestie che, interpretato allora a livello ludico,
avrebbe finito per essere preso assolutamente sul serio vari secoli
dopo.
Intorno alla fine del primo millennio dell' era cristiana, dunque, il culto di una
DOMINA NOTTURNA
raggiunse una fisionomia ben precisa e una forma organizzata che, per i
teologi, faceva sospettare l'esistenza di qualcosa di simile a una
società segreta, definita
COMPAGNIA DI DIANA.
La figura dell'antica dea però (se di essa si trattava) si era
profondamente modificata: non più soltanto personificazione della Luna,
nonché signora delle foreste e degli animali selvaggi - competenze,
queste ultime, alquanto secondarie in una società stanziale di tipo
agricolo - essa era diventata padrona del regno dei morti e
dispensatrice di fertilità, secondo connotazioni più proprie alla CELTICA
EPONA che alla Artemide-Diana della tradizione dei Greci e dei Romani.
Aveva inoltre assimilato alcune delle prerogative di Era (la Giunone italica) con il cui nome veniva talvolta chiamata.
Ancora
al principio del Quattrocento i contadini del Palatinato credevano che
una HERA portatrice di abbondanza andasse volando nottetempo, nel
periodo di dodici giorni dedicato al morti compreso tra il Natale e
l'Epifania.
E' evidente dunque come a Diana, o Era, si riallacciasse il mito popolare e nello stesso tempo alquanto particolare della BEFANA.
Ancora più esplicito il riferimento proposto da S. BERNARDINO DA SIENA
che, nei sermoni pronunciati a Padova nel 1423, parlava delle
vetule rencagnate che andavano
in cursio cum Heroyda in nocte Epiphanie.
Heroida, o Erodiade, era un altro appellativo della dea, che ricorreva già in Burcardo di Worms.
Derivato forse dalla deformazione di
Eradiana (
Era +
Diana),
veniva però spiegato sulla base di una leggenda popolare, secondo la
quale l'amante di Erode era stata costretta a vagare in eterno
nell'aria, spinta da uno spirito maligno, dopo aver preteso la testa di
S.Giovanni Battista. In ambito tedesco compariva a volte col nome di
Fraw Selga, in omaggio alla quale si svolgevano, durante le quattro
Tempora,
cerimonie evocative dei defunti, con la partecipazione di donne che
cadevano in deliquio. In altri casi, invece, a queste "processioni dei
morti" presiedeva un'altra divinita, di nome
Holda, identificata con Venere.
In tal modo quasi tutta la rappresentanza femminile
dell' Olimpo confluiva nella figura di questa multiforme signora della
notte, diventata ormai una "superdea" in cui rinasceva, sotto vari
aspetti, la figura della DEA MADRE delle ANTICHE CIVILTA' MEDITERRANEE.
Essa [attraverso l'opera delle
COMPAGNE DI DIANA]
veniva a colmare la lacuna lasciata, nel terreno dei bisogni
spirituali, dal Dio uno e trino cristiano, ereditato dalla religione
degli Ebrei, popolo di guerrieri e pastori, nella cui società la donna
aveva scarso peso.
In molte parti dell' Europa, invece, il ruolo femminile si era affermato
in maniera autorevole fIn da tempi remoti, lasciando tracce indelebili
nei sentimenti popolari. Nei posti in cui si trovava un terreno
favorevole, le preesistenti istanze religiose finirono così per
risorgere spontaneamente, col proporre un punto di riferimento
antitetico a quella del DIO UOMO, in cui si affermavano ideali femminili
che il Cristianesimo aveva sottovalutato in nome del proprio simbolo,
portatore di opposte insegne.
Anche a prescindere dalla fisionomia con cui lo si raffigurava, infatti,
era chiaro come l'immagine del Dio di forza e di
luce propugnasse un modello accentratore e combattivo dalle evidenti
connotazioni virili, mentre la dea rivale si esprimeva nel territorio
deli' altra metaà dell'esperienza umana, per molti versi cara al
maligno, signore di presenze oscure quali la notte, la morte, la selva,
il silenzio e la solitudine.
Le motivazioni che inducevano le DEVOTE DI DIANA a presenziare ai riti
estatici e a compiere imprese oniriche avevano però quasi sempre, almeno
in origine, ben poco di demoniaco. Lo stimolo principale, perfettamente
comprensibile nello stato di miseria diffusa a quei tempi, era
l'aspirazione alla sicurezza e alla prosperità; talvolta non solo per se
stesse, ma per l'intera comunità di appartenenza.
Non per nulla
l'immagine popolare delle vecchiette veleggianti nell'aria era destinata
a dare origine al mito gioioso della BEFANA.
Allo stesso modo le discese agli inferi e le battaglie per la fertilità
di un secondo filone stregonesco... perseguivano finalità altruistiche,
in quanto coloro che vi si dedicavano erano convinti di agire
nell'interesse della propria gente. E anche se l'aiuto offerto non
usciva dall'ambito dell'immaginario, il loro intervento non doveva
mancare di una reale efficacia suggestiva nei confronti di chi avesse
condiviso i fondamenti metafisici di simili mprese.
I religiosi, però, sospettavano qualche intrigo del diavolo e, in un'epoca abbastanza antica - quella della compilazione del
Canon Episcopi
- cominciarono a mettere in guardia chi vi si dedicava o era tentato di
farlo. Forse, più del diffondersi di un CULTO PAGANO, essi temevano il
contenuto trasgressivo implicito in ogni manifestazione che si
sottraesse al controllo delle istituzioni sociali, alimentando la
pericolosa idea che il benessere, a livello individuale o di piccoli
gruppi, non fosse da cercare lungo le vie indicate dalla morale comune,
ma proprio in quelle sbarrate dagli imperativi e dai divieti.
Tuttavia, per alcuni secoli, la censura ecclesiastica non si sarebbe
tradotta in una sistematica persecuzione. Condanne isolate - o più
spesso linciaggi - certo non mancarono e anche in quei primi tempi
doveva essere pacifico a tutti come esistesse una magia buona e una
cattiva, non meno di stregoni amici e nemici.
Ma la DEA DELLA NOTTE E DELLA FORESTA restò a lungo, nell'immaginario collettivo, come la
buona signora cui venivano attribuiti i nomi benaugurali di
Satia, Abundia, Richella, o appellativi pseudocristiani, come la
Madonna Horiente, materna figura che insegnava le virtù delle erbe, il modo di curare le malattie e di sciogliere i malefici.
Un improvviso cambio di tendenza si ebbe verso la fine del XIV secolo e un episodio legato al culto di
MADONNA HORIENTE, riferito da Carlo Ginzburg, appare particolarmente indicativo
dell'irrigidimento della Chiesa che, da allora, non disdegnò di
avvalersi degli stessi argomenti irrazionali e suggestivi di cui si
nutriva l'immaginazione degli umili.
Nel 1390 due donne lombarde, Sibillia e Pierina, furono processate per
la partecipazione a quello che i religiosi chiamavano ancora
IL GIOCO DI DIANA.
L'accusa originaria era di
aver creduto di andare al convegno, limitando la loro colpa a un peccato di pensiero.
Ma sei anni più tardi, nel rivedere gli atti relativi a una delle due, un altro inquisitore ebbe a scrivere che la donna
era stata materialmente alla festa del diavolo.
A questo punto cominciarono ad essere accreditati, da parte degli
scrittori di Chiesa, tutti gli stereotipi che la fantasia popolare aveva
accumulato, nel corso dei secoli, sul conto delle malefiche: quello di
uccidere i bambini, di suscitare tempeste, di compromettere la fertilita
dei campi e indurre malattie tanto agli uomini quanto agli animali.
E soprattutto ricomparve il mito della
STRIX,
il vampiro degli antichi Romani, ricordato da Plauto, Plinio e Ovidio,
che volava nottetempo per succhiare il sangue degli infanti, da cui
appunto deriva il nome di
STREGA.
Conseguentemente venne accolta, da parte di molti religiosi, la leggenda
che descriveva le indemoniate come capaci di mutarsi in bestie e volare
nell'aria: quest'ultima eventualità, esclusa in precedenza non solo dal
Canon Episcopi, ma da una linea di pensiero risalente a S. Agostino, avrebbe trovato la sua consacrazione nel
MALLEUS MALEFICARUM
e negli scritti di una nutrita schiera di teologi che, a partire da
quel momento, presero a sostenere concordi come le intelligenze
angeliche, buone e cattive, potessero,
per propria naturale virtù, trasportare un corpo umano da un posto all'altro.
Tra i teorici che si occuparono dell'argomento prima del
MALLEUS emerge il nome di Johannes Nieder, autore del
Formicarius, scritto a Basilea tra il 1435 e il 1437, il cui
quinto libro rappresentò, all'epoca, il principale riferimento per chi
combatteva le superstizioni e la magia.
Benché fermamente convinto che il demonio potesse, con tali mezzi,
conseguire effetti prodigiosi, egli non era tuttavia dell'avviso che le
streghe volassero realmente.
Non così i predicatori i quali, nella prima metà del secolo XV,
prepararono il terreno alle prese di posizione estremistiche di Sprenger
e Kramer.
A livello di impatto sul pubblico la loro azione ebbe
infatti una risonanza ben maggiore di quella dei teorici colti, non
ancora in grado di avvalersi della risorsa decisiva rappresentata dal
mezzo della stampa: arma di cui poterono invece disporre, pochi decenni
dopo, Sprenger
e Kramer, inquisitori tedeschi.